Guatemala: la vita impossibile dei giornalisti comunitari

Norma Sancir, da nove anni, attende di essere scagionata dalle accuse di “disordine pubblico”. Fu arrestata nel 2014 mentre copriva una protesta degli indigeni maya, in qualità di operatrice dell’informazione comunitaria. La giornalista si è sempre battuta per i diritti della popolazione maya ch´ortí´, denunciandone gli abusi da parte dello stato guatemalteco.

di David Lifodi

Da 9 anni la giornalista comunitaria Norma Sancir attende giustizia. La donna, guatemalteca di origine maya Kaqchikel, fu arrestata illegalmente il 18 settembre 2014 da tre agenti della Policía Nacional Civil.

La giornalista si è sempre battuta per i diritti della popolazione maya ch´ortí´, denunciandone gli abusi da parte dello stato guatemalteco e sostenendo le battaglie delle comunità indigene per difendere i loro diritti, in particolar modo quelli delle donne.

Il 18 gennaio 2014 Norma fu avvisata dello sgombero di un gruppo di manifestanti che stava occupando il ponte di Jupilingo a Camotán, territorio delle stesse comunità maya e dove anche lei risiedeva, per protestare contro la Ley de Telecomunicaciones e la Ley de Desarrollo rural. Da alcuni giorni la donna stava coprendo le proteste per Prensa Comunitaria. Norma non ci pensò due volte e si recò immediatamente sul luogo della protesta poiché il suo lavoro consisteva anche nel condividere con i colleghi di altri mezzi d’informazione comunitari quanto stava accadendo. Arrivata sul posto, dopo aver fotografato alcune delle fasi dello sgombero da parte della polizia, fu arrestata dalla stessa Policía Nacional Civil, nonostante avesse mostrato il suo tesserino da giornalista e indossasse un giubbotto che la identificava chiaramente come operatrice dell’informazione. In quell’occasione, la polizia la accusò di non far parte dei mezzi di comunicazione universalmente riconosciuti, solo perché era una giornalista comunitaria, le tolsero tutti i suoi strumenti di lavoro e le imputarono, tra le varie accuse, anche quella di “disordine pubblico”.

Purtroppo, la professione di giornalista non servì per farsi rilasciare in un paese come il Guatemala, al 127° posto, su 180 paesi, per la libertà di stampa. Il caso di Norma Sancir, purtroppo, nel paese centroamericano, non è isolato. Nel 2021 il giornalista Carlos Choc, anch’esso impegnato a seguire una manifestazione di protesta, è stato arrestato con la surreale accusa di fomentare la violenza ed è stato rilasciato solo il 31 gennaio di quest’anno. Con accuse analoghe, nel 2020, a Quetzaltenango, Anastasia Mejía Tiquiriz, giornalista e direttrice di Xolabaj TV, si è fatta 36 giorni di carcere con un’accusa altrettanto fantasiosa, quella di sedizione e attentato. Anche per lei le porte del carcere si sono aperte mentre stava coprendo un corteo di protesta con l’aggravante di esser stata costretta a trascorrere la prima notte in cella in un carcere maschile. Questi sono solo alcuni dei casi più eclatanti, ma gli ultimi dati di cui è in possesso l’Asociación de Periodistas de Guatemala, risalenti al 2022, riportano 117 casi di violazioni della libertà di stampa, da casi di censura all’obbligo di esilio. Per Prensa Comunitaria, che ha notizie più recenti, relative al periodo gennaio-novembre 2023, il numero di violazioni è già salito a 270.

La giustizia guatemalteca, già lenta e spesso indebolita dalla corruzione, ha stravolto la vita di Norma Sancir, in attesa di giudizio dal 2014. Oltre a lei, a tremare, pur sapendo di poter contare su una impunità diffusa, sono i membri della polizia che l’hanno arrestata, l’ex commissario Ceferino Salquil Soval e le agenti Olga Leticia Segura e Mirna Marleny Agustín. Quanto a Marcelina López Pérez, la quarta accusata, ha smesso di presentarsi alle udienze, ha cambiato domicilio e, attualmente, non è rintracciabile.

Gli imputati sostengono di non aver commesso alcun abuso di potere, eppure l’arresto non è avvenuto in flagranza e, spiegano gli avvocati della donna, un giornalista ha diritto alla libertà di pensiero e di espressione. Se è vero che la detenzione reale di Norma Sancir è durata soltanto quattro giorni, è altrettanto innegabile che ad essere cambiata non è stata solo la sua vita, ma anche quella delle comunità indigene che, a causa del suo arresto, non hanno più potuto aver garantito quel diritto all’informazione dovuto al suo lavoro. Quanto agli imputati, se verrà accertata la loro responsabilità nell’arresto illegale e nell’abuso di potere nei confronti della donna, rischiano poco meno di quattro anni di carcere commutabili in una sanzione comunitaria.

Il caso di Norma Sancir, che potrebbe rappresentare un precedente positivo, nel caso in cui il processo abbia un esito favorevole, per il giornalismo guatemalteco, ma soprattutto per le donne giornaliste e, in particolare, per quelle maya come la stessa Norma.

La storia di Norma merita di essere raccontata. Arrivata nella capitale da Tecpán, Chimaltenango, a causa del conflitto armato interno, ha avuto tra i suoi maestri, all’Escuela de Ciencias de la Comunicación dell’Universidad de San Carlos de Guatemala, Elías Barahona, docente e giornalista che ha vissuto in prima persona, negli anni Ottanta, il periodo più cruento della guerra scatenata dallo Stato nei confronti degli indigeni maya. Proprio grazie a Barahona, Norma si è laureata in giornalismo e, pian piano, ha iniziato a lavorare nell’ambito dell’informazione comunitaria, iniziando a dar voce al movimento indigeno, a quello contadino e scegliendo, in seguito, di vivere a Camotán, con le comunità maya Ch’orti’.

Per questo il diritto alla libertà di espressione di Norma Sancir e di tutte e tutti i comunicatori comunitari resta ogni giorno di più urgente e imprescindibile.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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