Genova: due milioni di euro per il sacrario dei fascisti
di Franco Astengo (*)
Il Comune di Genova stanzia due milioni di euro per il restauro del sacrario dei caduti fascisti di Salò.
Fatto salvo il dovuto rispetto a tutti i defunti, ritengo che l’associazione «Il Rosso non è il Nero» sia chiamata ad assumere una posizione di merito tale da sottolineare come la decisione – assunta dal Comune nei capitoli del bilancio di previsione senza alcuna discussione di merito a livello istituzionale – debba essere stigmatizzata (come del resto stanno facendo le opposizioni democratiche e l’ANPI) per un motivo prioritario: considerato che con tutta probabilità il manufatto abbia necessità di ristrutturazione (come gran parte di quelli presenti nel cimitero monumentale di Staglieno) non è accettabile che ciò avvenga come misura straordinaria tesa evidentemente a valorizzare il tipo di memoria storica che quel monumento rappresenta.
Una valorizzazione che punta a ricostruire quei tragici fatti in una logica di tipo negazionista rispetto alla realtà di allora.
Le modalità nelle quali avviene lo stanziamento (e la sua entità) possono far pensare a una valorizzazione del tutto impropria del significato che quel manufatto rappresenta in rapporto con la recente storia d’Italia e, in particolare, con quella della città di Genova e della Liguria intera le cui popolazioni furono oppresse in maniera insopportabile … anche nel ricordo a distanza di decenni dall’invasore nazista e dai suoi collaboratori della Repubblica di Salò: Genova e la Liguria nel periodo 43-45 hanno subìto massacri e deportazioni soprattutto verso la classe operaia delle sue fabbriche, con rastrellamenti, feroci espressioni di razzismo.
Per queste ragioni occorre esprimere unitariamente un forte dissenso augurandoci che nell’aula del consiglio comunale di Genova si levi un moto di forte contrasto e di richiamo ai valori antifascisti della Costituzione Repubblicana.
(*) Franco Astengo, coordinamento associazione «Il Rosso non è il Nero» di Savona
LA FOTO è ripresa da «Il fatto quotidiano»