Allam bacchetta il papa Francesco
di Giuseppe Faso (*)
Ci chiedevamo se si fossero diradate le manifestazioni di intolleranza di Magdi Cristiano Allam, ed eccolo puntare dritto su papa Francesco (http://www.ilgiornale.it/news/interni/933714.html) bacchettandolo senza alcun riguardo. Ci tocca occuparcene, non tanto per cercare di dialogare con Allam (chi ci riesce?) ma perché siamo di fronte a un concentrato di argomentazioni di senso comune che ci capita di dover fronteggiare, con molto amore del prossimo, nei pochi luoghi pubblici rimasti.
Mostrando una cristiana attenzione all’impoverimento di masse crescenti di cittadini italiani, Allam – in sintonia con quello che in tanti si affrettano a dire – scrive che «sarebbe stato un gesto straordinario, forse doveroso, che la prima visita di Papa Francesco fuori Roma fosse riservata alla sofferenza degli italiani».
Se proprio voleva mischiarsi agli immigrati, il papa poteva intercettare una delle varie proposte di tanti solerti consiglieri, e recarsi «in una delle innumerevoli mense dei poveri disseminate in tutt’Italia gestite dalla Caritas, dal Sant’Egidio o dall’Opera Francescana», oppure «recarsi in uno dei purtroppo tantissimi quartieri degradati delle nostre metropoli, dove la povertà, la disoccupazione, lo spaccio di droga, lo sfruttamento della prostituzione e la criminalità spiccia od organizzata li rendono indegni di una nazione civile al punto da sfuggire al controllo delle forze dell’ordine».
Nulla di tutto questo: Francesco preferisce recarsi in mezzo ai “clandestini”, con un gesto limpidamente apprezzato da chi, come Annamaria Rivera, da decenni spende le sue energie sulle reazioni inconsulte e miopi al fenomeno immigrazione. E se qualcuno volesse azzardarsi a ricordare l’incontro di Francesco (quello d’Assisi) con i lebbrosi, quello da cui tutto l’amarum (..) conversum fuit (proprio così scrive il colto assisiate, con una efficacissima illegalità grammaticale) in laetitiam, ci ha già pensato il senso comune (e Allam) a ricordare che «si tratta di clandestini e che il gesto del Papa è una esplicita, anche se non voluta, legittimazione della clandestinità. La clandestinità è un reato in qualsiasi Stato al mondo».
Anche non volessimo occuparci della sconfessione del gesto del papa, ci pensa la prossima mossa da senso comune a stanarci, mettendo insieme, in un complotto teso alla «legittimazione della clandestinità», oltre al nuovo papa (inconsapevole, perché in lui la legittimazione è «esplicita, anche se non voluta», secondo il rispettoso Allam) la presidente Boldrini e la ministra Kyenge, «Carta di Roma», e «relativisti, buonisti, globalisti e immigrazionisti», tutti congiurati a cancellare la seconda parte della «esortazione evangelica “ama il prossimo tuo così come ami te stesso”», cui Allam dichiara di attenersi. Veramente un lettore attento del vangelo dovrebbe notare una stonatura, una cicatrice nella citazione, segno di una (non voluta, forse, ma che importa?) forzatura: che permette ad Allam, appunto, di immaginare si possa congiurare all’eliminazione del «come ami te stesso». Nel greco di Marco (12, 29) si legge ajgaphvsei” to;n plhsivon wJ” seautovn, che vuol dire «amerai il prossimo come, quanto te stesso» e toglie, mi pare, la possibilità di cancellare il «come ami te stesso», una fantasia catastrofico-depressiva da cui bisognerà salvare Allam: «non è umanamente possibile amare il prossimo trascurando se stessi, o addirittura essendo costretti a disprezzare o persino odiare se stessi, pena il proprio suicidio». Ma Gesù non ha detto: ama il prossimo (non “tuo”, si badi), come devi amare te stesso, bensì, ama chi ti capita vicino come già ti ami da te (la parafrasi, non bella, serve a evitare strane interpretazioni). Nessuno ci può invitare, né ci invita, a evitare di amare noi stessi per amare il prossimo: amare noi stessi sarà la misura con cui Gesù ci invita ad amare chi incontriamo: tanto, tantissimo. Altro sarà evitare orgoglio, narcisismo, chiusura nelle nostre convinzioni.
Non potendo scalfire la fede di chi vede dappertutto «buonisti e immigrazionisti», resta da proporre un chiarimento, ancora una volta, sul fantasma del “clandestino” che Allam vede messo a rischio dalla «legittimazione» del papa. Non è vero che quello di “clandestinità” sia un reato in ogni parte del mondo, è spesso una infrazione amministrativa (essere senza documenti), sancita come tale, ma combattuta sempre più spesso oltre le proporzioni volute dal diritto; ed era così anche in Italia fino a un intervento legislativo promosso dall’esponente della Lega Nord, ministro Maroni, che l’ha dichiarata “reato”, come ripete oggi il senso comune retrivo. Chi vuol mettere al bando la parola “clandestino” (come, su campagna di «Giornalisti contro il razzismo», alcune agenzie di stampa a partire da Redattore sociale e poi la «Carta di Roma») lo fa per ragioni di buon senso: innanzi tutto, perché non si tratta di termine neutro, esistente in natura o voluto da Dio, ma di epiteto in cui la connotazione stigmatizzante fa aggio sulla possibilità di denotazione; e secondariamente perché chi sbarca a Lampedusa spesso è una persona con caratteristiche tali che gli permettono di richiedere asilo, procedura non sempre resa possibile dalle scelte governative e amministrative. Chiamare “clandestino” questa persona ancora prima che si imbarchi in Libia (come fecero prima di tutto ministri e uomini politici, non solo della Lega) rivela molto su chi parla, non sulla persona di cui si parla.
Che “clandestino” sia uno stigma preventivo e non un termine denotativo, lo dimostra Allam, inanellando uno dietro l’altro i tormentoni di senso comune sui “clandestini”. Ecco un passaggio significativo del suo articolo: «Diciamo senza giri di parole che i clandestini sono conniventi con gli infami sfruttatori delle condizioni di miseria e disperazione da cui fuggono, perché volontariamente pagano una cifra che si aggira sui 1.000 dollari per salire su un’imbarcazione fatiscente che consente loro di attraversare il Mediterraneo (…) Pertanto i clandestini consapevolmente e concretamente commettono un reato condividendo con i loschi trafficanti di esseri umani la flagrante violazione della legge che è tale ovunque nel mondo».
Una considerazione appena appena più equanime forse potrebbe aiutare a comprendere che se una profuga eritrea, dopo sevizie, stupri, chiusure nelle carceri del deserto libico, viene costretta a trovare i soldi per arrivare al primo suolo europeo e chiedere quanto le spetta secondo il diritto (lo status di rifugiata), il rapporto di responsabilità di leggi, polizie, Agenzie europee di allontanamento, trafficanti etc. è assai meno semplice, e che parlare di condivisione tra “clandestini” e scafisti è una scorciatoia che esime dall’analisi. Basterebbero i 40 minuti del documentario «Come un uomo sulla terra» per rendere più cauti e accorti. Ma c’è chi aveva gli occhi per vedere e non ha visto etc, come da altro versetto del vangelo.
Allam mostra di essere altrettanto sbrigativo quando scrive: «A noi italiani non spetterà che accogliere incondizionatamente tutti coloro che si presentano alle nostre frontiere aderendo all’ideologia dell’immigrazionismo secondo cui gli immigrati sono buoni a prescindere dalle conseguenze della loro presenza nel nostro vissuto e nella nostra quotidianità». No, si tranquillizzi, lui e chi ripete tali asserzioni: non tutti gli immigrati sono buoni (aggettivo che qui varrà, sembra: accettabili, validi, sul piano civile) come non lo sono tutti gli italiani.
(*) da www.cronachediordinariorazzismo.org
Vale la pena sprecare tempo, in questi blog, con il cristiano Magdi Allam, che tra l’ altro ha abbandonato la Chiesa cattolica perché questa e’ troppo debole con l’ Islam? Allam in Italia e nel mondo ha peso 0 o quasi. Lasciamo che se la sbrighi con i suoi colleghi integralisti di tutte le risme,
“…Non tutti gli immigrati sono buoni (aggettivo che qui varrà, sembra: accettabili, validi, sul piano civile) come non lo sono tutti gli italiani. ”
recita l’ultima frase dell’intervento di Faso, complessivamente, certamente, non banale . Ma la fine è di una banalità e semplificazione per me fastidiosa. Perché in nome di una concezione ideologica (di sinistra di maniera?) globalizzante o totalizzante o genericamente cristiana, passa sopra un’infinità di realtà culturali e strutture di pensiero che legano l’uomo nella sua interezza e complessità – mani, piedi, cervello e cuore – a un territorio e a una società. Certo, l’ideologia è capace e deve avere il compito ‘progressista’ di prevedere e creare strumenti per superare tante cose. Ma l’assorbimento da parte di un territorio, di una società di elementi nuovi e diversi ha bisogno di tempo, di progettazione, di organizzazione di strutture anche materiali, non solo di strutture ideologiche. C’è bisogno, comunque, anche di tempo.
Al di là delle ideologie, quanta possibilità e capacità ha lo Stato italiano e la sua società di accogliere l’elemento ‘esterno’? In che misura e quantità? Di permettere che chi arriva in condizione di fuggiasco da paesi poveri, in guerra, ex coloniali ecc. abbia una casa, un lavoro, una scuola, un orientamento nel luogo di arrivo? Voglio dire, a parte i discorsi di principio, che siano cattolici o ‘progressisti’, perché non misurarsi col vissuto di ogni giorno e di quanto il quotidiano richiede e pretende?
Queste mie considerazioni, mi rendo conto, più che altro fatte per equilibrare certe prese di posizione, compreso il primo commento, che risolve la cosa in una ‘proscrizione’ sbrigativa a chi ha espresso la propria opinione (quella di Magdi Allam). Opinione, dico, che può rientrare nell’ambito di una discussione entro una società mediamente civile, anche se non condivisa. Per il momento mi sembra che l’accusato non proclami la strage degli innocenti previo internamento in campi di sterminio (i campi di internamento ha già pensato lo Stato ad allestirli). E anche la facile soluzione che si pone a certa problematicità del confronto tra Cristianesimo e Islam, dicendo che il Dio è uno solo e che tutte le religioni sono uguali ecc. è molto banalizzante, com’è banalizzante, certo, la mia semplificazione nel riassumere la questione: ma che si dica che le figure di Cristo e di Maometto siano confrontabili e magari sovrapponibili o, magari complementari e che altrettanto lo siano il Vangelo e il Corano, è certamente di una banalità sgradevole, certamente anche per i Mussulmani dal proprio punto di vista. Ritengo che tali banalizzazioni siano solo dettate o da ignoranza o da buone intenzioni ipocrito-ideologico-diplomatiche di un volemose bene, in sé positivo, ma che non aiuta la verità. A patto che la verità serva a qualcosa.
Ciò detto, concordo con l’articolata argomentazione di Faso quasi del tutto, ma vorrei inserire una provocazione che invita l’ideologia a confrontarsi con la realtà, se possibile affrontando e inventando geniali soluzioni per quanto riguarda le sfide che la vita quotidiana impone all’individuo e alla società.
Quanto alla visita del Papa a Lampedusa, io l’ho vissuta come uno spot in stile concordatario fra Stato e Chiesa e propaganda che fa di tutto per cucire addosso a questo Papa il saio di Francesco d’Assisi. Ci vuol altro. Forse l’unico senso vero e utile può essere per la popolazione di Lampedusa: di richiamare l’attenzione e fare una forte richiesta di potere vivere in casa propria in condizioni non di continua emergenza.
Apriti cielo.
Giuseppe Faso
Leggo solo ora, mi spiace per la “banalità fastidiosa” della frase finale del mio pezzo – ha ragione Piras -, avrei voluto con quel finale in calando suggerire qualcos’altro, che però è rimasto muto, e tanto peggio per me che non ho saputo scrivere meglio. Mi pare anche che la semplificazione e i giudizi “totali” praticati da Piras a loro volta riducano gli stimoli al comprendere. Rimane urgente per me (a perte gli altri compiti più seri, cui mi richiama Piras e a cui cerco di dedicare da tempo sforzi maggiori) un altro aspetto della faccenda, che ho cercato di indicare – in pochissime righe e senza finali banali – qui:http://web.giornalismi.info/mediarom/articoli/art_9724.html
Gentile Faso.
Alla fine dei conti, lei ha ragione dicendo che le mie affermazioni sono ‘totalizzanti’, quindi, banali e quindi poco utili a dare un contributo a una riflessione come quella che lei propone. Lo ammetto. Avrei dovuto, con più impegno e tempo, dare maggiore elaborazione e articolazione alle affermazioni.
Infatti la mia conclusione con ‘apriti cielo’ era, da parte mia, l’attesa di aspre critiche che non ci sono state.
Mi rendo benissimo conto che lei ha fatto uno sforzo certo maggiore del mio.
Confermo però la mia insoddisfazione e irritazione di fronte a certi assunti che un ‘progressista’ deve accettare come un ‘pacchetto’ di verità assodate e acquisite, quasi non sottoponibili a dubbio o critica; salvo venire classificati come retrogradi, poco aperti, quando non anche ‘razzisti o, detto più elegantemente,etnocentrici.