Dall’epiceno alle battaglie femministe

Il linguaggio (sessista) e la realtà (patriarcale) che ci circonda

di Maria Teresa Messidoro (*)

“Si chiama epiceno un sostantivo che non distingue il genere di un soggetto, usando la stessa forma indipendentemente dal genere grammaticale del sostantivo. Un epicene può riferirsi infatti a esseri animati di sesso sia maschile che femminile, a differenza dei sostantivi comuni che, per quanto riguarda il genere, ammettono entrambe le forme (esempi: gorilla, aquila, persona, individuo, vittima, soggetto,…” (1)

Eh?

Epiceno: mai incontrata prima questa parola, confesso la mia ignoranza.

A mia discolpa, non ho frequentato il liceo classico, e non ho studiato materie letterarie all’Università.

Ma con questa frase Daniele Barbieri mi ha spinto a riflettere sul linguaggio sessista che permane nella nostra società.

Ed allora, sono andata a cercare conforto e sostegno nelle parole di altre donne, ben più capaci di me nel confrontarsi con il sessismo del linguaggio.

Incominciamo dalla filologa spagnola Pilar Careaga, autrice del testo El libro del buen hablar

Pilar sostiene che “il linguaggio è stato creato dall’uomo, per l’uomo e ha come oggetto il linguaggio dell’uomo”. In sostanza noi donne abbiamo tutte le ragioni per affermare che non esisteremo fino a quando non saremo nominate, perché figuriamo soltanto in forma peggiorativa in un sistema linguistico  in cui il femminile contava poco o niente.

Ricordiamo che il sessismo nel linguaggio incominciò ad essere denunciato nella prima Conferenza Internazionale sulle Donne, celebrata in Messico nel 1975. (2)

Un problema, quello del linguaggio sessista, universale, se si tiene conto che anche l’inglese, spesso citato come un esempio di lingua libero da un’ottica sessista, in realtà non lo è.

Deborah Cameron, professoressa di Lingua e comunicazione nell’Università di Oxford, fa l’esempio della parola fireman – pompiere: essendo la parola legata a man – uomo – si è deciso ufficialmente di sostituirla con firefighter – persona che combatte il fuoco. Ma la stessa Cmeron avverte che i vocaboli sessisti persistono in modi diversi nel linguaggio quotidiano e sui mezzi di comunicazione. “Le istituzioni possono legiferare sul linguaggio quanto vogliono, ma le riforme funzionano soltanto se la maggioranza della popolazione le accettano. La gente non consulta mai le autorità prima di aprire la bocca” (3)

Torniamo all’italiano però.

Quante volte abbiamo detto: “speriamo che questo non sia un anno sfigato!”?

Donatella Caione, in un testo scritto di recente, analizza proprio la parola sfiga, partendo addirittura dalla Accademia della Crusca:

Sfigato, aggettivo di forma participiale che, esattamente come il sinonimo sfortunato derivato da fortuna, è formato parasinteticamente (ossia, con l’applicazione simultanea di un prefisso e un suffisso – qui s- e -ato) dal sost. figa, variante settentrionale di fica, pudendum muliebre. Dall’aggettivo sarà stato tratto a sua volta il sostantivo sfiga, “sfortuna”. 

Come giustamente scrive Donatella, questo termine, nato nel linguaggio giovanilistico decenni fa, è molto sessista: chi è privo di figa, cioè un uomo senza una compagna, è sfortunato.

Al contrario, figo, o addirittura strafigo, è un complimento, per lo meno un apprezzamento nei confronti di un soggetto maschile.(4)

Ohi ohi, mai più userò figo, men che meno strafigo, e rifletterò prima di dire che il 2022 è stato un anno sfigato (lo è stato davvero un anno sfortunato per me, ma cambierò il lessico, prometto)

Se poi vogliamo approfondire ancora di più il sessismo nel linguaggio, leggiamo Sessismo, il libro curato da Francesca Dragotto e Stefania Cavagnoli, che propongono tre percorsi di lettura del tema.

Il primo ci riporta alla nostra prima infanzia, quando iniziamo a rapportarci al mondo che ci circonda attraverso il linguaggio che iniziamo ad apprendere, un linguaggio però fatto non solo di parole, ma anche di espressioni, di codici che interiorizziamo e di cui difficilmente ci libereremo.

L’esempio più semplice è la caratterizzazione dei colori secondo il genere, rosa per le bambine e azzurro per i bambini.

Col passare degli anni liberarci degli stereotipi che abbiamo appreso nei primi anni di vita sarà una impresa difficile, come anche soltanto riconoscerli e metterli in discussione.

Il secondo percorso ci rimanda al dizionario, quel testo che ci ha accompagnato nel nostro iter scolastico – ora spesso sostituito da un testo virtuale – e che ci permette di fotografare la realtà linguistica in cui viviamo, una realtà considerata oggettiva, mentre invece è permeata da pregiudizi considerati purtroppo la norma.

Sono gli stessi proverbi, i libri di testo scolastici – fortunatamente non tutti – ad essere intrisi dalla visione patriarcale della società.

Un esempio per tutti è l’asimmetria semantica, cioè l’uso di aggettivi o sostantivi che acquisiscono un significato diverso a seconda del genere, screditante o sminuente se usati al femminile: passeggiatore e passeggiatrice, buon uomo e buona donna.

L’ultima parte del libro è infine dedicata all’analisi del sessismo al tempo dei social: dall’ultimo rapporto di Vox Diritti (osservatorio italiano sui diritti) emerge un aumento del discorso di odio contro le donne su Twitter, discorso che aumenta se la donna è anche disabile, o nera.

L’anonimato dello spazio virtuale e la possibilità con un semplice clic di raggiungere un vasto pubblico di followers facilita questo utilizzo perverso del linguaggio, specchio di una società ancora purtroppo sessista e patriarcale. (5)

Il linguaggio dà forma e vestito alla realtà e a noi nella realtà e costruisce il nostro rapporto con quanto ci circonda.

Forse sarebbe ora di cambiarlo.

  1. https://it.m.wikipedia.org/wiki/Epiceno
  2. https://unipd-centrodirittiumani.it/it/schede/Le-Conferenze-internazionali-sulla-donna/382
  3. https://www.mujeresenred.net/spip.php?article1505
  4. “Non sono una docente, né una psicologa o una sociologa. Non sono una pedagogista e neanche una linguista. Se mi si chiede di definirmi la prima parola che mi viene in mente è: mamma. La seconda è donna… che però non aggiunge nulla alla prima parola! Però in quanto donna sono attiva nel mondo dell’associazionismo all’interno del quale mi occupo di tematiche legate alla salute delle donne, alla prevenzione della violenza di genere e all’educazione emotiva, affettiva e alle differenze”: così si auto  definisce Donatella Caione (https://www.matildaeditrice.it/autori/donatella-caione)
  5. Molto interessante è l’articolo Sessismo, di Monica Di Bernardo, apparso sulla rivista Vitamine Vaganti, a gennaio 2022, https://vitaminevaganti.com/2022/01/08/sessismo%ef%bf%bc/ da cui è tratta anche l’immagine di copertina di questa nota.

* Femminista e curiosa sempre

Teresa Messidoro

Un commento

  • antonella selva

    Bè, il tema è molto dibattuto e a volte arriva a produrre effetti un po’ surreali – ma divertenti – come uomini (cis e etero) che parlano di sé al femminile (di solito sono giovani: i più maturi non riescono ad arrivare a tanto), ma nasconde nelle sue pieghe molte ambiguità e molti spazi poco chiari.
    Mi è capitato tra le mani un libriccino interessante a questo proposito, anche perché scritto da una donna attivista nell’area transfemminista, che invece ribalta completamente il problema: “linguaggio inclusivo ed esclusione di classe” di Brigitte Vasallo (ed italiana Tamu edizioni, Napoli 2023).
    Vasallo, che ci tiene a situarsi anche in termini di classe sociale oltre che in termini di genere sottolineando le proprie origini da una famiglia rurale povera delle montagne della Galizia, segnata da esperienze di emigrazione, si cimenta in una interessante tentativo di decostruzione dei densi condizionamenti linguistici e/o nascosti nelle rappresentazioni dei media prodotti e riproducenti le disparità di classe.
    Una lettura stimolante

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