articoli e video di Jeffrey Sachs, Giacomo Gabellini, Roberto Buffagni, Gaetano Colonna, Fabio Marcelli, Adam Entous, Michael Schwirtz, John Kiriakou, Mario Lombardo, Fabio Vighi, Giuseppe Masala, Mikhail Kononovich, José Miguel Villarroya, Giuliano Marrucci, Remocontro, Elena Basile, Fabio Mini, Antonio Mazzeo, Clara Statello, Margherita Furlan, Francesco Masala, Lucio Caracciolo
Mondo in frantumi eredità della Cia – Jeffrey Sachs
TRAMARE SENZA PAGARE. I suoi metodi sono segreti e doppi. L’assenza di responsabilità permette ad agenzia e presidente di gestire la politica estera senza alcun controllo pubblico: il Congresso è uno zerbino
Esistono tre problemi fondamentali con la Cia: gli obiettivi, i metodi e la mancanza di responsabilità.
I suoi obiettivi operativi sono quelli che la Cia o il presidente definiscono essere nell’interesse Usa in un determinato momento, indipendentemente dal diritto internazionale o dalle leggi statunitensi. I suoi metodi sono segreti e doppi. L’assenza di responsabilità significa che la Cia e il presidente gestiscono la politica estera senza alcun controllo pubblico. Il Congresso è uno zerbino. Come ha detto un recente direttore della Cia, Mike Pompeo, parlando del suo mandato: “Ero il direttore. Mentivamo, imbrogliavamo, rubavamo. Avevamo interi corsi di formazione. Tutto questo ti ricorda la gloria dell’esperimento americano”.
La Cia fu istituita nel 1947 come successore dell’office of Strategic Services (Oss). L’Oss aveva svolto due ruoli distinti durante la Seconda guerra mondiale, l’intelligence e la sovversione. La Cia assunse entrambi i ruoli. Da un lato, doveva fornire informazioni al governo.
Dall’altro, sovvertire il “nemico”, cioè chiunque il presidente o la Cia definissero tale, utilizzando un’ampia gamma di misure: assassinii, colpi di Stato, inscenare disordini, armare gli insorti e altri mezzi.
Quest’ultimo ruolo si è rivelato devastante per la stabilità globale e lo Stato di diritto statunitense. Un ruolo che la Cia continua a perseguire anche oggi. In effetti, si tratta di un esercito segreto, capace di creare scompiglio nel mondo senza alcuna responsabilità. Quando il presidente Dwight Eisenhower decise che l’astro nascente della politica africana, il democraticamente eletto Patrice Lumumba dello Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo), fosse il “nemico”, la Cia cospirò nel suo assassinio nel 1961 (…)
Nei suoi 77 anni di storia, la Cia è stata chiamata a rispondere pubblicamente solo una volta, nel 1975. Quell’anno, il senatore dell’idaho Frank Church guidò un’indagine del Senato che rivelò la scioccante furia della Cia in fatto di assassinii, colpi di Stato, destabilizzazione, sorveglianza, torture ed “esperimenti” medici stile Mengele. La denuncia da parte del Comitato Church degli scioccanti illeciti Cia è stata recentemente raccontata in un superbo libro del reporter investigativo James Risen, The Last Honest Man: The CIA, the FBI, the Mafia, and the Kennedys-and One Senator’s Fight to Save Democracy.
(…) Si pensi se le operazioni canaglia della Cia fossero state consegnate alla storia in seguito ai crimini denunciati dal Comitato Church (…). Ma non è stato così. La Cia ha potuto ben ridere per ultima – o meglio, ha fatto piangere il mondo – mantenendo il ruolo preminente degli Usa nella politica estera, comprese le azioni di sovversione all’estero.
Dal 1975 ha condotto operazioni segrete a sostegno degli jihadisti islamici in Afghanistan, distruggendolo completamente e dato origine ad al Qaeda. Ha probabilmente condotto operazioni segrete nei Balcani contro la Serbia, nel Caucaso contro la Russia e in Asia centrale contro la Cina, tutte effettuate con l’impiego di jihadisti. Negli anni 2010 ha condotto operazioni mortali per rovesciare la Siria di Bashir al-assad, sempre con l’apporto di jihadisti islamici. Per almeno 20 anni è stata profondamente coinvolta nel fomentare la crescente catastrofe in Ucraina, compreso il violento rovesciamento del presidente Viktor Yanukovych nel febbraio 2014, che ha innescato la devastante guerra che ora sta travolgendo l’ucraina.
Cosa sappiamo di queste operazioni? Solo le parti che gli informatori, alcuni intrepidi reporter investigativi, una manciata di coraggiosi studiosi e alcuni governi stranieri sono stati disposti o in grado di raccontarci, con potenziali testimoni consapevoli di andare incontro a gravi ritorsioni da parte del governo statunitense. La responsabilità dello stesso governo americano è stata scarsa o nulla, così come la supervisione o la limitazione imposta dal Congresso. Al contrario, il governo ha aumentato l’ossessione per la segretezza, perseguendo azioni legali aggressive contro la divulgazione di informazioni classificate, anche quando, o soprattutto quando, tali informazioni descrivono le azioni illegali del governo stesso.
Di tanto in tanto, un ex funzionario statunitense ha vuotato il sacco, come quando Zbigniew Brzezinski ha rivelato di aver indotto Jimmy Carter a incaricare la Cia di addestrare gli jihadisti islamici per destabilizzare il governo dell’afghanistan, con l’obiettivo di indurre l’unione Sovietica a invadere quel Paese. Nel caso della Siria, abbiamo appreso da alcuni articoli del New York Times nel 2016 e 2017 delle operazioni sovversive della Cia per destabilizzare la Siria e rovesciare Assad, come ordinato dal presidente Barack Obama. Ecco il caso di un’operazione della Cia terribilmente sbagliata, in palese violazione del diritto internazionale, che ha portato a un decennio di caos, a un’escalation della guerra regionale, a centinaia di migliaia di morti e a milioni di sfollati, eppure non c’è stato un solo riconoscimento onesto di questo disastro da parte della Casa Bianca o del Congresso.
Nel caso dell’ucraina, sappiamo che gli Usa hanno svolto un ruolo importante, e segreto, nel violento colpo di Stato che ha fatto cadere Yanukovych e che ha trascinato l’ucraina in un decennio di spargimenti di sangue, ma a tutt’oggi non ne conosciamo i dettagli. La Russia ha offerto al mondo una finestra sul colpo di Stato intercettando e poi pubblicando una telefonata tra Victoria Nuland, allora vicesegretario di Stato americano (ora sottosegretario di Stato) e l’ambasciatore americano in Ucraina Geoffrey Pyatt (ora vicesegretario di Stato), in cui si progettava il governo post-golpe. Dopo il colpo di Stato, la Cia ha addestrato segretamente le forze operative speciali del regime post-golpe che gli Usa avevano contribuito a portare al potere. Il governo statunitense ha taciuto sulle operazioni segrete della Cia in Ucraina.
(…) Chiedere alla Cia di rendere conto all’opinione pubblica è ovviamente una strada in salita. I presidenti e il Congresso non ci provano nemmeno. I media tradizionali non indagano preferendo invece citare “alti funzionari anonimi” e l’insabbiamento ufficiale. I media mainstream sono pigri, subornati, timorosi per gli introiti pubblicitari del complesso militare-industriale, minacciati, ignoranti o tutte queste cose? Chi lo sa.
C’è un piccolo barlume di speranza. Nel 1975, la Cia era guidata da un riformatore. Oggi è guidata da William Burns, uno dei principali diplomatici americani di lungo corso. Burns conosce la verità sull’ucraina, poiché è stato ambasciatore in Russia nel 2008 e ha informato Washington del grave errore di spingere verso l’allargamento della Nato all’ucraina. Data la sua statura e i risultati diplomatici, forse sosterrebbe l’urgente necessità di rendere conto del proprio operato.
Gli effetti del continuo caos derivante dalle operazioni della Cia andate male è sbalorditiva. In Afghanistan, Haiti, Siria, Venezuela, Kosovo, Ucraina e via continuando, le morti inutili, l’instabilità e la distruzione scatenate dalle azioni di sovversione della Cia continuano ancora oggi. I media tradizionali, le istituzioni accademiche e il Congresso dovrebbero indagare su queste operazioni al meglio delle loro possibilità e chiedere il rilascio di documenti per consentire che si metta in atto una responsabilità democratica.
L’anno prossimo ricorre il 50° anniversario delle audizioni del Comitato Church. A cinquant’anni di distanza, è urgente aprire le porte, rivelare la verità sul caos guidato dagli Usa e dare inizio a una nuova era in cui la politica estera americana diventi trasparente, responsabile, soggetta allo Stato di diritto sia interno che internazionale e diretta alla pace globale piuttosto che alla sovversione di presunti nemici.
1 – Alla radio e alla tv continuano a dire che Navalny è stato ammazzato dal cattivissimo Putin; strano che non sappiano che uno dei più grandi nemici di Putin, Kiril Budanov, il capo dell’intelligence del ministero della Difesa ucraina, la cui parola è quasi sempre, ma non questa volta, un dogma di fede, dice: “Potrei deludervi ma quello che sappiamo è che è morto davvero per un coagulo di sangue. E questo è più o meno confermato. Questo non è stato preso da internet, ma, sfortunatamente si tratta di morte naturale”, (qui).
2 – Pare che Macron e Scholz (inutili idioti) vogliano fare la guerra alla Russia, il primo vuole la rivincita per conto di Napoleone, il secondo la rivincita per conto di Hitler, ma per i bookmakers sarebbe solo una riperdita. A Macron bisognerebbe ricordare che, dopo la guerra nucleare, in un futuro indefinito, qualcuno giocherà con i resti delle torre Eiffel ridotta a bastoncini per il gioco dello shanghai.
Due anni di guerra in Europa – Gaetano Colonna
In questi due anni di conflitto fra Russia e Ucraina, non si è fatto altro che parlare di fake news e di disinformazione. Telegiornali e quotidiani, intanto, si sono ogni giorno riempiti di notizie che avevano ed hanno il sapore di pura propaganda: vivendo in un Paese occidentale, ovviamente, questa propaganda è stata sviluppata costantemente in senso anti-russo.
Abbiamo pensato sia giusto e necessario mettere semplicemente in fila alcuni punti che la propaganda del mainstream occidentale dimentica di ricordare, e che un buon europeo, invece, non deve dimenticare.
Motivazione della guerra
Secondo la propaganda occidentale, l’aggressione di Putin dimostra la volontà della Russia di conquistare l’Ucraina, e quindi rappresenta un minaccia diretta per l’Occidente.
Non è così: risulta oramai evidente che Putin ha concepito l’intervento militare come una operazione speciale il cui scopo era, in prima battuta, il rovesciamento del regime di Zelensky; contemporaneamente, l’acquisizione delle province russofone del Donbass, che l’Ucraina ha tenuto per lunghi anni in condizioni di guerra civile (2014-2022).
Mentre il primo obiettivo della Russia è chiaramente fallito, per ragioni di cui si occuperanno gli storici, il secondo, almeno fino ad oggi, è stato raggiunto.
Strategia militare russa
Rimasticando l’antica propaganda anticomunista del rullo compressore russo, si è continuato a ripetere che la Russia intende distruggere sistematicamente l’Ucraina: popolazione, infrastrutture, fabbriche, ecc.
Un’interpretazione risibile: la Russia non ha alcun interesse a distruggere i territori che ha occupato, semplicemente perché, in caso di vittoria, toccherebbe a lei ricostruirli. Inoltre, non ha alcun interesse a far morire di fame e di stenti la popolazione, in larghissima prevalenza filo-russa, che dichiara di aver liberato, privandola di strade, scuole, ospedali, linee di comunicazione, risorse agricole e industriali.
È oggi evidente che la Russia non ha mai impiegato finora tutto il proprio potenziale militare, adottando una strategia di guerra limitata, non di guerra totale (per intendersi quella da tutti adoprata nel corso della Seconda Guerra Mondiale): il non averlo fatto è proprio ciò che un certo Prigogyn rimproverava a Putin. Sappiamo tutti la fine che ha fatto…
Controffensiva ucraina
La controffensiva dell’Ucraina, che doveva imporre alla Russia l’abbandono dei territori conquistati nel Donbass, nel corso della primavera/estate del 2023, è strategicamente e tatticamente fallita, nonostante il profluvio di armi, munizioni, addestramento militare, supporto di intelligence, largamente forniti, in modo sia ufficiale che coperto, da numerosi Paesi occidentali, tra cui l’Italia.
La Russia non solo ha tenuto, ma, nel corrente inverno, ha poco a poco addirittura riguadagnato i (pochi) terreni perduti fino ad allora. Per chi ha ancora dei dubbi, consigliamo di monitorare il sito Understandingwar, espressione dei servizi di informazione militare britannici, non sospettabili crediamo di derive filo-putiniane: esso mostra quotidianamente avanzate e ritirate dei due contendenti sul terreno.
Demografia e renitenza in Ucraina
L’insuccesso ucraino sul campo ha messo spietatamente in luce quali sono i punti strutturali della debolezza ucraina: una situazione demografica in costante calo; la difficoltà del reclutamento e addestramento dei propri soldati; l’elevato numero (soprattutto di giovani) renitenti o disertori. Il che mostra anche che il conflitto non è così popolare come Zelensky vorrebbe far credere a noi occidentali. Il che pone una domanda fondamentale: veramente gli Ucraini non accetterebbero una soluzione negoziata del conflitto, che lasciasse alla Russia le regioni da essa rivendicate, magari in cambio di una pace che garantisse l’indipendenza ucraina e magari finanziasse a spese della Russia la sua ricostruzione?
Ucraina democratica?
Quando Zelensky afferma che sta combattendo la guerra per difendere le democrazie europee, dovremmo come minimo sorridere. Si vada a vedere nei dettagli come è praticata la democrazia in Ucraina: elezioni sospese, partiti sciolti, oppositori imprigionati.
Corretto obiettare che certo la Russia non vanta un pedigree migliore. Ma questo non consente ai nostri maestrini mediatici di prenderci in giro tacendo le modalità di gestione della cosa pubblica in Ucraina: a partire dalla concentrazione di interessi privati e pubblici nelle mani di pochi privilegiati, con la corruzione che ne deriva, per la quale, come si è appreso anche di recente, i nostri conclamati aiuti militari finivano all’estero, riempiendo la tasche di qualche alto funzionario governativo.
Sanzioni alla Russia
È oggi conclamato che le sanzioni contro la Russia, che per mesi la propaganda occidentale ha presentato come capaci di provocare il crollo del sistema economico-politico di Putin, non solo non hanno raggiunto, almeno fino a oggi, questo risultato: al contrario, a quanto pare, stanno fornendo alla Russia un’occasione unica non solo di sviluppare una gestione “autarchica” della propria economia, ma anche e soprattutto di costruire una rete mondiale di rapporti economici, che la pongono oggi alla testa di tutti quei Paesi del sud del mondo scontenti del neo-colonialismo occidentale. Per tacere di quei Paesi filo-occidentali (Turchia, Qatar, India, Brasile) che zitti zitti sviluppano attive e lucrose triangolazioni per aggirare le sanzioni, e che nessuno tocca perché sono troppo importanti anche per l’Occidente.
Armi e munizioni all’Ucraina
Gli specialisti militari stanno scrivendo ovunque, al di qua e aldilà dell’Atlantico, che le scorte di armi e munizioni alleate, prosciugate dai poderosi aiuti militari all’Ucraina, richiedono oggi anni per esser ricostituite, e soprattutto consistenti investimenti nello sviluppo di una industria bellica ad elevata produttività.
Ciò comporta una riorganizzazione dei sistemi produttivi occidentali, nella direzione di quella che si chiamava un tempo economia di guerra. Una riorganizzazione che potrebbe presto porre la classica alternativa: burro o cannoni? Questa alternativa interesserà in particolare l’Europa, perché gli Usa, impegnati in Medio Oriente e in Asia Orientale, non intendono più impoverire le proprie scorte per una guerra europea.
Siamo tutti d’accordo sul voler riconvertire i nostri sistemi produttivi per la guerra, dopo avere blaterato per decenni di pace nel mondo, per prolungare questo conflitto, anziché cercare di ottenere una pace giusta e duratura?
Attacco al North Streaming
Se si è oggi minimamente in buona fede, risulta evidente che i mandanti, se non gli autori materiali, del sabotaggio al North Streaming stanno negli Stati Uniti d’America: lo hanno scritto e documentato giornalisti statunitensi. Ma Biden stesso lo aveva promesso, in una oramai celebre conferenza stampa, nel significativo silenzio del cancelliere tedesco che era con lui.
Non staremo qui a criticare la ridda di menzogne che i media italiani ci hanno propinato per mesi su questo tema, senza mai fare autocritica quando poi le evidenze in contrario sono diventate schiaccianti.
Quello che conta davvero è che questo incidente dimostra il nocciolo epocale del conflitto: non interessa affatto difendere l’Europa contro la minaccia russa – si tratta della strategia perseguita da sempre nel secondo dopoguerra, di evitare che l’Europa divenisse amica o addirittura alleata della Russia. Questa è la vera ragione dell’ostilità statunitense al buon funzionamento dello scambio energia contro prodotti e valute europei, che ha favorito i buoni rapporti fra Paesi europei e Russia per decenni. Si tratta quindi di una guerra che serve a creare un conflitto permanente tra Europa e Russia: nonostante quest’ultima sia storicamente parte dell’Europa, non dell’Asia. Il mondo slavo è infatti una delle tre anime costitutive (storicamente, culturalmente, etnicamente) dell’Europa, insieme a quella germanica e neolatina.
Ruolo della Nato
L’allargamento della Nato, pervicacemente voluto e attuato dal mondo atlantico, è la riprova di quanto appena detto. Dopo la caduta del comunismo (1989-1991), non esisteva più una reale minaccia da est in Europa: il Patto di Varsavia era dissolto, i Paesi orientali europei ridotti alla miseria e politicamente irrilevanti. Era giunto il momento di pensare a una vera unificazione del continente, che avrebbe potuto costituire un elemento di stabilità, sicurezza, progresso a livello mondiale.
L’ostinazione con cui gli strateghi atlantici hanno invece perseguito la trasformazione della Nato in una sorta di gendarme mondiale, ha impedito che si aprisse la via a quel processo, che, se realizzato, avrebbe evitato guerre come quella attuale; avrebbe permesso all’Ucraina di realizzare la sua vera vocazione storica, che è proprio quella di essere ponte fra Europa e Russia; avrebbe reso impensabile lo scontro che si profila tra Usa e Cina, avendo l’Europa la possibilità di porsi come elemento equilibratore tra le due aree, quella atlantica e quella pacifica, di possibile tensione.
Avere contrastato questa soluzione, spingendo la Nato minacciosamente verso la Russia, per fomentare uno scontro con questo Paese e impedendo così una unificazione europea integrale è una responsabilità di prima grandezza in capo ai Paesi anglosassoni difronte al futuro ed alla storia.
Kiev, i colpi di coda dell’Occidente – Fabio Marcelli
Non ci vogliono stare. La propaganda atlantista rilancia, imperterrita e sbruffona, traendo alimento dalla triste e oscura fine di Alexei Navalny. Eppure la situazione sul campo è molto chiara e indica che, come prevedibile, la Russia sta prevalendo. Putin del resto ha più volte espresso la sua disponibilità a negoziare una pace onorevole per entrambe le parti. Base concreta del negoziato è l’accordo raggiunto a Istanbul poco tempo dopo l’invasione, che lo stesso Putin cita più volte nella nota intervista al giornalista statunitense Tucker Carlsson. Gli ingredienti sono quelli noti da tempo: autonomia del Donbass, Crimea alla Russia (eventualmente verificando in entrambi i casi la volontà popolare), divieto di propaganda nazista e neutralità per l’Ucraina. Un accordo mutuamente soddisfacente che si sarebbe potuto raggiungere agevolmente due anni e circa duecentomila morti fa.
Ma le infami burocrazie atlantiste non demordono. Con incredibile arroganza il presidente (ancora per poco) del Consiglio europeo, Charles Michel, afferma che esiste solo un piano A, la vittoria dell’Ucraina, mentre il malfermo Joe Biden, che ricopre ancora per poco la carica di presidente degli Stati Uniti, approfitta della morte di Navalny per tornare a insultare grossolanamente Putin.
Biden evidentemente spera che dare addosso a Putin possa raddrizzare la sua situazione, che è definitivamente compromessa in relazione alle prossime elezioni presidenziali. Ma si tratta di un patetico tentativo destinato a sortire pochi effetti e proprio l’appoggio a Zelensky e alla sua squalificata amministrazione gonfia di neonazisti e corrotti costituirà una delle cause della probabile vittoria di Donald Trump in tale occasione. Trump infatti ostenta al riguardo un approccio ben più pragmatico, rispettoso delle preoccupazioni del contribuente statunitense e consapevole della necessità di convivere con la Russia in modo per quanto possibile pacifico. Per quanto possa sembrare paradossale, l’impressione è quella di un Trump meno assoggettato agli ordini del complesso militare-industriale di quanto lo sia Biden, con la sua coorte di vecchie impresentabili guerrafondai, a cominciare da Hillary Clinton.
La situazione dell’Unione Europea è ancora più disperata. Le burocrazie attualmente al potere, ben esemplificate dal citato Michel e da Ursula von der Leyen, potranno restare in sella solo venendo a patti in qualche modo con le destre, destinate ad avanzare in tutto il continente. La probabile affermazione di queste ultime è legata alla posizione sempre più marginale riservata all’Europa nel contesto del cambiamento degli equilibri politici ed economici mondiali, declino accentuato dalle politiche esasperatamente filo-NATO e anti russe perseguite dalle attuali corrotte élites legate ai potentati economici della finanza, dell’energia e degli armamenti. Le scelte autolesioniste costeranno sempre di più ai cittadini europei, generando una comprensibile rivolta che, dato il clamoroso fallimento della sinistra, sempre più frammentata e incapace di parlare alla gente comune, si rivolge verso le destre.
Pur di restare al potere Von der Leyen & C. cercano alleati a destra, trovandoli nella cameriera di Biden, Giorgia Meloni, mentre più ardua appare la ricerca dalle parti di Berlino. A ogni modo dette élites resteranno fortemente spiazzate dalla probabile vittoria di Trump e a quel punto inizierà una vergognosa ritirata di Russia da far invidia a quelle di Napoleone e Hitler.
Per il momento continuano però a ballare e sorridere sull’orlo del cratere nel quale prima o poi sono destinati a precipitare. E anzi i sei mesi o poco più che ci separano dall’inevitabile avvento di Trump saranno di estremo pericolo, dato che Biden e i suoi cortigiani europei potrebbero essere tentati di giocare il tutto per tutto per evitare l’altrettanto inevitabile sconfitta del loro burattino Zhelensky.
Il panorama che si delinea nella prospettiva delle elezioni europee è comunque sconfortante e prelude a un’ulteriore accelerazione del declino del continente che mediante il colonialismo e le guerre ha dominato il pianeta negli ultimi cinquecento anni, con l’ultimo secolo in posizione di crescente subordinazione ai suoi nipotini statunitensi.
Un vero peccato, nel momento in cui si delineano nuovi equilibri multipolari e occorre procedere con urgenza a ridisegnare il sistema delle Nazioni Unite in funzione della pace e dei diritti umani, come ci insegna la vicenda Ucraina e quella ancora più drammatica del genocidio del popolo palestinese.
Come la Cia ha preso possesso dell’Ucraina golpista
di Adam Entous e Michael Schwirtz – New York Times
Un segreto strettamente custodito per un decennio.” Con un lungo reportage di Entous e Schwirtz, che come l’AntiDiplomatico abbiamo tradotto nella sua interezza per l’importanza, il New York Times svela esplicitamente come dopo il golpe di Maidan del 2014 la Cia ha preso possesso dell’Ucraina golpista e preparato tutte le scelte aggressive contro la Russia.
Quello che per il NYT era un “segreto custodito”, per chi ha fatto informazione senza le veline di Washington ma cercando di capire le dinamiche era palese dall’inizio. L’AntiDiplomatico ve lo ha raccontato sin dall’inizio. 10 anni dopo ci arriva anche il New York Times. Repubblica e il Corriere quando?
Segue la traduzione completa del testo del Nyt (per le foto e le fonti citate si rimanda al link originale)
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Immersa in una fitta foresta, la base militare ucraina appare abbandonata e distrutta, il suo centro di comando è una carcassa bruciata, una vittima di un bombardamento missilistico russo all’inizio della guerra.
Ma questo è quello rimasto sopra il suolo.
Non lontano, un passaggio discreto scende verso un bunker sotterraneo dove team di soldati ucraini tracciano i satelliti spia russi e intercettano conversazioni tra comandanti russi. Su uno schermo, una linea rossa seguiva il percorso di un drone esplosivo che si insinuava attraverso le difese aeree russe da un punto nell’Ucraina centrale a un obiettivo nella città russa di Rostov.
Il bunker sotterraneo, costruito per sostituire il centro di comando distrutto nei mesi successivi all’invasione russa, è un centro nervoso segreto delle forze armate ucraine.
C’è anche un’altra segretezza: la base è quasi interamente finanziata, e in parte attrezzata, dalla C.I.A.
“Al cento e dieci per cento,” ha affermato il generale Serhii Dvoretskiy, un alto comandante dell’intelligence, in un’intervista.
Entrando ora nel terzo anno di una guerra che ha causato centinaia di migliaia di morti, la partnership di intelligence tra Washington e Kiev è un cardine della capacità dell’Ucraina di difendersi. La C.I.A. e altre agenzie di intelligence statunitensi forniscono informazioni per colpi mirati di missile, tracciano gli spostamenti delle truppe russe e aiutano a sostenere le reti di spionaggio.
Ma questa partnership non è una creazione bellica, né l’Ucraina è l’unico beneficiario.
Ha avuto origine dieci anni fa, prendendo forma a tratti sotto tre presidenti USA molto diversi, spinta avanti da individui chiave che spesso hanno corso rischi audaci. Ha trasformato l’Ucraina, le cui agenzie di intelligence erano a lungo considerate completamente compromesse dalla Russia, in uno dei partner di intelligence più importanti di Washington contro il Cremlino oggi.
I dettagli di questa partnership di intelligence, molti dei quali vengono rivelati per la prima volta dal New York Times, sono stati un segreto strettamente custodito per un decennio.
In più di 200 interviste, attuali ed ex funzionari in Ucraina, negli Stati Uniti e in Europa hanno descritto una partnership che rischiava di naufragare per la reciproca diffidenza prima di espandersi costantemente, trasformando l’Ucraina in un centro di raccolta informazioni che intercettava più comunicazioni russe di quanto inizialmente potesse gestire la stazione della C.I.A. a Kiev. Molti funzionari hanno parlato a condizione di anonimato per discutere questioni di intelligence e delicate questioni diplomatiche.
Ora queste reti di intelligence sono più importanti che mai, dato che la Russia è sull’offensiva e l’Ucraina dipende sempre più da sabotaggi e attacchi missilistici a lungo raggio che richiedono spie ben oltre le linee nemiche. E sono sempre più a rischio: se i repubblicani al Congresso terminano il finanziamento militare a Kiev, la C.I.A. potrebbe dover ridimensionare le sue operazioni.
Per cercare di rassicurare i leader ucraini, William J. Burns, direttore della C.I.A., ha fatto una visita segreta in Ucraina lo scorso giovedì, la sua decima visita dall’invasione.
Fin dall’inizio, un nemico comune — il presidente Vladimir V. Putin della Russia — ha unito la C.I.A. e i suoi partner ucraini. Ossessionato dal “perdere” l’Ucraina verso l’Occidente, il signor Putin interferiva regolarmente nel sistema politico ucraino, selezionando i leader che credeva avrebbero mantenuto l’Ucraina nell’orbita della Russia, ma ogni volta ha avuto l’effetto contrario, spingendo i manifestanti per strada.
Da tempo il signor Putin accusa le agenzie di intelligence occidentali di manipolare Kiev e seminare sentimenti anti-russi in Ucraina.
Verso la fine del 2021, secondo un alto funzionario europeo, il signor Putin stava valutando se lanciare la sua invasione su larga scala quando si è incontrato con il capo di uno dei principali servizi segreti russi, il quale gli ha riferito che la C.I.A., insieme al MI6 britannico, stavano controllando l’Ucraina e la stavano trasformando in una testa di ponte per operazioni contro Mosca…
La CIA in Ucraina: il punto di vista di un ex agente CIA – John Kiriakou
…Una delle ragioni per cui credo che l’articolo del Times sia stato “autorizzato” dalla comunità dei servizi segreti è ciò che non vi è scritto. Non c’è menzione, ad esempio, del fatto che le Nazioni Unite hanno definito l’Ucraina uno dei paesi più corrotti al mondo, dove i soldi sembrano semplicemente scomparire in conti esteri e nelle tasche dei funzionari governativi ucraini. Non c’è menzione del fatto che l’Ucraina è diventata un “supermercato” per armi di contrabbando e che le armi occidentali destinate allo sforzo bellico sono sparse in tutto il mondo. E non c’è menzione affatto del fatto che siano stati la CIA e il Dipartimento di Stato ad essere stati responsabili del golpe del 2014 al governo ucraino, un’azione che ha portato alla decisione della Russia di invadere otto anni dopo.
Conosco bene la CIA. Per 15 anni sono stato occupato sia nell’analisi che nelle operazioni antiterrorismo. Conosco il modo in cui i leader della CIA pensano, come spingono il limite legale ed etico finché qualcuno in posizione di autorità non dice “stop!” Ho partecipato a riunioni in cui sono state prese decisioni come quelle nell’articolo del New York Times. Ho partecipato a sessioni di strategia in cui gli ufficiali della CIA hanno lavorato per manipolare la politica e le politiche.
La morale della storia è piuttosto semplice. Non credetegli. Non credete né alla CIA né al New York Times. Raramente queste questioni internazionali così importanti sono così semplici e facilmente divise tra buoni e cattivi. La vita dovrebbe essere così facile. Anni fa, quando i miei figli maggiori erano piccoli, li portai al Madison Square Garden a vedere uno spettacolo di “wrestling professionale” della WWE. Dopo mezz’ora di spettacolo, chiesi al mio figlio di allora nove anni: “Allora, sono confuso. Chi è il buono e chi è il cattivo?”. Lui rispose: “È proprio così, papà. Non c’è nessun buono”. È esattamente quello che stiamo vedendo in Ucraina. Non lasciate che il New York Times vi convinca del contrario.
(Traduzione de l’AntiDiplomatico)
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John Kiriakou è un ex agente dell’antiterrorismo della CIA ed ex investigatore senior della Commissione per le relazioni estere del Senato. John è diventato il sesto informatore incriminato dall’amministrazione Obama in base all’Espionage Act, una legge concepita per punire le spie. Ha scontato 23 mesi di carcere a causa dei suoi tentativi di opporsi al programma di tortura dell’amministrazione Bush.
E’ chiaro a tutti che dopo la caduta di Avdeevka per l’Ucraina la situazione del conflitto con la Russia si è fatta pressoché insostenibile: truppe esauste e prive di quella rotazione tra reparti fondamentale per avere un esercito efficiente, carenza di munizioni ed attrezzature, copertura aerea ormai sempre più scarsa se non inesistente e, infine, il rubinetto dei finanziamenti del governo di Washington ormai chiuso a causa delle barricate elevate nel Congresso da parte dei Repubblicani.
Pesa su Kiev, come è evidente, soprattutto il mancato finanziamento da parte di Washington perchè ciò ovviamente comporta una sostanziale interruzione del flusso di attrezzature, armi e munizioni necessarie per tenere testa all’esercito russo. In questo tornante difficilissimo l’Europa sta provando in tutti i modi a sopperire al blocco dei flussi di risorse finanziarie e militari provenienti da Washington con il fine di tenere in piedi l’esercito ucraino evitando una disfatta di proporzioni simili a quelle che l’Italia subì a Caporetto.
L’interesse delle élites politiche europee, non è certamente legato alle sorti degli ideali del liberalismo sulle rive del Dniepr ma a ragioni più prosaiche: l’Occidente e in particolare l’Europa hanno investito cifre spaventose nel regine di Kiev nato dal Putch di Majdan. Non mi riferisco ovviamente solo al costo del riarmo di Kiev su standard occidentali, ma anche ai finanziamenti diretti necessari a Kiev per tenere in piedi un minimo di welfare state e la macchina burocratica dello stato ma anche ai costi spaventosi delle sanzioni sia per quanto riguarda il mancato export verso la Russia, sia per quanto riguarda l’aggravio dei costi energetici e conseguentemente l’aumento enorme dell’inflazione. Si parla complessivamente di centinaia di miliardi di euro investiti dall’Occidente su Kiev, dunque una cifra iperbolica che viene meno per le esigenze interne dei paesi occidentali. Da considerare inoltre che i costi delle sanzioni sono uno stock finanziario in continua crescita a causa del fatto che non si sa quando verranno tolte e che dunque, anno dopo anno, l’ammontare cresce inesorabilmente.
E’ chiaro che in un contesto come questo in caso di sconfitta di Kiev e di raggiungimento degli obbiettivi strategici di Mosca per le élites europee si aprirebbe una partita pericolosissima. Sarà difficile spiegare alle popolazioni l’aumento dei costi energetici e la conseguente deindustrializzazione che diventerebbe un dato strutturale e non più modificabile, così come strutturale e immodificabile – nel breve e nel medio periodo – sarebbe l’abbassamento del tenore di vita medio delle persone e molto probabilmente il consenso su cui si basa il loro potere subirebbe una debacle irrimediabile con l’ascesa di una nuova classe dirigente.
Peraltro è da considerare che anche la Nato in caso di sconfitta di Kiev sarebbe in grave pericolo di sopravvivenza, sia a causa della ostilità di Trump nel caso in cui diventasse nuovamente Presidente degli Stati Uniti sia a causa degli evidenti dissapori e frizioni che si notano tra alleati europei come per esempio quelle esistenti tra Regno Unito e Germania, per non parlare poi del sabotaggio del North Stream che ha danneggiato enormemente l’economia tedesca e che è vede proprio alcuni componenti dell’alleanza tra i maggiori sospettati.
E’ chiaro che in un simile contesto generale le élites europee sono in evidente stato di fibrillazione. La prova di ciò si è avuta il 26 Febbraio a Parigi quando – durante una conferenza dei paesi “donatori” dell’Ucraina – Emmanuel Macron ha pronunciato parole clamorose che aprono all’invio di truppe di terra in Ucraina: «Oggi non c’è consenso sull’invio ufficiale di truppe sul terreno ma a livello di dinamica non possiamo escludere nulla. Faremo tutto il necessario per impedire alla Russia di vincere questa guerra». Una affermazione che, come si può capire, rompe un tabù; quello dell’invio di truppe come opzione possibile. Rottura del tabù immediatamente confermata dal Primo Ministro francese Gabriel Attal che ha dichiarato: «Non si può escludere niente in una guerra in corso nel cuore dell’Europa». A buon intenditore…
Sfortunatamente, come dicevo all’inizio, questa è la realtà, gli investimenti occidentali nel regime di Kiev in termini politici, diplomatici, militari, finanziari sono troppo elevati per consentire un dietrofront indolore magari ben mascherato dietro le solite narrazioni nelle quali sono specializzati i nostri giornalisti ed opinionisti.
Piano piano tutte le linee rosse sono state superate dall’Occidente. Prima hanno consegnato armamenti individuali e strumenti di protezione individuale, poi si è passati alle armi anticarro, poi ancora a tank, artiglieria e droni d’attacco, poi sistemi di difesa aerea (Patriot e Samp-T) e missili a medio raggio (Scalp e Storm Shadow) ad altissima tecnologia, infine ad aerei F-16 e a rompere l’ultimo tabù dell’invio di truppe di terra.
Davvero c’è ancora qualcuno che vuole sostenere che non siamo in guerra?
Le due tesi fondamentali su cui si è basata e in larga misura continua a basarsi la campagna di propaganda occidentale contro la Russia sono la natura “non provocata” dell’intervento militare lanciato quasi esattamente due anni fa e il semplice appoggio esterno dei paesi NATO al regime di Zelensky, ufficialmente contrari a una partecipazione diretta alle operazioni belliche contro Mosca. Un lungo articolo del New York Times, pubblicato nel fine settimana, ha smentito però entrambe le versioni, confermando sia la strettissima collaborazione tra gli Stati Uniti e, in particolare, la CIA e le forze ucraine sia la valanga di provocazioni orchestrate da Washington e Kiev almeno a partire dal colpo di stato neo-nazista del febbraio 2014.
È lo stesso giornale americano a convalidare ciò che i servizi segreti russi e il Cremlino avevano sostenuto alla vigilia dell’inizio della cosiddetta “Operazione Militare Speciale”. La CIA, assieme al britannico MI6, stava cioè trasformando a tutti gli effetti l’Ucraina in un centro nevralgico da cui pianificare e condurre operazioni destinate a colpire e indebolire la Russia.
Con le parole dei reporter del Times: “Per oltre un decennio, la CIA ha costruito, addestrato e armato forze paramilitari e di intelligence ucraine, impegnate in assassinii e altre provocazioni contro le forze filo-russe in Ucraina orientale, le forze russe in Crimea e, oltre il confine,” contro le stesse forze della Federazione Russa.
Le operazioni USA in funzione anti-russa in Ucraina non nascevano dal nulla, ma gli eventi di piazza Maidan hanno impresso a esse un’accelerazione formidabile. Fino all’invasione russa del febbraio 2022, gli uomini della CIA avevano contribuito ad alimentare il conflitto, di intensità relativamente bassa, contro le regioni russofone. Spionaggio e sorveglianza del nemico, assassinii mirati e attacchi in piena regola contro le forze “separatiste” o quelle russe in Crimea erano le attività a cui il contingente americano si dedicava…
La fiducia nelle istituzioni e i dividendi di guerra – Fabio Vighi
La morte dell’Occidente non ci ha privato proprio di nulla di vivo e essenziale e la nostalgia è quindi fuori questione.’ (Giorgio Agamben)
Anche se quasi nessuno lo vuole ammettere, il nostro “sistema” è obsoleto, e per questo si sta trasformando in “sistema chiuso”, ovvero totalitario. È altrettanto evidente che i pochi che continuano a trarre vantaggio materiale dal sistema capitalistico – il famigerato 0,1% – sono disposti a tutto pur di prolungarne l’obsoleta esistenza. Alla radice, il capitalismo contemporaneo funziona in modo molto semplice: si emette debito da una porta e lo si riacquista da un’altra grazie all’emissione di nuovo debito; un loop all’apparenza inattaccabile da cui origina la maggior parte dei fenomeni distruttivi con cui ci troviamo a convivere.
Gli esecutori del meccanismo sono una classe di funzionari-profittatori il cui principale tratto psicologico è la psicopatia. Sono talmente devoti al meccanismo da esserne diventati delle estensioni – come automi, lavorano indefessamente per il meccanismo, senza rimorso alcuno per la devastazione di vita umana che dispensa. La dimensione psicopatica (disinibita, manipolatoria, e criminosamente antisociale) non è però una prerogativa esclusiva della cricca finanziaria transnazionale, ma si estende a macchia d’olio sia sulla casta politico-istituzionale (dai vertici dei governi agli amministratori locali), che sull’apparato cosiddetto intellettuale (esperti, giornalisti, scrittori, filosofi, artisti, nani e ballerine). In altre parole, la mediazione politico-culturale della realtà è oggi interamente mediata dal meccanismo stesso. Chi entra nel sistema non solo deve aprioristicamente accettarne le regole ma, ipso facto, ne assume lo specifico carattere psicopatologico. Così, la folle oggettività capitalistica (il suo spietato congegno riproduttivo) diventa indistinguibile dal soggetto che lo rappresenta.
Proprio in virtù del disturbo della personalità che li contraddistingue, i tecnocrati tendono a sovrastimare la loro capacità di imporre un sistema chiuso e autosufficiente che possa esorcizzare il tramonto della socializzazione capitalistica. La tragica farsa pandemica prima, e ora il vento gelido del warfare permanente, mettono a dura prova la fiducia incondizionata del cittadino medio nelle care vecchie istituzioni rappresentative. Se è stato relativamente facile silenziare dubbi e dissenso a colpi di “lockdown umanitari” e DPCM – grazie ai quali la classe politica più opportunistica della storia moderna si è rifatta una breve verginità – la complicità nel genocidio di Gaza e, in contemporanea, l’affannosa costruzione neomaccartista del “fronte democratico contro il mostro russo”, con annessa corsa al riarmo, cominciano a minare le certezze della silent majority. ‘Produrre armi come i vaccini!’ tuona ora Ursula von der Leyen (involontariamente dicendo il vero sulla funzione di entrambi); mentre a Fantozzi comincia a salire un leggerissimo sospetto.
Nel nuovo totalitarismo in fieri, la realtà non entra nei giornali o in televisione. Prende il suo posto l’iperreale teorizzato da Jean Baudrillard, che non è né reale né finzione, ma il contenitore narrativo che ha sostituito entrambi. Così la pulizia etnica di Gaza avanza a pieno regime nell’iperreale di accorati distinguo e telegeniche perorazioni contro tutti gli estremismi, per poi defluire nelle balle spaziali dell’imminente cyberattacco nucleare russo, condite in salsa piccante dall’omicidio politico del dissidente (xenofobo e ultranazionalista) Alexej Navalny. Senza fare un plissé, chi accusa di complottismo diventa complottista. La centrifuga di informazioni e intrattenimento induce un’ipnosi collettiva che si rivela più efficace della tradizionale censura, poiché elimina ex ante la richiesta di un referente reale, con il suo portato di radicale ambiguità…
Il bilancio militare di due anni di guerra nell’Eastern Flank europeo – Giuseppe Masala
Ormai a distanza di due anni dallo scoppio del conflitto tra Ucraina e Russia credo sia possibile fare un primo bilancio del conflitto sul piano militare. Non tanto con il fine di proporre un’orrida contabilità delle perdite subite da una parte e dall’altra ma perché possiamo trarre lezioni di estrema importanza che chiariscono il futuro che ci attende.
Dal punto di vista dei russi non pare sbagliato definire questo conflitto come una vera e propria guerra di attrito, che non ha come obbiettivo né la sconfitta diretta dell’avversario ucraino, né la conquista di territorio. La logica della guerra d’attrito è comprensibile sotto due diversi piani. Da un lato quello sociale ed economico, che impone al Cremlino la necessità di minimizzare le perdite sia umane che di attrezzature e, quindi, in definitiva, di ridurre ai minimi termini il costo sociale, economico e politico del conflitto. Dal punto di vista militare invece la guerra d’attrito combattuta dai russi è dovuta – a mio avviso – alla necessità di evitare di allungare le linee d’approvvigionamento necessaria al rifornimento della prima linea russa. Una considerazione di una certa importanza credo sia quella che i russi vogliano tenere la propria macchina bellica, stretta e compatta così da evitare di essere presi d’infilata da un possibile contrattacco dell’Ucraina se non direttamente della Nato. Esempio emblematico di questa volontà russa può essere considerata la costruzione della cosiddetta “Linea Surovikin” ovvero il complesso sistema di fortificazioni di oltre 600 km costruito dal Generale Surovikin a difesa della Crimea e posto negli oblast di Kerson e Zaporizhzhia. Segno evidente che i militari russi hanno imparato bene la lezione dell’Operazione Barbarossa, quando le colonne corazzate naziste presero d’infilata intere armate sovietiche rinchiudendole in enormi sacche.
Dal punto di vista ucraino invece la conduzione della guerra è da considerarsi – a mio avviso – totalmente priva di senso sotto alcuni aspetti. Se ha avuto un senso la difesa palmo a palmo delle prime linee del Donbass, come per esempio avvenuto a Bakmut, ad Avdiivka e a Mariupol anche grazie a imponenti complessi di fortificazioni costruiti nel corso degli ultimi dieci anni, lascia invece sconcertati quanto avvenuto nella cosiddetta “controffensiva ucraina” lanciata l’estate scorsa dal governo di Kiev. Si è trattato di una serie di attacchi definibili senza esagerazione come “attacchi banzai” che sono andati ad infrangersi contro le linee difensive russe – costruite da Surovikin – e che hanno comportato perdite per molte decine di migliaia di uomini e di molte centinaia di mezzi corazzati e blindati. Una controffensiva che non aveva nulla di razionale e costruita quasi a scopo di intrattenimento e imbonimento del pubblico televisivo occidentale, che non dimentichiamoci, paga integralmente lo sforzo bellico ucraino.
Diverso è invece il discorso se si analizza la controffensiva ucraina dal punto di vista degli interessi americani e occidentali. Semplicemente dal punto di vista occidentale gli attacchi ucraini – per quanto folli e inidonei a riguadagnare terreno – sono utili per logorare i russi costringendoli comunque a subire perdite. Una logica, questa, platealmente colonialista, dove l’Occidente pagatore dello sforzo bellico assume il ruolo di padrone coloniale e l’Ucraina quello di paese colonizzato con un popolo completamente ipotecato e trattato alla stregua di carne da cannone. Una logica brutale quella che ho descritto, ma ahimé una logica suggerita dai fatti nella loro crudezza.
Dal punto di vista della produzione di armamenti la Russia ha un netto vantaggio nei sistemi d’arma destinati all’esercito. Secondo gli analisti occidentali, la Russia ha ancora riserve di veicoli corazzati, senza contare la produzione di nuove unità stimabili in oltre 1000 carrarmati all’anno. Stiamo parlando di 1.750 carri armati, dal T-55 al T-80 e al T-90, con altri 4.000 carri armati rimasti nei depositi. Si tratta di Mezzi bastanti secondo gli analisti a sostenere altri 3 anni di ostilità in Ucraina. Da considerare inoltre che la Russia acquista componenti e sistemi d’arma anche dai suoi più stretti alleati come la Cina, la Corea del Nord e l’Iran. Stiamo parlando soprattutto di microcip, missili balistici e droni.
L’Ucraina invece, per quanto riguarda l’approvvigionamento di armamenti, dipende sostanzialmente in toto dall’assistenza occidentale non avendo più sostanzialmente una produzione interna a causa dei bombardamenti russi. A tale proposito il giornale economico tedesco Handelsblatt ha rivelato che la NATO vuole assumere il coordinamento delle forniture di armi a Kiev, I promotori di questa idea sono il Consigliere per la Sicurezza Nazionale del Presidente degli Stati Uniti Jake Sullivan e il Segretario Generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg il quale peraltro anche all’ultima Conferenza per la Sicurezza tenutasi a Monaco, ha dichiarato che la Nato deve prepararsi ad un confronto con la Russia di lungo periodo e deve aumentare notevolmente la produzione di armi.
Le dichiarazioni di Stoltenberg sono il segno che le probabilità che la guerra finisca presto sono davvero minime. Del resto né l’élite occidentale né quella russa possono ormai permettersi una sconfitta che significherà la loro fine come vertice delle rispettive nazioni.
Che le cose peraltro stiano volgendo al peggio lo indicano anche alcune questioni di ordine militari oltre all’emblematico aumento della produzione di armi sia ad Occidente che in Russia. Mi riferisco innanzitutto alle continue esercitazioni militari fatte al confine del paese avversario. La Nato, per esempio, quest’anno farà la più grande esercitazione di terra (“Steadfast Defender-2024”) dai tempi della guerra fredda che coinvolgerà oltre 90mila uomini e centinaia di mezzi blindati e corazzati che sembra bloccheranno completamente anche l’accesso all’enclave russa di Kaliningrad. Inutile sottolineare che il blocco totale di una regione di un altro stato è già di fatto una sostanziale dichiarazione di guerra, come inutile sottolineare che i continui disturbi alle comunicazioni polacche e dei paesi baltici causato dagli strumenti di guerra elettronica russa costituiscono già guerra vera e propria. Da sottolineare peraltro che soprattutto le esercitazioni come appunto la Steadfast Defender-2024 della Nato consentono di spostare ingenti quantità di mezzi, materiali e uomini senza dare troppo nell’occhio, non solo nei confronti dell’avversario, ma anche della popolazione civile che non vede certamente in modo positivo l’ipotesi di ritrovarsi in guerra.
Un ultimo segno davvero preoccupante che si è verificato in quest’ultimo periodo è l’utilizzo da parte dell’Ucraina dei sistemi antiaerei Patriot per dare la caccia agli aerei AWACS russi. Si tratta di velivoli di allarme e controllo aereo che consentono di coordinare i propri aerei da guerra e ovviamente di tracciare anche quelli avversari. E’ chiaro che l’abbattimento dei Beriev A-50 “Mainstay” non è utile all’Ucraina, ormai priva di aeronautica ma è invece utilissima al fine di “accecare” l’aeronautica russa in caso di battaglia aerea con un’altra aeronautica di pari livello. Fino ad ora, sono stati abbattuti due Beriev, uno a metà gennaio di quest’anno e un altro ieri. Una strategia che può essere propedeutica – come dicevo – all’entrata nel conflitto di una aeronautica in grado di contrastare quella russa e che, appunto, vorrebbe partire con il vantaggio di vedere i russi privati delle loro capacità AWACS.
Complessivamente si tratta di segni che suggeriscono un futuro inasprimento del conflitto con l’entrata probabilmente di nuovi attori.
Il capo del Pentagono: “Se l’Ucraina cade, la NATO si scontrerà con la Russia”
Se l’Ucraina perde nell’attuale conflitto, la NATO “si troverà in uno scontro con la Russia”, ha dichiarato, ieri, il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin davanti alla Commissione per le Forze Armate della Camera.
“Se l’Ucraina cadesse di nuovo, [il presidente russo Vladimir] Putin non si fermerebbe lì” e attaccherebbe i paesi vicini, soprattutto quelli baltici, ha precisato Austin. “Francamente, se l’Ucraina cadesse, penso davvero che la NATO potrebbe affrontare la Russia “, ha ribadito.
Allo stesso modo, il capo del Pentagono ha esortato il Congresso americano a stanziare più fondi per Kiev, poiché ciò avvantaggerebbe Washington. “L’Ucraina è importante perché è importante innanzitutto per la nostra sicurezza nazionale”, ha affermato Austin. “[È un] investimento: mentre forniamo risorse all’Ucraina, sostituiamo tali risorse con attrezzature più aggiornate presenti nel nostro inventario. Tutto questo fluisce attraverso fabbriche in diversi stati del paese. Ci sono miliardi di dollari investiti per espandere le nostre linee di produzione e aumentare la nostra capacità,” ha spiegato.
Chi è l’aggressore?
Da parte sua, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova si è affrettata a commentare le parole di Austin: “Si tratta di una minaccia diretta alla Russia o di un tentativo di trovare una scusa per [il presidente ucraino Vladimir] Zelenskyj? “Entrambe le varianti sono pazze. Ma ormai tutti vede chi è l’aggressore: Washington.”
Il pantano dell’ultimo azzardo e i trent’anni contro la Russia – Fabio Mini
Sull’anniversario dei due anni dall’invasione russa in Ucraina non dovrei scrivere nulla, sia per coerenza con quanto ho sempre sostenuto (la tragedia non è iniziata il 24 febbraio 2022), sia perché dopo due anni non vedo fatti sorprendenti da commentare in Ucraina rispetto a quanto succede altrove. Semmai merita una riflessione l’anniversario dei trent’anni (dal 1994) di destabilizzazione in Europa e allargamento della Nato ai danni della sicurezza russa, dei vent’anni di guerra di sovversione (dal 2004) da parte degli Stati Uniti in Ucraina e dei dieci anni (dal 2014) di guerra di repressione ucraina nei confronti dei suoi stessi cittadini russofoni. In questa prospettiva, la spedizione militare russa in territorio ucraino del 2022 appare per quello che veramente è stata e non per ciò che a essa è stato attribuito da chi voleva e ancora vuole la guerra in Europa contro la Russia e contro la stessa Europa. Non è stata un’invasione full scale (totale), unmotivated (immotivata), unprovoked (non provocata), illegal (illegale) e nemmeno criminal (criminale) come ci viene propinato. È stata una delle possibili risposte alla guerra voluta, preparata e sostenuta esattamente da chi la definisce con tali espressioni. Di fronte a un regime ucraino che con i presidenti Yuschenko, Turcynov e Poroshenko era palesemente nazista e antirusso, e con quello di Zelensky pronto a subire i diktat dell’estrema destra sostenuta dagli Stati Uniti e dall’Europa, la Russia aveva già lanciato chiari messaggi.
Per le vie diplomatiche aveva espresso le preoccupazioni per l’espansione della Nato e per le vie militari aveva indicato i limiti di tolleranza per la propria sicurezza in Georgia (2008) e in Donbass e Crimea (2014). La Russia poteva evitare l’invasione concordando con l’ucraina, l’Europa e gli Stati Uniti le garanzie per i cittadini russofoni e la neutralità dell’ucraina. In effetti aveva formulato proposte in tal senso ben prima dell’invasione ricevendo sprezzanti risposte negative proprio mentre Ucraina e Stati Uniti dal 2021 stavano pianificando il conflitto in Crimea e l’ingresso dell’ucraina nella Nato per impedire o provocare le reazioni russe. Era chiaro che l’ingresso nella Nato dell’ucraina andava oltre la semplice diatriba per la Crimea e il Donbass. Lo schieramento delle armi occidentali ai confini della Russia azzerava il tempo di preavviso per la sua difesa e avrebbe innescato la sola guerra possibile: quella nucleare e preventiva in Europa. Il calcolo che la Russia non avrebbe potuto ricorrere al nucleare per timore delle rappresaglie nucleari statunitensi sul proprio territorio si scontrava con l’osservazione che l’America non avrebbe rischiato un attacco nucleare strategico ai territori statunitensi per “salvare” l’Europa né tanto meno l’ucraina. Un dubbio antico, ma sempre vivo che la stessa Ucraina aveva percepito quando, subito dopo l’invasione, era riuscita a stabilire un accordo con la Russia per la cessazione delle ostilità. Accordo fallito per esplicito ricatto degli angloamericani che così resero ben chiaro quale guerra e per chi avrebbero dovuto combattere gli ucraini fino al loro ultimo uomo: una guerra di autodistruzione contro la Russia per gli interessi angloamericani in Europa e nel mondo.
L’opzione militare russa aveva quindi i suoi motivi in decenni di provocazioni e nell’imminenza/immanenza di un rischio esistenziale per la Russia e per le popolazioni affini che il diritto internazionale prevede debbano essere protette (Right to protect o R2P). Riguardo ai crimini di guerra attribuiti alla Russia e a quelli documentati commessi dall’ucraina è buona norma stabilire con immediatezza la verità dei fatti, la natura e l’entità dei crimini e le responsabilità oggettive personali e politiche. Nulla di ciò è ancora avvenuto e navighiamo nella pura propaganda di parte.
Con il fallimento degli accordi, l’operazione iniziata con l’invasione è diventata una guerra locale nell’ambito della guerra globale tra il cosiddetto Occidente e la Russia-cina, non dichiarata e perfino negata dall’ipocrisia ma in atto con varie manifestazioni di virulenza e latenza. Per la Russia, quella in Ucraina è una guerra limitata nelle forze impiegate e negli obiettivi. L’Europa non ha mai corso il rischio che i carri armati russi arrivassero in Portogallo come ci è stato detto. È una guerra che si poteva evitare e che la sete di guerra e profitti ha alimentato fino a farla diventare una guerra di distruzione strutturale. E pure in questa ottica la vera distruzione per la quale tutti vogliono partecipare al banchetto della ricostruzione riguarda principalmente i territori a oriente del Dniepr, già massacrati dalle repressioni e dai bombardamenti ucraini con le nostre armi. Si può scommettere che per tali territori non verrebbe speso un euro dei miliardi da “investire” nemmeno se essi tornassero all’ucraina. È una guerra “raccontata”, male, per gli sprovveduti e i fanatici, che contrasta con quella osservata da chi ha buon senso.
Si è detto che la Russia ha commesso errori di valutazione sulla capacità di resistenza del popolo ucraino e sul “convinto” supporto economico-militare all’ucraina da parte degli Stati Uniti e dell’Europa. Molto romantico e ideologico, ma si è confusa la resistenza popolare con l’ostinazione di un governo, dei sostenitori interni e dei mandanti esterni nel perseguire la distruzione di un intero Paese per interessi particolari.
L’ucraina e l’occidente sono di fatto inchiodati e incapaci di uscire dal tunnel in cui si sono ficcati per dar retta agli estremisti e ai bellicisti nazionali e internazionali. Ammesso e non concesso che vogliano uscirne. In questo anniversario farlocco, la prospettiva più realistica è che la Russia continuerà a difendere i territori occupati e legalmente annessi, anche se non riconosciuti dai nemici, mentre l’ucraina sarà un campo di battaglia permanente: abbastanza rarefatto per far affluire armi e soldi e abbastanza denso per impedire all’Europa di essere stabile e sicura. La Nato e l’unione europea si stanno preparando a questo scenario dirottando risorse preziose verso i cosiddetti “aiuti” all’ucraina che si traducono in profitti di guerra per alcuni e perdite politiche ed economiche per altri. Nella migliore delle ipotesi Europa e Ucraina saranno schiave dei debiti e degli interessi altrui senza alcuna prospettiva di pace o di crescita. La guerra permanente in Ucraina è anche funzionale a quella globale Ovest-est e lo dimostrano le operazioni speciali condotte in Europa dagli anglo-americani contro la Russia, tanto spettacolari quanto ininfluenti sul corso degli eventi ucraini e invece devastanti per tutta l’Europa e gli equilibri internazionali. Sono le distruzioni materiali, i sabotaggi e gli attacchi random alle strutture energetiche, i gasdotti, le dighe, il naviglio militare e civile che colpiscono direttamente la Russia e indirettamente tutto l’occidente con i danni ai flussi commerciali e alle relazioni internazionali. Sono le operazioni d’intelligence e d’influenza che tendono a fomentare quella rivolta interna alla Russia che porti al “cambio di regime” e magari all’eliminazione fisica dei suoi dirigenti. La popolazione russa non riceve la disinformazione della quale “godiamo” noi e se la riceve non l’accoglie, così come noi non riceviamo e non accogliamo quella russa. Ci sono però dei limiti anche nella capacità di disinformare e sono insiti nella capacità di ricordare. Per ogni mito che costruiamo sui nostri valori di democrazia, libertà e civiltà ci sono milioni di persone che ricordano come siamo riusciti a dimenticarli nelle guerre degli ultimi cento anni e nei massacri degli ultimi cento giorni. Per ogni mito costruito sulla dirigenza ucraina e sulla dissidenza russa ci sono milioni di persone che ricordano chi sono questi idoli e cosa hanno fatto veramente. Persone che riescono a sottrarsi alla sistematica manipolazione della memoria che la disinformazione vorrebbe polarizzare su quella volutamente corta e quella volutamente lunga che meglio si presta a giustificare i massacri, stravolgere la storia e alimentare l’odio e la vendetta.
La sorte dispari tra chi nella guerra muore e chi invece ci si ingrassa – Remocontro
Guerra, chi ci guadagna? Sicuramente non i soldati che la guerra in genere sono costretti a farla e dove spesso muoiono. «I conti record dell’industria bellica», su Avvenire. «Ancor più della corruzione, i conflitti sono capaci di concentrare i benefici in un’esigua minoranza e di ripartire i costi sul resto della società. Non in modo uniforme ovviamente», l’analisi critica dai dati Sipri, l’Istituto di Stoccolma per la pace.
Armi: profitto per pochi, distruzione per molti
Chi vince davvero le guerre? la domanda chiave da cui partire. A conti fatti, non vincono davvero neppure gli Stati che, alla fine, riescono a imporsi sui rivali. Il potere conquistato deve fare i conti con il fardello delle vittime e della ricostruzione, spesso non solo economica. Basta pensare a ciò che sta accadendo in Ucraina, guerra ancora senza fine, e alla sua futura ricostruzione che prima poi dovrà comunque avvenire.
Non è vero che in un conflitto perdono tutti
Alcuni – pochi – trionfano, con la guerra si ingrassano. E non è ingenuo pacifismo ma dettagliati conti economici. «Una lista esaustiva dei ‘grandi vincitori’ della ‘terza guerra mondiale a pezzetti’ – per parafrasare papa Francesco – dagli ultimi dati dello Stokholm international institute for peace», scrive Lucia Capuzzi.
Sipri con i conti in mano
L’escalation in corso – dall’Ucraina a Gaza – ha portato a livelli record la spesa militare e i profitti dei colossi delle armi: 2.240 miliardi di dollari di spesa nel 2022, l’ultimo con rilevazioni ufficiali. Per la prima volta, gli investimenti europei hanno superato quelli dei tempi della Guerra fredda. La Russia di Putin peggio dell’Unione sovietica di Breznev? O qualcosa è cambiato anche in casa occidentale?
Le 15 ‘super armiere’, +76%
Le 15 maggiori aziende mondiali ‘per la difesa’, hanno visto schizzare il proprio portafoglio ordini a quota 777 miliardi di dollari, oltre 76 in più rispetto a due anni prima. E in due anni, sono stati investiti quasi mille miliardi di dollari in armamenti: il 2,2% del Pil mondiale. Con un F35 che costa come 3.244 letti in terapia intensiva, un sottomarino come 9.180 ambulanze. «E sono in alternativa»: o quelle super armi o la difesa della salute pubblica.
Peggio della corruzione (spesso a braccetto)
«Ancor più della corruzione, i conflitti sono capaci di concentrare i benefici per una esigua minoranza e di ripartire i costi sul resto della società». Non in modo uniforme ovviamente. La cronaca dal Medio Oriente e da Gaza parla per tutti. Bambini, donne, anziani, minoranza, poveri, disabili – i gruppi sociali con meno risorse – pagano un prezzo tragicamente più alto. Perdite indirette di vario tipo, dai danni ambientali alle ricadute sul commercio globale che ricadono a cascata anche su quanti risiedono a migliaia di chilometri dal teatro bellico.
Tra il giusto e il conveniente
Guerre quasi sempre ingiuste ma sempre convenienti, almeno per qualcuno. Quelli in grado di condizionare il dibattito pubblico, facendo apparire lo scontro armato come inevitabile e la sola alternativa. In realtà è una delle scelte possibili, non l’unica. «E non si tratta di aspirazioni ingenue di qualche benintenzionato. Fra i primi a sostenerlo – e a puntare il dito verso il ‘complesso militare industriale’ –, è stato il presidente Usa Dwight Eisenhower».
Soluzioni non violente, ‘regola del 3.5%’
Esistono studi accademici sull’efficacia delle soluzioni nonviolente. La politologa di Harvard Erica Chenoweth – solo per fare un esempio illustre – ha coniato, sulla base di centinaia di analisi empiriche, la regola del 3.5 per cento: nessuna mobilitazione disarmata è mai fallita quando ha riunito il 3,5 per cento della popolazione in modo continuativo. Non solo quella dei grandi movimenti nonviolenti, a cominciare dalla rivolta pacifica contro il maggior impero coloniale dell’epoca guidata dal Mahatma Gandhi.
Agire, non subire
Troppo spesso il rifiuto delle armi è associato all’inerzia o, peggio, alla resa, annota il quotidiano dei vescovi italiani. Al contrario, ci vuole impegno, ostinazione, coraggio. Evocato un improbabile coraggio da parte del mondo finanziario per rifiutare i profitti dell’industria delle armi. E il coraggio da parte della politica internazionale per dare seguito alla proposta di impiegare il denaro delle spese militari per costituire un Fondo mondiale per lo sviluppo dei Paesi più poveri. «La pace è una scelta. Incompatibile con il business delle armi», conclude Avvenire.
Come sarebbe bello poterci credere
Dubbio da parte di chi, come noi, cerca di occuparsi delle vicende internazionali ed è costretto ad inseguire troppe guerre non per colpa sua. Sentimenti nobili quelli di cui vi abbiamo raccontato. E credenti o meno, a noi Papa Francesco piace. Ma vi viene in mente un solo esponente politico di un minimo di rilievo in Europa e nell’occidente, di cattolici a rosario esibito in tv come bandiera, da cui avete sentito discorsi minimamenti vicini a quelle idealità di cui sopra?
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.
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