NO ALL’ESTRADIZIONE DI ANAN YAEESH

Appello per un militante palestinese arrestato in Italia

Riprendiamo e rilanciamo l’appello del Comitato per la liberazione di Anan Yaeesh

NO ALLA COMPLICITÀ TRA ITALIA E ISRAELE*
*NO ALL’ESTRADIZIONE DI ANAN YAEESH*

Il 29 gennaio 2024 le autorità italiane hanno arrestato, nella città dell’Aquila, Anan Yaeesh, a seguito di una richiesta di estradizione avanzata dalle autorità israeliane. Anan Yaeesh, 37 anni, è un palestinese originario della città di Tulkarem, in Cisgiordania; nel corso degli anni ha condotto la propria attività politica all’interno del contesto della Seconda Intifada; ha scontato oltre 4 anni nelle carceri dell’occupazione e subìto un agguato delle forze speciali israeliane nel 2006, durante il quale riportò gravi ferite per i colpi a lui inferti.

Anan lascia la Palestina nel 2013, diretto verso l’Europa. Si reca inizialmente in Norvegia dove viene sottoposto a degli interventi chirurgici per rimuovere i proiettili rimasti nel suo corpo per anni. Nel 2017 raggiunge l’Italia, dove si stabilisce, e dove nel 2019 ottiene un regolare titolo di soggiorno. Nel 2023 si reca in Giordania, dove viene rapito dai servizi di sicurezza giordani allo scopo, con ogni probabilità, di consegnarlo ad Israele. Dopo oltre sei mesi di detenzione, a seguito della diffusione della notizia del suo arresto e il pericolo che venisse consegnato alle autorità israeliane, i servizi di sicurezza giordani si trovano nella condizione di doverlo rilasciare al fine di evitare malcontento e reazioni da parte dell’opinione pubblica.

Nel novembre del 2023 torna in Italia, all’Aquila, dove risiede, e viene arrestato a seguito di un mandato di cattura italo-israeliano; questo ha luogo a seguito del consenso da parte del governo italiano all’estradizione – è difatti sulla base delle indicazioni del Ministro della Giustizia Italiano che viene portata avanti la richiesta di misura cautelare.

La decisione da parte dell’Italia di procedere con l’estradizione è di enorme gravità, e alla gravità del fatto che sia presa in considerazione l’estradizione di un cittadino palestinese alle autorità israeliane (sulla base di ipotetiche azioni di resistenza, svoltesi nei territori occupati, tutelate quindi dal diritto internazionale), si aggiungono anche una serie di considerazioni dettate dall’attuale situazione politica.

In primis l’Italia consegnerebbe un palestinese alle autorità israeliane, le quali lo processerebbero in un tribunale militare. In più, nel corso degli ultimi mesi, molteplici sono stati i rapporti di organizzazioni e associazioni internazionali per i diritti umani che riportano le inumane condizioni di detenzione e tortura nelle carceri israeliane. La preoccupazione per la situazione in corso è nella certezza che, in caso di estradizione, il destino di Anan sarà quello di essere condotto davanti ad una corte militare e sottoposto a trattamenti disumani, condizioni detentive impensabili, condizioni che ad oggi portano a 9 il numero di prigionieri politici palestinesi uccisi negli ultimi quattro mesi nelle carceri israeliane, morti per tortura e per negligenza sanitaria.

Inoltre, con ogni probabilità, gli elementi su cui sono state formalizzate accuse ad Anan Yaeesh sono il frutto di oramai noti metodi d’investigazione e interrogatori considerati illegali in Italia e compatibili con la definizione di tortura.

Riteniamo che questo episodio rischia inoltre di rappresentare un pericoloso precedente volto a sdoganare l’estradizione e consegna di palestinesi in Italia e in Europa dietro richiesta di Israele che, ricordiamo, porta avanti un’occupazione militare dei territori palestinesi.

Comitato per la liberazione di Anan Yaeesh

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Redazione
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4 commenti

  • “L’udienza prevista per il 12 marzo sarà cruciale per il destino di Yaneesh. Le sue difese hanno sollevato una serie di argomentazioni legali e morali contro l’estradizione, evidenziando le condizioni di apartheid imposte da Israele ai palestinesi e gli atti di presunto genocidio commessi dalle autorità israeliane. Tuttavia, la decisione finale spetterà alla corte d’appello di L’Aquila, che dovrà valutare attentamente tutte le prove e le argomentazioni presentate.
    In attesa di questa decisione cruciale, il comitato per la liberazione di Anan Yaneesh ha chiamato a una mobilitazione civile per sostenere la sua causa e impedire un’eventuale estradizione. Si tratta di un appello alla solidarietà e alla difesa dei diritti umani fondamentali, che dovrebbe trovare eco non solo in Italia, ma in tutto il mondo.”
    https://www.ultimavoce.it/l-italia-arresta-anan-yaneesh/?fbclid=IwAR3Q-9JMfa-WpL5nqV7xGX95ycRTf2XIDlscik-ueUQ6j6GtCGE1lrI-Jqs

  • Ascari (M5S): «Nordio risponda sul caso Yaeesh. Si rischia un precedente pericoloso»
    https://ilmanifesto.it/ascari-m5s-nordio-risponda-sul-caso-yaeesh-si-rischia-un-precedente-pericoloso

    ITALIA/ISRAELE. Intervista alla parlamentare firmataria, con tutto l’intergruppo “Per la pace in Palestina e Israele”, dell’interrogazione al ministro della giustizia: «Vogliamo sapere su quali basi il cittadino palestinese è stato arrestato. Se l’estradizione venisse autorizzata, di quanti altri palestinesi Israele potrebbe chiedere l’estradizione?»
    Chiara Cruciati
    È firmata da tutto l’intergruppo parlamentare «Per la pace tra Palestina e Israele» l’interrogazione indirizzata al ministro della giustizia Nordio e a quello degli esteri Tajani in merito alla richiesta di estradizione del 37enne palestinese Anan Yaeesh, in prigione in Italia dal 29 gennaio. «È stata sostenuta da tutti, Laura Boldrini, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli… Più di venti parlamentari», ci spiega Stefania Ascari del Movimento 5Stelle.

    Cosa chiedete ai ministri?

    Chiarimenti sulla richiesta di estradizione di Israele che, se concessa, creerebbe un precedente serissimo alla luce dell’obbligo di giusto processo e delle condizioni di detenzione nelle prigioni israeliane, come descritte anche dall’ultima relazione della relatrice speciale Onu Francesca Albanese. Condizioni disumane e di tortura. Parliamo di un ragazzo residente in Italia, titolare di regolare permesso, con un passato di persecuzioni alle spalle in quanto palestinese. Riteniamo inaccettabile che Israele muova simili richieste arbitrariamente e che l’Italia si pieghi.

    Colpisce, oltre all’accoglimento della richiesta, la scelta della misura cautelare più pesante, il carcere, a fronte – tra l’altro – di una documentazione nebulosa.

    Chiediamo di capire sulla base di quali accuse a un cittadino regolarmente residente sia stata ristretta la libertà personale con la misura più grave presente nel nostro ordinamento penale. Nell’interrogazione evidenziamo che Yaeesh ha alle spalle un passato di resistenza politica in Cisgiordania e ha subìto sofferenze e persecuzioni.

    Al di là al di là del reato che potrebbe aver commesso o meno, l’estradizione è vietata se c’è il rischio di subire trattamenti disumani e torture.

    Parliamo di un paese che utilizza tortura, privazione del cibo del sonno e detenzione arbitraria amministrativa senza aver commesso reati. E parliamo di più di 5.000 palestinesi detenuti in queste condizioni dal 7 ottobre in avanti. Torno sul punto per me più pericoloso: creare un precedente. Quanti cittadini palestinesi potrebbero venire estradati? Se l’estradizione venisse autorizzata, di quanti altri palestinesi Israele potrebbe chiedere l’estradizione?

    La decisione di Nordio di accettare a scatola chiusa ha un significato politico prima che giuridico? Ribadire il sostegno allo Stato di Israele?

    Da giurista ho bisogno di conoscere gli atti. Però una decisione così immediata onestamente non me la ricordo. Soprattutto in un momento in cui è in corso un conflitto gravissimo in cui all’orrore del 7 ottobre, che noi abbiamo condannato fermamente, è seguito un orrore che va avanti, l’uccisione di 30mila palestinesi. Si concederebbe un’estradizione in un momento in cui è in atto un massacro senza precedenti.

  • «Il rischio di tortura è concreto: Anan Yaeesh deve restare in Italia» PALESTINA/ITALIA. Il caso del 37enne palestinese, in carcere dal 29 gennaio dopo la richiesta di estradizione di Israele. Il 12 marzo camera di consiglio. L’avvocato Flavio Rossi Albertini: «Protezione speciale e sentenza della Cassazione dicono che è in pericolo. Non esistono precedenti di palestinesi estradati dall’Italia in Israele. Se sarà negata, difficilmente il governo accoglierà di nuovo una simile richiesta»
    Chiara Cruciati
    Da un mese esatto Anan Yaeesh è privato della libertà in Italia, senza accuse né processo. Su di lui pesa una richiesta di estradizione da parte di Israele, accolta dal ministro della giustizia Nordio e tradotta nella misura cautelare più restrittiva: la detenzione.
    ANAN YAEESH è un cittadino palestinese di 37 anni, un passato da prigioniero politico negli anni della Seconda Intifada e una vita in Europa iniziata nel 2013. Due giorni fa il suo team difensivo ha presentato alla Corte d’Appello de L’Aquila, la città in cui risiede e dove è stato arrestato, un’istanza di revoca della misura cautelare.
    Obiettivo, tirarlo fuori. «La Corte ha fissato una camera di consiglio il 12 marzo – ci spiega l’avvocato Flavio Rossi Albertini – In quella sede discuteremo l’istanza che ho presentato. La Corte probabilmente si riserva questo tempo per studiare le questioni presentate». Questioni che, spiega Albertini, da sole bastano a far cadere qualsiasi richiesta di estradizione: il rischio concreto ed effettivo che Yaeesh venga sottoposto a trattamenti inumani e degradanti e alla tortura e la «clausola di non discriminazione» a fronte del crimine di apartheid di cui è accusato lo Stato di Israele da diverse ong internazionali.
    Nel caso in questione la clausola si traduce nella persistenza nei Territori palestinesi occupati, fin dal 1967, di un doppio standard giuridico per palestinesi e israeliani, con i primi sottoposti a regime militare e non civile; nella deportazione dei prigionieri palestinesi in territorio israeliano; e nel rischio di essere sottoposti a detenzione amministrativa, senza accuse né processo. A dare forza all’istanza però, insiste Albertini, è il rischio di tortura e di trattamenti disumani.

    LA REDAZIONE CONSIGLIA:
    «Sono ancora vivi»: il silenzio delle carceri è rotto solo da chi esce
    «Citiamo rapporti delle Nazioni unite – spiega – e rapporti di organizzazioni non governative, dai più recenti, successivi al 7 ottobre, ai più lontani nel tempo. Non solo: ad Anan l’Italia ha riconosciuto la protezione speciale proprio sulla base dei rischi che correrebbe se rientrasse nei Territori occupati palestinesi». Lo ha fatto la Commissione territoriale di Foggia, sulla base del principio di non refoulement: permesso di soggiorno per protezione speciale a causa del rischio di «ritorsioni e/o maltrattamenti aventi intensità persecutoria da parte di Israele».
    E POI C’È la Cassazione che nel 2020, accogliendo la richiesta israeliana di estradizione per un proprio cittadino, l’ha giustificata proprio nel suo «non essere palestinese» e dunque non a rischio di subire condizioni di detenzione che violano il diritto internazionale.
    «Corte e Commissione dicono la stessa cosa – continua Albertini – Un palestinese non può essere consegnato: sarebbe chiaramente esposto a ritorsioni, maltrattamenti e violenze. In base al Codice di procedura penale, alla Convenzione europea di estradizione e alle decisioni della Cedu a cui l’Italia aderisce, tale principio non può essere mai derogato. In tali condizioni un soggetto, qualsiasi sia l’accusa, non è estradabile».
    L’istanza ripercorre una storia nota: dettaglia le forme di tortura sui prigionieri politici palestinesi, l’impennata di arresti dal 7 ottobre ma anche la persecuzione strutturale nei decenni precedenti. A oggi sono 9mila i palestinesi detenuti per motivi politici, 6.220 quelli arrestati negli ultimi cinque mesi. Si calcola che dal 1967 almeno un milione di palestinesi sia stato arrestato da Israele per ragioni politiche. Non c’è famiglia che non conti almeno un membro passato per una cella, almeno una volta nella vita.
    DA ISRAELE per ora non giungono notizie, o almeno la difesa di Yaeesh non ne ha ricevuto notifica. Dalla richiesta di estradizione mossa a Nordio, le autorità israeliane hanno 40 giorni di tempo per dettagliarne le ragioni. Scadono il 9 marzo. Al momento, le poche righe giunte sulla scrivania del ministro parlano di finanziamento, almeno uno, alla Brigata Tulkarem, gruppo palestinese attivo nella città cisgiordana e nel suo campo profughi a difesa della popolazione contro i raid quasi quotidiani dell’esercito israeliano.
    «Non sappiamo se il ministro abbia ricevuto qualcosa. Potremo verificare se i 40 giorni sono stati rispettati quando avremo modo di accedere al fascicolo. È un lasso di tempo a pena di decadenza, potremmo fare istanza per dichiararne l’inefficacia se venisse violato».
    La sensazione che emerge è che quello di Anan sia un caso politico prima che giuridico: «Non esistono nelle banche dati dei precedenti di palestinesi estradati dall’Italia, nonostante la stretta collaborazione con Israele – conclude Albertini – Spero che Yaeesh non sia il primo perché ne seguirebbero altri. Se invece l’estradizione sarà negata, si determinerà un precedente positivo. Difficilmente Israele muoverà di nuovo una richiesta del genere o un ministro della giustizia deciderà di accoglierla».
    https://ilmanifesto.it/il-rischio-di-tortura-e-concreto-anan-yaeesh-deve-restare-in-italia

  • https://ilmanifesto.it/ce-il-rischio-tortura-yaeesh-resta-in-italia di Mario Di Vito
    ITALIA/PALESTINA. La decisione della Corte d’appello dell’Aquila. I giudici sconfessano Nordio, ma resta in piedi l’inchiesta per terrorismo
    Non ci sono le condizioni per estradare Anan Yaeesh in Israele perché «vi è motivo di ritenere» che lì «possa essere sottoposto a trattamenti crudeli, disumani o degradanti». Lo dice la Corte d’appello dell’Aquila, che ha sostanzialmente accolto in pieno le ragioni dell’istanza presentata dall’avvocato del 37enne palestinese, Flavio Rossi Albertini. Per i giudici, dunque, non esistono «le condizioni per una sentenza favorevole all’estradizione in quanto il detenuto è sottoposto a procedimento penale per gli stessi fatti oggetto della richiesta di estradizione nell’ambito di un procedimento promosso dalla Procura dell’Aquila» perterrorismo. Inoltre c’è c’è la possibilità che venga sottoposto a tortura. La Corte evince «tale rischio dalle relazioni, depositate dalla difesa, di organizzazioni non governative, ritenute affidabili sul piano internazionale, quali Amnesty International e Human Rights Watch». Il riferimento è alle notoriamente terribili condizioni di detenzione in Israele per i cittadini paestinesi, «caratterizzate da sovraffollamento, violenze fisiche, condizioni di scarsa igiene e di mancata assistenza sanitaria ulteriorme te peggiorate in concomitanza con il conflitto in corso».
    Yaeesh resterà però ugualmente in carcere a Terni, dove è rinchiuso dalla fine dello scorso gennaio, proprio perché finito al centro di un’inchiesta della Dda dell’Aquila per terrorismo internazionale, insieme ad altri due suoi concittadini, Ali Saji Rabhi Irar e Mansour Doghmosh. Gli investigatori, sulla base per lo più di elementi raccolti dalla giustizia israeliana oltre che da alcuni post sui social network e alcune chat, sostengono che i tre abbiano instaurato un rapporto di collaborazione con le Brigate Tulkarem allo scopo di «organizzare attentati suicidari in territorio israelo-palestinese, in particolare in Cisgiordania». Oltre che per il rischio di trattamenti disumani e degradanti, è sulla base di questa indagine italiana, in virtù della convenzione internazionale sull’estradizione, che Yaeesh non può essere rimandato in Israele e deve attendere in Italia il compiersi del suo destino giudiziario. E questo nonostante il ministero della Giustizia avesse dato il suo parere favorevole. Tutto questo, peraltro, avviene in concomitanza con la visita del Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della repubblica, in Israele per incontrare sia il governo di Tel Aviv sia l’Autorità nazionale palestinese. L’obiettivo della missione, si apprende, è «fare il punto sulle implicazioni per la sicurezza nazionale del conflitto in Medio Oriente». L’inchiesta che vede Yaeesh al centro riguarda esattamente affari del genere.

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