Altre Befane
di Natalino Piras
Altre Befane
Per poter essere bruciate, alle streghe si doveva dare la caccia.
La caccia alle streghe ci fu in tutti i luoghi-tempo che l’Inquisizione occupava nel vecchio e nel nuovo continente, in Europa nelle Americhe.
Non solo l’Inquisizione cattolica: anche luterani e calvinisti fecero molte brujas. Da fare ardere con legna verde, come quella usata per Michele Serveto, a Ginevra, il 27 ottobre del 1553. Calvino fu il suo più spietato accusatore.
Un secolo e mezzo dopo, nel 1692, ci fu Salem, nel Massachusetts.
È lo stesso XVII secolo, seguito al Cinquecento delle guerre di religione e dell’intolleranza per antonomasia, che apre con i roghi di Giordano Bruno e con quello di Menocchio, mugnaio friulano che davanti al Sant’Uffizio sostiene essere il mondo una forma di formaggio: angeli e uomini sono come dei vermi che ne fuoriescono. Intollerabile eresia.
Quasi cent’anni dopo, a Salem, altre “vergini-streghe” vennero accusate di commercio con il demonio. Quell’episodio è arrivato sino a noi nei fogli e nei libri del tempo, narrato pure al cinema, preso dal testo teatrale di Arthur Miller, “Il crogiuolo”, a sua volta una metafora della caccia alle streghe durante il maccartismo.
Le streghe, in quell’America degli anni Cinquanta del Novecento, erano i comunisti.
Come al tempo dell’Inquisizione si formò e crebbe uno stuolo di brujas e brujos, verminò una fitta rete di delatori e spie, “tempo dei furfanti” lo definì Lillian Hellmann, compagna di vita dello scrittore Dashiell Hammett.
Anche la Sardegna fu sotto il dominio spagnolo dalla fine del Quattrocento sino al Settecento.
Tre secoli di Inquisizione su cui si sono innervate e hanno sedimentato molte altre forze e forme provenienti dal tempo dei nuraghi, passate attraverso altre dominazioni: i cartaginesi adoratori del dio Baal cui immolavano bambini, i romani, i vandali, i bizantini, i genovesi e i pisani e, prima della Spagna, l’autonomia giudicale, che ha la sua massima, contraddittoria espressione, nella giudicessa Eleonora d’Arborea: era rejna per i sardi, bruja per i catalano-aragonesi.
Le brujas e i brujos della Sardegna presentano qualche particolarità rispetto ad altri luoghi.
Forse ne bruciarono di meno. “In Sardegna non vi fu una vera e propria caccia alle streghe, forse perché il mago e la strega sardi si discostavano nel loro operare dallo stereotipo delle streghe perseguite dall’Inquisizione. Le loro caratteristiche più che a fattori eretici, sembravano condurre a credenze antichissime, facenti parte di un sottofondo religioso eurasiatico e mediterraneo a sfondo sciamanico”.
Ma non per questo le streghe cessarono di essere inquisite.
La parola “bruja” è terribile ancora oggi, pur divaricata tra fascino e insulto. Bruja-brussa-bagassa, fattucchiera, maga, donna di cattivo affare, meretrice, egua, garronera, trujota, cavalla, vagabonda, perdigiorno, troia.
Parole pesanti, al massimo grado del ferire, come quelle che in “Diceria dell’untore” del siciliano Gesualdo Bufalino un malato di tisi butta addosso alla donna amata, anche lei condannata a morire presto: cajorda, malacunnuta, panzaiarsa.
Bruja, in diminutivo quasi vezzeggiante fa brúšotta- bruixota, colei che opera brúšería-brujería-bruixería. In certe zone, buğería sta per “sciocchezze”, “ridicolezze”.
Brúša è anche il nome di un piccolo ragno campestre, senza localizzazione, l’argia.
Natalino Piras, “Brujas”, 2006.
https://www.facebook.com/natalino.piras
Immagini: Nico Orunesu