C’è ancora domani – Paola Cortellesi
visto da Ignazio Sanna e Francesco Masala.
E in più la “bottega” vi svela un mezzo segreto: potete vedere il film più a lungo censurato in Italia, è online, per ora, finché il “Ministro della Grande Censura” non se ne accorge.
“C’E’ ANCORA DOMANI”. E DI NUOVO DOMANI. E POI ANCORA DOMANI
Probabilmente tanti di noi, cinefili e non, ricordano il famoso “domani è un altro giorno” da Via col vento (Gone With the Wind, 1939), il grande classico di Victor Fleming. Chissà se anche Paola Cortellesi e chi ha lavorato con lei al suo debutto come regista (C’è ancora domani, 2023) al momento della scelta del titolo avevano in mente la celebre battuta pronunciata da Vivien Leigh nei panni di Rossella O’Hara (nome di battesimo che nella versione italiana sostituisce quello originale, Scarlett, dallo stesso significato). Che sia così oppure no, la sostanza è che il messaggio di fondo dell’eccellente esordio della Cortellesi è che per quanto tempi e circostanze personali sembrino bui e senza via d’uscita, nella vita degli esseri umani c’è sempre spazio per la speranza e il cambiamento. E questo sembra un incoraggiamento utilissimo rispetto al crescente imbarbarimento della società, soprattutto in Italia, tra politica e cronaca nera.
Ambientato in un quartiere popolare di Roma nel 1946, narra la vicenda di Delia, donna di umile condizione e vittima della violenza del marito e un po’ di tutta la società, permeata dal maschilismo che caratterizzava l’Italia (e il mondo intero, se vogliamo) appena uscita dalla dittatura fascista. Girato in un bianco e nero ‘autoriale’, riscoperto nel tempo anche da registi del calibro di Woody Allen, il film riesce nell’impresa di conquistare un posto tra i classici del Neorealismo, accanto a Ladri di biciclette (1948) e Umberto D (1952). L’impressione è che proprio Vittorio De Sica, tra gli autori di quegli anni, sia quello più vicino a Paola Cortellesi sia per l’equilibrata adesione emotiva alla drammaticità della storia narrata che per la maestria con la quale la regista dirige se stessa e tutti gli attori, compresi i bambini. Tutti loro danno il meglio di sé, a cominciare dalla protagonista. Delia è una donna forte, intelligente e dal grande cuore, che riesce con notevole capacità di resilienza a subire i maltrattamenti del marito senza lasciarsi abbattere. La figlia maggiore ne soffre ma non riesce a capire fino in fondo come e perché accetti la situazione senza ribellarsi o fuggire, arrivando a disprezzarla per questo. Nel finale un po’ a sorpresa, ma al quale il titolo fa riferimento, vedrà con altri occhi il comportamento della madre, che in quella circostanza riesce a ottenere il meglio possibile in quel preciso momento storico. Senza svelare questo finale basterà dire che nel corso della narrazione lo spettatore viene abilmente sviato, indotto a credere che la scelta di Delia sia di altro tipo.
E proprio il costante ammiccamento verso lo spettatore, a tratti quasi un guardare in macchina alla Mel Brooks, costituisce uno dei punti di forza del film, forse il portato principale dell’esperienza televisiva dell’autrice (“Mai dire gol”). Infatti, spiazzandoci completamente, proprio nei momenti più drammatici, quando il marito-padrone la picchia, l’aggressione si trasforma in una danza vera e propria, dando in un colpo solo un tocco di leggerezza che sdrammatizza e proiettando una luce ironica, per quanto possibile, su ciò che accade. Qui Paola sembra dirci: non importa quanto sia buia la notte, prima o poi arriverà l’alba. Proprio quando può sembrare che la violenza cieca e la stupidità che la produce non lascino spazio alcuno alla speranza (si pensi anche a Gaza e dintorni), quello è il momento in cui si possono cominciare a porre le basi per il riscatto, per un rovesciamento della situazione tale per cui prima o poi i valori umani tornino a prevalere. E ne abbiamo tutti un grande bisogno, nella vita sociale come in quella personale.
E quindi, come accennato, non soltanto l’interpretazione di Paola Cortellesi è straordinaria (e qui mi sbilancio: da Oscar?), perfettamente a suo agio nel registro drammatico come già in quello brillante, ma anche gli altri sono al di sopra della media, e su tutti un attore navigato quale Valerio Mastrandrea, che qui pare raggiungere il vertice assoluto della sua carriera, nei panni del marito rozzo e ignorante.
Giustamente premiato alla Festa del Cinema di Roma, il film è perfettamente riuscito, e perfino le musiche, punto debole di gran parte delle pellicole italiane degli ultimi decenni quando vogliono usare canzoni e non soltanto una colonna sonora ‘generica’, qui sono tutte scelte perfettamente, con un’unica eccezione. Sarei curioso di sapere se qualcuno la pensa come me e quindi capisce a cosa mi riferisco.
Buona visione a tutte e tutti.
Ignazio Sanna
C’è ancora domani – Paola Cortellesi
ti aspetti un bel film, lo è ancora di più.
in C’è ancora domani Paola Cortellesi è regista e interprete di Delia, voto 10 in tutti e due i ruoli, e anche sceneggiatrice.
il film racconta una storia che molte donne hanno conosciuto bene, e conoscono bene ancora oggi.
in certi momenti sembra di vedere un film dell’orrore, non quello degli effetti speciali, che non spaventano troppo, ma quello dell’orrore quotidiano, che tutti capiscono, e che anche se non lo subiscono (o lo hanno subito) personalmente sanno bene che esiste.
le vittime sacrificali sono le donne, gli angeli del focolare, dicono, cioè le serve del focolare, umiliate e silenziose (per il bene dei figli), il centro di gravità della famiglia, sempre a disposizione del maschio, affascinante all’inizio, una merda tossica dopo.
Valerio Mastandrea (che interpreta Ivano) è bravissimo, nella parte meno “simpatica” della sua carriera.
tutti gli attori sono bravissimi e ci sono tante scene indimenticabili, tristi, ma anche divertenti.
il film riesce ad essere leggero e denso di significati, e come il film di Scorsese e di Garrone anche questo è un film politico.
il film è ambientato nell’anno 1946, dopo la guerra, quando l’Italia era ancora in ginocchio e provava a rinascere.
l’epilogo del film, per chi non ha voluto sapere prima come andrà a finire, sarà sorprendente.
sarà difficile girare una pellicola così perfetta, ma Paola Cortellesi è sorprendente, tutto sembra possibile, il dio del Cinema la conservi.
non perdetevelo, se vi volete bene, naturalmente al cinema.
buona (Cortellesi) visione.
https://markx7.blogspot.com/2023/11/ce-ancora-domani-paola-cortellesi.html
in questi giorni c’è nelle sale Comandante, di Edoardo De Angelis, con Pierfrancesco Favino, ma non ho voglia di un film di Italiani brava gente, se poi il Comandante Todaro fosse passato con la Resistenza ci avrei pensato, ma continuò a combattere con la Xª MAS (assediando tra l’altro Sebastopoli).
Avevo evitato di leggere Limonov, di Emmanuel Carrère, spiegando perché:
https://stanlec.blogspot.com/2013/10/perche-non-leggero-limonov-di-emmanuel.html
e di vedere American Sniper, di Clint Eastwood (i tormenti del cecchino non mi interessavano), come anche pensava Noan Chomsky
https://markx7.blogspot.com/2015/01/noam-chomsky-parla-di-american-sniper.html
dice Daniel Pennac che il primo diritto del lettore è quello di non leggere (o non vedere un film, aggiungo io)
però un film di Italiani cattiva gente l’ho visto:
Il leone del deserto – Mustafa Akkad
in tempi di fascisti al governo, di italiani brava gente, Il leone del deserto non sarà un film che passerà alla tv, né in prima serata né di notte.
il motivo è semplice, in un filmone, con attori di serie A, Mustafa Akkad racconta la storia della Resistenza libica, guidata da Omar al-Mukhtar, contro l’occupazione italiana, che portava non civiltà, ma morte.
è così di attualità questo film che a un certo punto il boia Graziani, prima di impiccare Omar al-Mukhtar, gli spiega che la Libia era italiana, Giulio Cesare lo dimostrava.
niente di diverso da quello che in Israele troppi pensano, tremila anni fa la Palestina è stata data agli israeliani, e non c’è posto per gli altri.
si può capire perchè Il leone del deserto non è mai passato nelle sale cinematografiche, e neanche in tv.
la verità fa male, anche al cinema.
Buona (ritardata e immancabile) visione. In “bottega” ne abbiamo scritto più volte e sotto trovate ciò che ricorda Wu Ming.
QUI il film completo, in italiano
o
QUI il film completo, in italiano
https://markx7.blogspot.com/2023/11/il-leone-del-deserto-mustafa-akkad.html
L’uccisione di Omar al-Mukhtar – WuMing
È l’11 settembre 1931 quando Omar al-Mukhtar, comandante della guerriglia anticoloniale in Cirenaica, viene ferito a un braccio, disarcionato e fatto prigioniero durante uno scontro nei pressi di Slonta. Lo portano a Bengasi in catene.
Omar al-Mukhtar ha più di settant’anni e combatte contro l’Italia fin dalla prima invasione della Libia, quella del 1911. La sua abilità strategica, la conoscenza del territorio e l’appoggio della comunità hanno consentito alle bande armate beduine – i duar – di infliggere gravi perdite alle truppe d’occupazione e ridicolizzarle con tattiche mordi-e-fuggi. Ma la deportazione di quasi tutta la popolazione civile della Cirenaica, la chiusura del confine libico-egiziano con una muraglia di filo spinato e i bombardamenti con l’iprite hanno ormai piegato la resistenza.
Il processo si tiene il 15 settembre nel Palazzo littorio di Bengasi, è una farsa e dura appena tre ore, perché il verdetto è già deciso.
Omar viene impiccato il giorno dopo. Raccontiamo quel momento con le parole dello storico Angelo Del Boca:
«Sono le 9 del mattino del 16 settembre 1931. Intorno alla forca eretta nel piazzale del campo di concentramento di Soluch, in Cirenaica, sono assiepati oltre 20 mila libici, fatti affluire da Bengasi, da Benina e dai lager della Sirtica. Sono qui per imparare che la giustizia fascista è severa, spietata, inesorabile. Sono qui per assistere all’impiccagione di Omar al-Mukhtar, un capo leggendario che, per dieci anni, ha dato del filo da torcere agli eserciti di quattro governatori italiani.
Quando il vecchio Omar, avvolto in un baracano bianco, viene fatto salire sul patibolo, il silenzio nel campo si fa totale. Ostacolato dalle catene e tormentato dalla ferita al braccio ricevuta nell’ultimo combattimento, il vicario della Senussia muove a stento i passi, tanto che debbono aiutarlo a salire i gradini del palco. Mentre gli sistemano il cappio intorno al collo, guarda per l’ultima volta la folla silenziosa, che trattiene a fatica il dolore e la rabbia. Poi, con un calcio allo sgabello, gli spezzano il collo.
Con Omar al Mukhtar finisce anche la ribellione libica, cominciata vent’anni prima. Ma non finisce la leggenda di Omar.»
Nel 1979 il regista siriano-americano Moustapha Akkad gira il kolossal Lion of the Desert, ove si narrano vita, cattura e morte di Omar al-Mukhtar e, attraverso di lui, l’orrenda saga della «riconquista» libica. Una coproduzione internazionale, con un cast di tutto rispetto: l’anziano Anthony Quinn presta i solchi del proprio viso alla dolente e ferma dignità di Omar; Oliver Reed maramaldeggia nel ruolo di Graziani; Rod Steiger dà corpo e smorfie a Benito Mussolini.
Il film non è un capolavoro, ma non è peggio della maggior parte dei film in costume hollywoodiani, e ha il merito di far conoscere in Occidente la figura dell’insegnante-guerrigliero, capo della resistenza popolare all’invasione fascista.
Tuttavia, agli spettatori italiani viene negato il diritto di vedere coi loro occhi e giudicare con la propria testa. Non è ammissibile che nei cinematografi d’Italia si mostrino gli «italiani brava gente» rappresentati come di solito si rappresentano le SS. Non è tollerabile che gli italiani vedano le loro forze armate intente a compiere un genocidio! Come osa quel regista arabo, quel volgare calunniatore?
Rispondendo all’interrogazione parlamentare di un deputato missino indignato per le sequenze che gli sono state descritte, il sottosegretario agli Esteri Raffaele Costa manda un chiaro messaggio ai produttori: il film non otterrà mai il visto ministeriale per la distribuzione in Italia. Non v’azzardate nemmeno a chiederlo.
Nel frattempo, dato che il film è proiettato negli altri paesi, si alzano comunque grida di sdegno. L’Associazione Nazionale Alpini, ad esempio, protesta per le sequenze dove soldati con la penna nera decimano la popolazione del Gebel Achdar.
Di conseguenza, Lion of the Desert diventa un film di culto clandestino. Nel marzo 1987, per protesta contro l’impossibilità di vederlo in Italia, attivisti del Coordinamento per la pace proiettano il film in una piazza di Trento. La Digos interviene a sequestrare la videocassetta e la magistratura incrimina quattro persone – Marta Anderle, Franco Esposito, Renato Paris e Paolo Terzan – per «rappresentazione cinematografica abusiva». Nel febbraio 1988 gli imputati sono condannati a pagare un’ammenda di centomila lire a testa.
Nel corso degli anni, il veto politico su Lion of the Desert è in parte caduto. Il film è stato doppiato in italiano e trasmesso su un canale nazionale privato. Oggi si trova facilmente su Internet, ma rimane un titolo scomodo, urticante, del quale non si parla volentieri. Omar al-Mukhtar fa ancora paura…
Pensieri sparsi a margine di un film di successo – Chiara Sasso e Luigi Casel
Pensieri sparsi come shanghai sul tavolo. È il film della Cortellesi che suggerisce una moltitudine di riflessioni. Uno per tutti: stupore. Un film che si è alimentato con uno straordinario passa parola riesce a mantenere celato, non svelato il finale o qualche altro momento epico del racconto. Il tutto mantenuto rigorosamente protetto nei non detti.
Forse bisognerebbe anche ammettere che non si tratta di un film, ma di un manifesto politico, di un “qualche cosa” di cui si aveva dannatamente bisogno. Un popolo di orfani riempie le sale. Una storia che prima ancora di raccontare la povertà del dopo guerra, la difficoltà del vivere, la speranza, la violenza sulle donne eccetera, in qualche modo fa lievitare un bisogno assopito che si pensava perso fra le tante macerie della militanza politica. Ora, tutti a bocca chiusa, a casa, frastornati e silenti. Poi quel bisogno quasi viscerale di condividere e dirlo: «Vai a vedere il film». E il tono perentorio tradisce subito il fatto che non si tratta di buone sceneggiature, di interpretazioni, di regia. È altra cosa, è un di più. È successo che durante la presentazione di un libro (Laura Conti, Discorso sulla caccia) il relatore si sia fermato e di pancia abbia lanciato l’invito: «Andate a vedere il film».
È lo stesso bisogno fisico che il pubblico sente al termine e applaude. Uno scossone per migliaia di persone che sono andate al cinema. «Ma davvero è bello?! No, è qualche cosa di più. Ma perché ci siamo ridotti così?». Si commenta all’uscita. Aggrappati a questa storia per un bisogno di riconoscersi. Questa volta la Cultura è stata un passo avanti alla stessa politica. Per una strana alchimia riesce a provocare smottamenti.
Lunga coda di persone anche per entrare a vedere Io Capitano di Matteo Garrone. Stessa attenzione per il bellissimo film di animazione Manodopera del regista francese Alain Ughetto che racconta la storia di emigrazione dei suoi nonni partiti da Giaveno, comune piemontese. (Non a caso l’opera è dedicata a Nuto Revelli). Quel Nuto Revelli che aveva avuto il merito, con un lavoro di inchiesta durato anni, di svelare la retorica sul lavoro contadino. La storia di tante donne sfruttate che vivevano in montagna, tenuta nascosta. L’anello forte edito da Einaudi (1985) aveva dato la parola alle donne nella società rurale attraversata da emigrazione da guerre e da un pesante patriarcato. L’uscita del libro era stato una pietra di inciampo così come ora lo è il film della Cortellesi, opera contemporanea ma ambientata nel passato.
Commenta Luigi: «Ho visto il film C’è ancora domani di Paola Cortellesi. Un film meraviglioso, credo il più bello visto negli ultimi anni. Tecnicamente perfetto. Dolce, determinato, struggente, esaustivo, poetico, denunciante, fuori dagli schemi pietistici e tante altre cose ancora. Ho pianto per tutta la durata del film e piango ancora ora. Piango per essere nato uomo e per non essere riuscito ancora a strapparmi completamente di dosso l’essenza terribile del patriarcato. Ci ho provato ma mi capita di ricascarci e mi arrocco dietro la scusa che sono cresciuto imbevuto di questa cultura e che è difficile cancellare sé stessi. Il patriarcato non è solo violenza fisica. Anzi. È agire senza giustizia, è perseguire pratiche di vita che ricalcano schemi violenti di sopraffazione continua. È un quotidiano spregio al vivere stesso. Il patriarcato è la condizione più inaccettabile che vive la nostra società. Più devastante e inaccettabile di qualsiasi altra aberrazione. E non sono le donne a doverci insegnare. Non ci sono scuse da poter accampare. Non è difficile da capire, basta volerlo. Basta essere pronti a rinunciare alla sopraffazione. Siamo noi uomini titolari di questo dovere. Lo dobbiamo fare totalmente senza indugio e percorrendo vie dritte che non prevedano scorciatoie. Questo è da fare. Ed è da fare non per concessione alle donne. È da fare per noi. Per poter rivendicare il diritto di essere persone bisogna che capiamo che questa non è una lotta. Le lotte verranno dopo ma se non riusciamo ad estirpare il patriarcato dal nostro essere, non abbiamo dignità e forza per affrontare nessun’altra lotta. E allora continuo a piangere nella speranza che con le lacrime possa uscire da me anche quel che ancora resta del mio essere uomo patriarcale. E spero che comincino a piangere tutti gli uomini. Giovani o vecchi che siano».
https://volerelaluna.it/cultura/2023/11/15/pensieri-sparsi-a-margine-di-un-film-di-successo/
La scomparsa di Angela Bottari ha un nesso con il cuore della tematica trattata nel bel film di Cortellesi?
Certamente Si!
Angela Bottari , l’ ANPI di Messina ne piange la scomparsa .
https://nuovosoldo.com/index.php/2023/11/15/lanpi-di-messina-piange-la-scomparsa-di-angela-bottari/
Manipolazione dell’ informazione, del pensiero e delle coscienze dei cittadini italiani:
Stante il pensiero unico e il potere operativo dei Lor Signori che gestiscono tutti i livelli dell’ informazione ( a partire dalle TV) in Italia, nel corso degli ultimi giorni , in maniera assolutamente preponderante , monopolizzante, giornali, TV, strutture internet e altro in opera, la notizia prioritaria riguarda la ragazza uccisa dal ragazzo.
Basta guardare l,’ imperante pubblicita’ ….e la realtà di fatto ( compreso i luoghi di lavoro,) per constatare come le donne vengono trattate , discriminate, vilipese, e oggetto di divulgazione diffusa….ieri, oggi…..speriamo non domani .
Film di Cortellesi insegna, ” c’e’ ancora domani”.
Il resto di importante come diffuso nel nostro paese : sciopero generale di venerdi, l ‘assassino di massa dei bambini di Gaza, gli omicidi ricorrenti nei luoghi di lavoro , e sulle strade… I tanti altri omicidi praticati , Il potere clientelare, affaristico- politico- mafioso , e’ totalmente ridimensionato cancellato quasi.
Incredibile e indecente!
L’ Italia….giusto per deviare l’ attenzione dalla complessiva drammatica realta’ in essere, e’ stata fatta diventatare un gigantesco ” fotoromanzo”, giusto in stile anni 50, o ancor peggio in stile fascio dittatoriale .
Piu’ il popolo dorme, piu’ i ” timonieri” ( politici, informativi, riccastri speculatori bancari e finanziari, e di pensiero di vario tipo e genere , possono fare sonni ricchi e pieni di profitti, lauti e tranquilli.
(d.s.)
Femminicidi. Il confronto con la storia – Giuseppe Aragno
https://giuseppearagno.wordpress.com/2023/11/19/femminicidi-il-confronto-con-la-storia/
Perché il film della Cortellesi piace a tutti (o quasi) – Matteo Saudino
https://www.youtube.com/watch?v=bzBRquJat4w