Ancora su «Oppenheimer»

Un film che fa discutere (*) ma anche un’occasione per riparlare di maccartismo e di scienza al servizio del capitale.

Interviste di Alvise Riccio a Sandra, Luca e Giulia.

Tu non sei una specialista della materia però hai visto il film: quali sono le tue impressioni?

SANDRA – Un film che prospetta una dimensione di assoluta originalità, sia pure su fatti remoti, per la condizione umana che il protagonista è stato chiamato a vivere. Si può dire che, effettivamente, avesse il mondo nelle sue mani: dal suo dire sì a questo progetto, dal suo impegno è scaturita una situazione che avrebbe potuto segnare l’inizio della fine. Sulle spalle di un uomo solo un grosso carico anche di ordine etico.

Conoscevi qualcosa sull’argomento?

No. Solo qualche conversazione con un mio amico fisico. Mi ha interessato capire i ruoli di ciascuno e come il lavoro di équipe abbia accelerato la conferma di quella che, fino a quel momento, era solo un’ipotesi. La tecnica del flashback e dell’uso di piani diversi è molto efficace. Il film è comprensibile ma, per la ricchezza degli argomenti e dei contributi, delle tematiche e dei contesti, delle problematiche e degli intrecci, ne consiglierei una seconda visione. E poi c’è l’aspetto sentimentale, degli uomini e delle donne che hanno vissuto quell’epoca così difficile da immaginare per noi.

Non conoscevi i personaggi ma almeno uno tutti lo conoscono: ti sembra che la sua figura sia troppo caricata, esagerata con la sua misantropia, il caratteraccio?

Ti riferisci ad Einstein, certo. No, trovo che il ruolo che gli è stato affidato nel film sia l’immagine, quasi eterea, di un vecchio saggio, ti aspetti che da un momento all’altro gli spuntino le ali, di chi aveva capito tutto ma un po’ troppo tardi per arrestare quella macchina.

Tu sei studente di Fisica: hai visto due volte il film, sei “persona ben informata dei fatti” dunque. Ti è piaciuto?

LUCA – Sì, con qualche però. Mi è piaciuto dal lato storico e da quello emozionale: è sempre molto bello vedere film con fisici che parlano fra di loro, che elaborano teorie nuove, anche perché si recupera un lato umano di persone spesso rappresentate come “bestie da laboratorio” che si occupano solo di cose incomprensibili. Nel film invece è descritto molto bene il lato umano: i personaggi hanno sentimenti, problemi, sono tristi o felici o non capiscono bene quello che fanno … come quando, dopo il lancio della prima bomba sulla città giapponese, festeggiano il loro successo ma poi si rendono conto di quello che hanno fatto, di come è cambiato il Mondo, iniziano a dividersi e le reazioni sono estremamente individuali. Non mi è piaciuto invece dal lato scientifico perché fa passare l’idea che la Scienza sia qualcosa che avanza solo attraverso “Grandi Menti” : manca la rappresentazione dello sforzo collettivo che c’è dietro una teoria. Quando si dice che Einstein non ha accettato una parte del mondo che ha rivelato – può essere vero – va detto pure che quel mondo non lo ha rivelato solo lui: è stato un processo cui hanno partecipato centinaia di persone. Dunque è sbagliata l’idea che senza Einstein non ci sarebbe stata la Fisica moderna. Magari ci si sarebbe arrivati qualche anno più tardi ma la matematica appropriata già c’era, alcuni embrioni di teorie simili esistevano, gli strumenti per alcune verifiche sperimentali c’erano.

Un punto di vista profondo e condivisibile. Immagino tu sapessi chi erano Oppenheimer e gran parte dei fisici del progetto. Conoscevi il doppio ruolo avuto da Einstein con le due lettere, cioè quella con Szilard per promuovere la ricerca sulla bomba e quella con Russell per opporvisi strenuamente?

Sì ed è molto interessante. Conferma ciò che dicevo prima: spesso i fisici non sanno, in senso profondo, ciò di cui si stanno occupando. Quando Einstein scrive la prima lettera a Roosevelt – mi sembra di ricordare che, in realtà, sia stato Fermi a proporre per primo il progetto alla Marina americana che però lo rifiutò – lui stesso pensava che non sarebbe mai stato possibile trasportare una bomba di quelle dimensioni su un aereo, perché in realtà non ne sapeva le dimensioni. Scrive pure che la bomba potrà distruggere un porto e le case vicine quando poi invece… Ben raccontato anche l’atteggiamento di Teller e degli altri che, realizzata la bomba atomica, pensano di farne subito una molto più potente, la bomba H, senza minimamente porsi il problema di quanti danni potrà causare.

Sai che è stato fatto un film satirico con un attore bravissimo, Peter Sellers, intitolato «Il dottor Stranamore»: il cui protagonista è proprio Teller. Il sottotitolo era “Come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba”. Siamo ai primi Anni Sessanta.

Sì, lo vidi con mia nonna anni fa. E’ un ritratto di Teller, forse anche troppo duro nei suoi confronti: un nazista che appena sente il nome di Hitler non può fare a meno di salutare a mano tesa. Penso il sentimento di Teller fosse “Ho fatto una bomba, ne posso fare una più grande”, un po’ per la nazione … Determinante ciò che dice Oppie a Teller «Quel che interessa è dimostrare a se stessi di essere in grado di fare qualcosa» .

In realtà non sapevano tante cose a partire dalla potenza effettiva della bomba: infatti predispongono punti di osservazione lontanissimi. Poi non conoscevano il reale stato di avanzamento della ricerca nella Germania nazista. Sapevi che a Los Alamos comandavano i militari, che c’era la censura sulle lettere e che i rapporti fra scienziati e militari erano spesso tesissimi? Stava già iniziando la “guerra fredda” e la “caccia alle streghe”. Oppenheimer, ad un certo punto, dice «Pensavo che i nazisti fossero i nostri nemici e i russi nostri alleati». Ma inizia l’isteria anticomunista che porterà a perquisire lo studio di Einstein alla ricerca di armi, alla messa al bando di Charlie Chaplin e di mezza Hollywood e di cui anche Oppie finirà vittima.

Secondo me il film tratteggia bene l’atmosfera che c’era a Los Alamos, ho letto anche una biografia di Feynman che lo conferma.

Un inciso brevissimo: ti sei accorto che, in una delle feste, in un angolino sul fondo c’è proprio Feynman che suona il bongo?

Sì, ho letto una sua biografia e mi sono reso conto che era “fuori come un balcone”. Quando ho visto che, nel film, è uno dei più sani, ho pensato che forse erano gli altri a essere più “fuori” di lui. Anche se è lui a raccontare nel film di aver socchiuso gli occhi per guardare l’esplosione: un bel coraggio, tanta curiosità e un pizzico di follia.

Ma tre ore non sono troppe?

No, sono la durata adeguata per un film né leggero, né semplicino, anche perché non c’è solo Los Alamos ma anche una parte della vita precedente del protagonista, un po’ romanzata. Alcuni discendenti di Oppenheimer hanno fatto causa agli autori di una delle sue biografie, in particolare per la scena della mela avvelenata che dicono assolutamente non vera.

Forse l’hanno mutuato dal suicidio di Turing.

Lo trovo un film bellissimo. Quando la bomba esplode c’è una carica emotiva che fa quasi dimenticare lo scopo della bomba.

Sì, un effetto catartico anche un po’ pericoloso. Ultima notazione, un po’ da specialisti. Certo avrai notato la bellissima scena quando Oppie va a chiedere ad Einstein «Professore ci aiuti, siamo bloccati sui calcoli della reazione a catena» e lui risponde «Non ci penso proprio» restituendogli il foglio e dicendo «Questa è roba vostra, non è roba mia».

Sì, penso si riferisse sia alla bomba che alla Fisica quantistica in generale: anche se a quel punto della sua vita l’aveva almeno in parte, accettata.

Tocca a Giulia: dottorato in filologia. Grande interesse per la Fisica. Vive, studia e lavora a Parigi.

Parliamo dei protagonisti. Ci sono tanti premi Nobel e molti padri fondatori della Fisica quantistica che io ho potuto conoscere anche grazie al bel libro di Rovelli «Helgoland» che si apre proprio con Heisenberg che guarda il Mare del Nord e che nel film si scopre essere uno degli scienziati che lavorano per i nazisti. Dall’altra parte abbiamo tutti gli altri scienziati, i militari e il presidente Truman. Il film parla del processo ma anche di tante altre fasi salienti della vita di Oppenheimer. Tu conoscevi l’episodio del tentativo di avvelenamento?

Credo sia assolutamente non storico. Forse ispirato al suicidio di Turing.

Secondo te potrebbe essere un tributo?

Trovo interessante la tua ipotesi. A Los Alamos Turing sarebbe stata la vittima perfetta delle paranoie dei militari: omosessuale, di sinistra, “diverso” come persona e come scienziato. Per sua fortuna stava in Inghilterra dove lavorava anche lui come scienziato contro i nazisti.

Torniamo ad Oppenheimer ed Einstein: ho percepito, nel film, una grande disparità tra le due figure ma entrambe sono trattate con rispetto e attenzione.

Certamente c’è un grande lavoro di ricerca e un grande regista. I personaggi sono miniature, anche se un po’ di concessione allo spettacolo c’è.

Io sapevo chi erano i personaggi ma tu pensi che il film fornisca allo spettatore gli strumenti per riconoscerli ed inquadrarli?

Direi di sì. Sono veramente ben caratterizzati. Forse anche troppo: come pezzi di una partita a scacchi, ognuno ha il suo ruolo e lo sostiene fino in fondo. Quello che è più coerente di tutti, nella sua ingenuità ma anche nell’ambizione, è proprio Oppie che, con i suoi grandi occhi, “scopre” il mondo: del nucleo atomico ma anche degli esseri umani. Come a dire: “Io sono un bambino, non immaginavo neppure che mi aspettasse tutto questo”.

La scelta dell’attore è fondamentale. Cillian Murphy riesce ad incarnare, allo stesso tempo, l’eterno dissidio interiore ma anche l’infinita ricerca, la capacità di intravedere qualcosa, le leggi del mondo, che solo pochissimi riescono a vedere.

Sì, tant’è che il film rinuncia a una ricostruzione filologica, pedante. Per fare un esempio minimale, le stature dei personaggi spesso non rispecchiano la realtà: Oppenheimer era alto, Fermi era piccolo, Feynman era molto alto, Bohr era piccolo… però, così facendo, centra perfettamente i personaggi nella loro essenzialità.

E la figura di Lawrence?

E’ descritta benissimo. Era un fisico-ingegnere, un grande sperimentale, uno che lavorava anche con le chiavi inglesi.

Ahi, ahi quando dici così non si capisce se è in senso elogiativo…

Infatti nel film compare con le maniche rimboccate, uno che ha idee geniali e le realizza praticamente.

Le due bombe. Una sarebbe bastata, due servono ad affermare la supremazia mondiale. Un altro aspetto per me del tutto sconosciuto è la paura di “far esplodere il Mondo”. Si legge negli occhi di Oppie e nei dialoghi fra scienziati e con il generale: veramente c’era questa possibilità, anche solo come ipotesi?

La Fisica è una scienza sperimentale, a partire da Galileo… Il torto che alcuni oggi imputano alla Fisica è appunto aver perso questo contatto con la realtà e con la concretezza dell’esperimento privilegiando la sola descrizione matematica. Quindi gli scienziati del “Manhattan” non sapevano con certezza cosa sarebbe potuto accadere, soprattutto non conoscevano quello che, per un Fisico, è fondamentale: l’ordine di grandezza di un fenomeno. Infatti, al momento della prima esplosione sperimentale, si sono messi lontanissimi. Alcuni di loro temevano che la reazione a catena potesse estendersi alle fasce basse dell’atmosfera, “la fine del mondo”.

Nel progetto per la bomba A si percepisce la curiosità di realizzare ciò a cui hanno lavorato per tanti anni, invece in quello per la bomba H si vedono solo ambizione e paura.

Sì, gli apprendisti stregoni. Molti hanno rinunciato. Quelli che sono rimasti (mi spiace parlar male di Fermi) lo hanno fatto con motivazioni pessime: “Conosco benissimo i pericoli ma mi sto divertendo troppo!”. Per Teller stesso discorso.

E’ proprio Teller quello che si vede nel film?

Sì è Teller che poi diventa, in un altro film, il Dottor Stranamore, interpretato da Peter Sellers. Per tornare al discorso delle due bombe, penso sia come dici tu. Non dimenticare che il presidente era Truman.

Già Truman. Si dice fosse un anticomunista fanatico e un personaggio abbastanza rozzo: nulla a che vedere, per capirsi, con il suo predecessore Roosevelt.

Truman dice: «i russi non riusciranno mai a costruire una bomba H». In realtà l’avrebbero costruita non molto tempo dopo. Truman non sapeva che, per cinquanta anni in Europa e nel mondo, si sarebbe studiato sui libri di Fisica di Landau e di Sacharov.

Già perché prima i nemici erano i nazisti e poi …

Sì, lo scopre anche Oppenheimer che “le cose sono cambiate”.

E il doppio ruolo di Einstein tu come lo vedi?

Molto interessante e del tutto storico. Einstein sapeva bene quanto la Fisica tedesca fosse avanzata. Quando gli dicono che anche Heisenberg sta collaborando con i nazisti – e lui sapeva quanto valesse Heisenberg ma fortunatamente i tedeschi avevano intrapreso una strada di ricerca sbagliata – si decide a scrivere la famosa prima lettera, con Szilard, al presidente Roosevelt per promuovere la realizzazione della bomba atomica. Ma quando, anni dopo, vede la terribile realtà e si rende conto che i nazisti non hanno e non avranno la bomba, scrive la seconda lettera, con Bertrand Russell, e diviene la punta di lancia dei movimenti pacifisti.

Tu pensi che la prima lettera sia stata così determinante?

Certamente il parere di Einstein aveva, in quel momento, un grande peso ma più presso l’opinione pubblica che presso i governanti. Fu una sorta di alibi: se lo dice perfino il “numero uno”. Penso che la bomba si sarebbe comunque fatta, era una questione essenzialmente politica. Per questo vengono lanciate due bombe: che il Mondo sappia che tante altre sono pronte!

Con Truman il potere politico entra in modo totalizzante nella gestione e nell’uso strategico di questa nuova arma.

Comincia una fase nuova: non si tratta più di dare un contributo determinante alla sconfitta del nazifascismo ma di affermare una politica di dominio; Truman aveva vinto su tutta la linea: la superproduzione di armi e di beni conseguente alla guerra aveva consentito al Paese di superare definitivamente – almeno per un poco – la grande crisi del 1929. Per tre anni gli Stati Uniti avevano fornito armi e beni a tutto il mondo occidentale lavorando su tre turni, ventiquattro ore al giorno; avevano vinto su tutti i fronti di guerra, i caduti americani erano stati relativamente pochi (400.000 a fronte dei 25 milioni fra i Russi), l’esercito statunitense era il più potente del mondo e in più aveva ora le nuove armi. L’opposizione interna era stata messa a tacere con la persecuzione accanita di tutti i sospetti “rossi”, perfino mezza Hollywood venne messa all’indice.

Ma non è un sistema che collassa su se stesso? Non c’è una contraddizione tra il grande progresso scientifico, il benessere e questa atmosfera di persecuzione?

Certo ma il “mainstream”era questo. Andavano comunque avanti: american way of life cioè produci, consuma, crepa. Finché i supermercati erano pieni, le auto correvano sulle autostrade, la benzina costava poco il vaccaro del Midwest non si poneva di certo tanti problemi. La propaganda scatenata contro i russi e i “rossi” era un fortissimo collante. Era cambiato il paradigma? Io sostengo che si era solo radicalizzato: da tempo la linea di politica estera era considerare come antagonista principale l’unico Stato non capitalista, l’Unione Sovietica. Infatti avevano lasciato che i nazisti sfasciassero mezza Europa e mezza Russia: solo dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour erano intervenuti con il loro potenziale industriale e di armi. Il disegno era quello: dominio economico, politico, militare, culturale a livello mondiale. Ma questo è un mio punto di vista e stiamo andando fuori tema.

Sì ma è molto interessante.

Va bene, allora sei tu che stai intervistando me. Aggiungiamo solo che a un certo punto alcune punte avanzate della società rompono radicalmente con tutto questo: Ferlinghetti con il suo «fuck the bomb», Ginsberg con il suo messaggio di apertura universale mentre Bob Dylan, Joan Baez e Pete Seeger con le loro canzoni evocatrici spianano la strada alla cultura hippie e pacifista. Anche Arthur Miller e una parte di Hollywood…

E’ una potente reazione. La nascita di una vera e propria generazione post bomba.

Sì, una reazione che culminerà con la nascita di una controcultura, potente e diffusa: persino i burning cards, i roghi pubblici e collettivi di cartoline-precetto per la guerra nel Vietnam… E i famosi “Three Days of Peace&Music” di Woodstock.

Il film ricalca bene l’atmosfera di isteria “better dead than red”: dsvvero credevano «meglio morti che rossi»

Sì, gli agenti del FBI che frugano nei sacchi della spazzatura. Io credo che a Los Alamos i militari comandassero ancora più di quanto si veda nel film. La sintesi mirabile è quando, alla fine, i soldati caricano due bombe atomiche sui camion e dicono: «Non vi preoccupate, d’ora in avanti ci pensiamo noi». Cioè: il giocattolo ce l’avete costruito ma adesso siamo noi a dettare le regole del gioco. Gli “apprendisti stregoni” del progetto Manhattan sono riusciti in qualche modo a controllare la reazione a catena ma per nulla a gestirne le conseguenze politiche. Da lì nascono i primi movimenti di critica radicale alla Scienza. Si dice: la Scienza non è neutrale, è prometeica: un’avventura che dà risultati e sensazioni meravigliose ma non è neutrale. Chiaramente non si vuol dire con questo – come hanno affermato alcune frange di sessantottini squinternati – che, dopo la mitica palingenesi rivoluzionaria, due più due non fa ancora quattro. Si intende che è tutta la struttura dell’impresa scientifica a essere, in certa misura, storicamente e socialmente determinata. Lo dimostra il film: perché in quegli anni si sono investite così tante risorse nella ricerca sulla fissione nucleare e non si è invece intrapreso (con l’eccezione dell’Inghilterra e del radar, comunque finalizzato a usi militari) lo sviluppo immenso dell’elettronica e dell’informatica le cui basi teoriche già c’erano? La scelta fu politica: c’era la guerra e, in prospettiva, il dominio mondiale: tutto veniva piegato a questo.

Una ricostruzione molto interessante: una contestazione di cui si è persa del tutto la memoria.

Gli sviluppi più estesi e profondi di quei movimenti si avranno negli anni Sessanta: nascono allora «Science for the People», «Labo contestation» e numerosi collettivi o riviste anche in Italia. A me piace ricordare lo slogan «Science without coscience» che sintetizza bene. A questi movimenti aderiscono anche scienziati importanti che denunciano i pericoli e gli orrori della Scienza finalizzata alla realizzazione di armi sempre più distruttive e terribili.

Tutto questo ovviamente nel film non ci può essere, ma credo che esso stimoli in modo efficace una riflessione e forse una presa di coscienza.

Di certo. Un vero, prezioso valore aggiunto. Un’ ultima “sciocchezza”, se vogliamo un dettaglio ma che rende bene il clima di quegli anni: le prime due bombe, quelle sganciate sulle città giapponesi, si chiamavano «Little Boy» e «Fat Man». Invece sulla fusoliera dell’aereo che sgancia, nel 1946, una bomba molto più potente nell’atollo di Bikini (distruggendolo) c’era la foto di «The Bomb»… ma era Rita Hayworth così soprannominata per la sua bellezza prorompente: la bomba si chiamava «Gilda» come un suo film.

Molto americano, vero “spirito di patate”. Tornando al film: è stato bello vedere le sale piene. Si poteva ipotizzare un qualche abbandono, allo scadere della seconda ora, che non c’è stato. Il film sa giocare su tanti registri diversi, di cui quello tecnico-scientifico non è il principale; ed è giusto così. E’ stato chiesto con grande ingenuità se, per ottenere alcuni effetti speciali, il regista abbia fatto esplodere una vera bomba: in effetti Nolan ha fama di essere molto realista nella realizzazione delle sue scenografie.

Sì, ho visto la domanda anche su qualche blog. Non si la minima idea della potenza di una bomba A o H. Precisiamolo: ton vuol dire «equivalente a mille kilogrammi di tritolo». I prefissi kilo e mega vogliono dire rispettivamente mille e un milione. In conclusione: 6 Kiloton, quella di Hiroshima, vuol dire: 6 milioni di kg di tritolo; 100 Megaton (anche in Italia ce ne sono molte di questa taglia nelle basi NATO) vuol dire 100 miliardi di tonnellate di tritolo. Difficile anche da immaginare.

Come diceva il buon Albert: «non so chi vincerà la terza guerra mondiale ma so che la quarta sarà combattuta con pietre e bastoni».

(*) in “bottega” cfr H come Hiroshima, Oppenheimer e lingue biforcute e Diverso parere su Oppenheimer e la bomba degli USA

Redazione
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Un commento

  • Andrea ET Bernagozzi

    Grazie per questi contributi. Non sono un esperto sul tema, ma l’episodio della mela avvelenata con cui Oppenheimer avrebbe tentato di avvelenare Blackett è citato nei dizionari biografici ufficiali, per esempio qui (https://ahf.nuclearmuseum.org/ahf/profile/patrick-blackett/):

    “While conducting research at Cambridge, it is believed that a young, distraught graduate student named J. Robert Oppenheimer attempted to poison Blackett with an apple laced with toxic chemicals. Blackett was Oppenheimber’s head tutor at the time, and Oppenheimer found Blackett to be brilliant but also extremely demanding. Blackett insisted that Oppenheimer spend more time doing lab work while Oppenheimer believed his time and talents should be devoted to theoretical physics. Eventually, the stress of graduate work led Oppenheimer to seek psychiatric help, and it was around this time that he allegedly presented his tutor with the toxic apple. Blackett did not eat the apple, and the whole scandal became muddied by conflicting stories. Ultimately, little came of the attempted poisoning. Both Blackett and Oppenheimer would become renowned physicists in their own scientific spheres.”

    Tuttavia, negli archivi universitari di Cambridge il faldone di Oppenheimer non riporta alcuna informazione al riguardo, al punto che qualcuno, ricordando che la fonte della storia sarebbe lo stesso Oppenheimer, ipotizza che sia una “mela avvelenata” metaforica, per esempio un errore inserito volutamente in un lavoro scientifico, così che Blackett si trovasse in difficoltà, e poi corretto all’ultimo minuto perché il giovane fisico non se l’è sentita di fare questo scherzo al maestro (https://specialcollections-blog.lib.cam.ac.uk/?p=26027):

    “The poisoned apple is a central element in fairy tales – an object of desire harbouring a threat, perfect on the outside, flawed on the inside. Should the story in fact be understood, from Oppenheimer’s later recounting, as a metaphor? Maybe the apple symbolised a scientific paper containing a suddenly realised error or merely an unfinished piece of work.”

    Nel romanzo “L’alternativa Oppenheimer” di Robert J Sawyer, autore molto amato qui in Bottega, lo scrittore canadese decide di prendere alla lettera l’episodio e nella finzione letteraria motiva il tentativo di avvelenamento con lo sgomento di Oppenheimer turbato dall’attrazione erotica omosessuale che avrebbe sentito nei confronti di Blackett. Il romanzo è stato pubblicato recentemente da Urania (http://blog.librimondadori.it/blogs/urania/2022/07/28/urania-jumbo-34-robert-j-sawyer-lalternativa-oppenheimer/).

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