Crisi idrica del canale di Panama: ma quale sorpresa?

A rischio il grande trasporto commerciale. Le compagnie navali alzano i prezzi.

di Giovanni Cirone (*)

Una nave cargo nel canale di Panama © searagen/iStockphoto

 

Secondo alcuni, ogni quinquennio l’area è vittima di una crisi di siccità. «Ad oggi, ciò che stiamo sperimentando è che questi eventi si stanno verificando una volta ogni tre anni». È costretto a raccontarla così Ricaurte Vásquez Morales, economista, politico, soprattutto amministratore del canale di Panama. Costretto, perché l’allarme idrico che lancia lo scorso agosto è cosa nota, almeno dall’anno precedente. Costretto, perché la realtà ha preso il sopravvento sulla miopia che sfoca lo stato delle cose. Costretto, perché nonostante la ferita sia ambientale, quella realtà – adesso sì – mina interessi finanziari ingenti. Una fetta di commercio globale viene intaccata. Con essa, la credibilità di quest’istmo: dall’estremità atlantica, Colon, a quella del Pacifico, Panama City.

Il collo di bottiglia tra le due Americhe conclama la crisi idraulica, costringendo l’Autorità del canale di Panama (Acp) a tagliare gli attraversamenti. La lama spazza via circa il 45% dei transiti tra la fine del 2023 e l’intero 2024.  Se prima erano 34-36 navi ad attraversare Panama ogni 24 ore, adesso l’Acp ridimensiona. Ventiquattro scafi fino al 30 novembre, poi 18 navi al giorno sino alla prossima stagione delle piogge.

Navigare l’acqua che dovrebbe dissetare

Anche tra il 2019 e il 2020 c’è stata una crisi simile a quella odierna. La causa? I cambiamenti climatici, resi ancor più insostenibili dall’influenza di El Niño, le cui alte temperature accelerano l’evaporazione dell’acqua. A cavallo tra Pacifico e Atlantico, per una lunghezza di 81,2 km, il canale di Panama si arrampica in un sistema di chiuse. Queste si trovano a MirafloresPedro MiguelGatun, e servono a superare il dislivello di oltre 26 metri tra i due oceani.

Schema della struttura del canale di Panama che illustra la sequenza di chiuse e passaggi

I bacini di galleggiamento si nutrono delle acque del lago artificiale Gatun, souvenir turistico per i suoi impianti. Grazie all’acqua piovana raccolta e a quella proveniente dalle foreste pluviali circostanti, quest’ultimo funge da enorme conca in cui navigare. Al contempo, abbevera i passaggi più stretti di transito e fornisce di acqua potabile le comunità di un’ampia area. Eccentrico connubio: navigare nell’acqua dolce che dovrebbe servire a dissetare. Nell’ormai imperante dogma del commercio globalizzato, comunque, nulla di strano. Lo standard annuale dei trasporti movimentati nel canale di Panama supera da anni il mezzo miliardo di tonnellate.

Il canale di Panama affronta la stagione con una riserva idrica ridotta al minimo

Sono altri tempi quando viene adottata la soluzione di attraversamento. Acclamato, il progetto d’ingegneria idraulica. Riconosciute efficacia, innovazione, dimensioni. Apprezzate le accortezze di equilibrio ambientale. Tutto per evitare che acqua salata, flora e fauna dei due oceani s’incontrino. Confidando esclusivamente sul fabbisogno di acqua dolce, però, ora tutto sembra essere in stallo.

È lontano il 2020, quando Panama è il quinto posto tra i Paesi più piovosi. Nello scorso mese di ottobre, l’ultimo abbattimento delle precipitazioni registrato segna un –41% rispetto alla norma. Il vascone Gatun si contrae.

Intera visione del canale di Panama, con chiuse e passaggi. Sulla sinistra il lago artificiale Gatun

Lo stesso vale per l’altro lago artificiale che funge da bacino idrico, l’Alajuela, ormai solo memore di abbondanze trascorse. Come afferma la stessa Acp: «Così, a meno di due mesi dalla fine della stagione delle piogge, il canale e il Paese affrontano la sfida della prossima stagione secca con una riserva idrica minima, che deve garantire l’approvvigionamento di oltre il 50% della popolazione e, allo stesso tempo, mantenere lo sfruttamento delle vie navigabili interoceaniche».

Le grandi compagnie alle prese con l’inceppamento nel transito navale

Nonostante le improbabili rassicurazioni diramate dall’Autorità del canale già nell’agosto scorso, sotto il profilo commerciale l’inceppamento del transito resta grave. Appena il 23 novembre, si rende noto come una cisterniera di D’Amico International Shipping, la High Loyalty, stia affrontando le acque dello Stretto di Magellano. Unità da 50mila dwt, noleggiata da Glencore per il trasporto di un carico di carburante fra Perù e New York, sceglie di bypassare Panama. In pratica, prolunga la rotta per migliaia di miglia, scegliendo di approdare a destinazione solo a metà dicembre. Questa scelta mette al centro il vero nodo della questione commerciale: non tanto in quanto tempo, ma quanto costa. C’è chi è disponibile a pagare l’impossibile per superare le file di competitor. Il gruppo armatoriale giapponese Eneos Corporation, la più potente compagnia petrolifera nipponica, l’8 novembre scorso mette sul piatto 3,975 milioni di dollari. Si aggiudica così l’asta per assicurarsi la priorità nel transito.

La somma rappresenta il record del più alto costo mai applicato prima. «Si sfiorano i 4,5 milioni di dollari per usare il canale quindi questo sta mettendo fuori gioco molte navi», ha confermato Oystein Kalleklev, amministratore delegato di Flex Lng Ltd e Avance Gas Holding Ltd.

I cargo in attesa per iniziare il tragitto nel Canale di Panama

L’insostenibilità ambientale del canale di Panama

Da parte sua, Panama è giunta a trarre dal proprio canale oltre 4,3 miliardi di dollari di entrate fiscali su base annuale. Un successo sostanziato dagli interventi innovativi del 2016, grande exploit di ingegneria idraulica, senza dubbio. Peccato che, per ogni cargo che affronta le chiuse, servano 200 milioni di litri di acqua dolce. Così, il fabbisogno richiesto all’ambiente è presto detto: basta moltiplicare per circa 14mila navi all’anno. Sarà un sistema sostenibile? Sarebbe illusorio dirlo. Se dunque è vero che l’Acp è vittima della crisi climatica, è vero anche che per lungo tempo è stato protagonista di un sistema che provoca squilibrio ambientale.

Adesso, dopo la riduzione dei transiti giornalieri, all’Autorità altro non resta che l’espediente. Ad esempio, il riutilizzo dell’acqua da una vasca all’altra e l’eventualità, non sempre attuabile per dimensioni, di permettere il passaggio in chiusa per coppie di navi. Che piaccia o meno, ora incide la goccia cinese della limitazione del pescaggio massimo consentito ai cargo: da 50 a 44 piedi. Trattasi di circa 13,4 metri, e questo nelle vasche neoPanamaxrealtà ingegneristiche costruite da un consorzio europeo guidato dal gruppo Salini Impregilo. La crisi idraulica e ambientale emette una sonora bocciatura anche al gigantismo nella trasportistica navale.

Il commercio intensivo non demorde

Se la regola è il libero mercato, comunque, il commercio intensivo ovviamente non accetta di perdere. Di conseguenza, la risposta alle restrizioni di transito alla fine è presto detta: alzare il prezzo. All’Autorità del canale di Panama la contromisura piace, piace al tal punto da favorire lo sprint al miglior pagante. Le compagnie di navigazione fanno la propria offerta e riducono i tempi di attesa. Partono le aste. In breve, se ne contano a centinaia. Per non poche, spiccano pacchetti che superano ciascuno il milione di dollari.

Del resto, allarmanti esigenze commerciali bussano alla porta. Sono la previsione di una domanda crescente per le festività natalizie e un orizzonte affetto dalla più che probabile indisponibilità di merci, tra cui gas e petrolio. Niente paura, comunque. Già noto che, dal 15 dicembre, MSC punta a 297 dollari di supplemento per ogni container attraversi il canale. Lo stesso per Hapag Lloyd che ha già previsto il supplemento di 130 dollari dal 1° gennaio. Le supply chain, come si vede, regolano molto più rapidamente la propria linea di galleggiamento.

(*) Link all’articolo originale: https://valori.it/crisi-idrica-canale-panama

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