Maggio 1978: la mafia uccide Peppino Impastato, la stampa mainstream pure

La lotta continua di Peppino Impastato

di Michelangelo Ingrassia (*)

Nei giorni che seguirono, soprattutto tra il 10 e l’11 maggio 1978, Peppino Impastato fu ammazzato per la seconda volta e scaraventato negli spazi più angusti delle pagine interne della grande stampa nazionale.
Le prime pagine furono tutte a piene colonne per il finale del dramma Moro.
Non furono, tuttavia, le brevi di cronaca a uccidere il già morto Peppino bensì la descrizione che della sua vita e della sua morte fu fatta.
Ecco un’antologia di titoli e occhielli che comparve in quei giorni su alcuni quotidiani.

“Il Giornale di Sicilia” scrisse che il candidato alle elezioni comunali «era stato ridotto a brandelli dall’esplosione. Tre le ipotesi: attentato, suicidio o delitto di mafia».
“Il Manifesto” commentò la vicenda con un laconico «si parla di mafia».
“L’Unità” si chiese se il «Militante di Democrazia Proletaria» fosse «attentatore o vittima?». Dette una risposta il quotidiano socialista “Avanti!”: «attentatore dilaniato da una bomba». Il giornale democristiano “Il Popolo”, invece, dopo avere insinuato che il «giovane esponente di DP probabilmente stava preparando un attentato»; spiegò che però era stata «trovata una lettera in cui la vittima si dichiara fallito come uomo e come politico».
Alla lettera si richiamò pure “Il Giornale Nuovo”, fondato e diretto da Indro Montanelli, che riportò la cronaca del «misterioso episodio in Sicilia» replicando la domanda già posta dal quotidiano del PCI ma in forma più aggressiva e decisamente vile: «delitto, suicidio o “incidente sul lavoro”?».

Da notare che il giornale comunista e il quotidiano della destra montanelliana “escono” con il medesimo punto interrogativo nello stesso giorno 11 maggio.
Fin d’allora, insomma, la Sinistra ufficiale inseguiva la Destra storica; e viceversa, dal momento che già il 9 maggio, a poche ore dalla morte di Peppino, il quotidiano “L’Ora” aveva posto due punti d’interrogazione: «Cinisi / Vittima di un attentato che stava preparando? O delitto di mafia?».
Sulla stessa onda due storici giornali: “Corriere della Sera”, «Ultrà di sinistra dilaniato dalla sua bomba sul binario»; “La Repubblica”, «Era un candidato di Dp in Sicilia: si è ucciso o è un delitto di mafia?».

Solo due quotidiani comunicarono notizia della morte di Peppino Impastato rompendo l’accerchiamento attorno al suo corpo devastato e combattendo contro la macchina del fango: “Lotta Continua” e “Il Quotidiano dei Lavoratori”.
Il primo denunciò: «Un compagno assassinato dalla mafia a Cinisi. Si chiama Giuseppe Impastato, è un compagno di Lotta Continua. Assurde versioni di un attentato o di suicidio»; l’altro, giornale di Democrazia Proletaria, partito nato dalla convergenza di movimenti della Sinistra extraparlamentare e nel quale Impastato era candidato per le elezioni comunali, accusò vigorosamente che «La mafia conta sull’omertà della stampa, dicono a Cinisi.
Ammutoliti nel dramma i compagni di Giuseppe – “per far credere al suicidio hanno tirato fuori una vecchia pagina di diario” – prima di lui viene Moro, la morte non è uguale per tutti – vendetta mafiosa».
I due giornali dell’Estrema Sinistra non solo proclamavano così un atto d’imputazione contro la mafia ma difendevano ed esaltavano pure l’azione politica del giovane Peppino Impastato.

Quello della lotta politica di Peppino è una particolarità rimasta storicamente e storiograficamente in ombra, rispetto alla sua battaglia contro la mafia; naturalmente con lodevoli eccezioni.
Anni fa lo storico Matteo Di Figlia indagò «sul modo in cui si è stratificata la memoria delle vittime di mafia e su come essa si sia intrecciata ai radicali mutamenti politici che ha vissuto l’Italia tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Duemila».
Analizzò, tra gli altri, il caso di Peppino Impastato, «particolarmente interessante per il tipo di militanza della vittima».
Osservò in proposito che «si è consolidato un Impastato configurato come eroe antimafia o, in alcuni casi, come martire antimafia». Questo è il Peppino Impastato che ha preso il sopravvento sull’altro, protagonista di una militanza politica nel senso antico e potente del concetto; della quale l’antimafia fu componente originaria e originale nell’ambito delle forze politiche schierate a Sinistra del Partito Comunista Italiano.

Per Peppino la lotta politica, la coscienza di classe, le manifestazioni non furono delle fesserie. Lo dimostrano le sue scelte e le sue azioni in politica, frutto di un lavoro teorico che diventa prassi.
Egli inizia la sua militanza nel Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria e nel corso degli anni andrà spostandosi sempre più a Sinistra, lungo un itinerario extraparlamentare al termine del quale approderà a Lotta Continua.

A ricostruire tale percorso, soffermandosi sui rapporti che legheranno Impastato a Mauro Rostagno, è stato Salvo Vitale nel libro «Era di Passaggio», edito da Navarra.
Peppino aderisce a LC nell’estate del 1973 ma aveva iniziato a frequentare il Circolo Ottobre di Palermo, istituito da LC, nell’autunno 1972. A quel tempo, Lotta Continua aveva già organizzato i primi due convegni nazionali, a Torino nel 1970 e a Bologna nel 1971, elaborando così la propria linea teorico-politica.
A Torino LC individua nella Fiat, nell’Eni, nella Pirelli i luoghi del potere capitalistico in Italia, dotati di una struttura multinazionale, capaci di imperare sul mercato e di determinare processi di concentrazione del potere economico e di integrazioni fra industria pubblica e privata.
Contro questa politica del capitale va rilanciato il conflitto sociale aggregando nella lotta operai, studenti, impiegati, insegnanti. Impastato intuisce che in Sicilia, a svolgere il ruolo delle multinazionali, è la mafia. Essa controlla produzioni e distribuzioni, affari e appalti, politica ed economia; contro di essa, dunque, occorre scatenare l’offensiva; nella lotta contro di essa è possibile fare crescere negli sfruttati la coscienza di essere non soltanto una classe sociale ma la classe protagonista della vita sociale.

A Bologna LC lancia il programma strategico «Prendiamoci la città», che vuol dire unire il proletariato partendo dai suoi bisogni fondamentali, costruire un nuovo rapporto politico che consentirà di smascherare la legalità borghese nella sua essenza di difesa del ricco contro il povero, del potente contro il debole, del profitto contro l’umanità. Peppino intuisce che in Sicilia la legalità borghese è rappresentata dalla mafia e che spesso vi è una compenetrazione tra mafia e borghesia.
Lottando contro la mafia, Peppino lotta contro il Sistema.
Questo è il merito di Peppino: avere in Sicilia applicato alla lotta contro la mafia la linea teorico-politica elaborata contro l’ordine capitalistico; avere in Sicilia attuato contro la mafia la prassi della lotta di classe; avere in Sicilia mirato alla mafia attraverso le lenti del principio marxiano della lotta di classe.
Un fatto inedito, finora anche unico poichè la lotta alla mafia è stata ed è condotta nell’ambito del sistema politico liberale ed economico liberista; Peppino, invece, lotta contro la mafia perche in Sicilia l’ordine liberale e liberista è rappresentato da essa.
Anche per questo, nella famosa ultima lettera, spesso a sproposito citata, scriverà parole di fuoco contro «i personalisti (cultori del personale) e i cosiddetti creativi (ri-creativi): un concentrato di individualismo da porcile e di raffinata ipocrisia filistea».
Commenta Salvo Vitale che Peppino «si sente sempre più lontano da chi ha abbandonato il movente fondamentale della lotta di classe, per scegliere la deriva personalistica».
Egli aveva previsto le terribili conseguenze di questo riflusso nell’area a Sinistra del Partito Comunista Italiano dopo i guai provocati dal revisionismo allo stesso Pci e da un malinteso riformismo al Psi.
Riscoprire la militanza politica di Peppino oggi, nel momento in cui la mafia si è finanziarizzata, globalizzata, tanto quanto il capitalismo mentre la moltitudine degli sfruttati è sempre più debole e isolata di fronte al potere del profitto e del potente, può essere traumatico; ma è un trauma storicamente necessario.
Forse è tempo che attorno alle idee di Peppino rifiorisca la storia di quella Sinistra extraparlamentare, erede dei movimenti che si formarono e agirono a Sinistra del Risorgimento, prima, e della Resistenza, poi.

(*) Tratto da La Fionda.


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alexik

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