45° del 19 luglio in Nicaragua

Le differenza tra il 19 luglio 1979 e la messa in scena del 19 luglio 2024.

di Bái Qiú’ēn

«¡Aquí no se rinde nadie! ¡La juventud manda, ordena! ¡El pueblo manda, ordena! ¡Y Daniel obedece¡». Con queste parole Daniel ha iniziato il suo discorso per la celebrazione del 45° anniversario del triunfo della Rivoluzione Popolare Sandinista.

La Plaza de la Fe con il suo enorme obelisco dedicato a Karol Józef Wojtyla, era organizzata come una vera e propria Piazza d’Armi, dove di solito le truppe militari fanno le esercitazioni e le parate per mostrarsi alla popolazione in tutto il loro splendore guerriero.

Un’immagine assai diversa da quella del 19 luglio 1979, quando migliaia di nicaraguensi accorsero spontaneamente in Plaza de la República (in seguito denominata Plaza de la Revolución) per celebrare con vera allegria la caduta della dinastia dei Somoza.

Per quasi cinque ore, migliaia di giovani, ragazzi e ragazze, tutti con la maglietta rigorosamente bianca e il fazzoletto rossonero al collo (vera e propria divisa stile militare), sventolavano bandiere di tela e bandierine di carta con i colori nazionali o con quelli dell’assassinato FSLN. In file regolari e ben composte, come se ognuno di loro avesse i piedi incollati o inchiodati sul selciato, esattamente come un esercito in parata.

Nei volti di parecchi “manifestanti” si poteva leggere l’assenza di partecipazione emotiva. Del resto, l’età di tutti i partecipanti era ben inferiore ai 45 anni: nessuno di loro aveva partecipato alla lotta antisomozista e forse qualcuno aveva vissuto gli anni Ottanta. Non si tratta di un’ipotesi o di una visione di parte: anche se i dati del censimento non sono ancora noti (se mai lo saranno), oltre il 60% della popolazione ha meno di quaranta anni d’età.

Chi ha frequentato il Nicaragua in altri periodi, sa perfettamente che le manifestazioni sono chiassose e scomposte. La bulla o bochinche è caratteristica ineliminabile del carattere nazionale: «Si entre más bulla hay, más alegre te parece el evento» (Più c’è confusione, più l’evento ti sembra gioioso).

Negli anniversari i militanti sandinisti partivano dai loro barrios in gruppi e gruppetti, indossando i loro abiti migliori e, camminando e cantando, raggiungevano Plaza de la Revolución. In questo 2024 tutto è stato diverso. Vista dall’alto, la truppa formava file regolari che disegnavano un grande cuore con “raggi” che si diramavano in tutte le direzioni. Una vera e propria coreografia studiata e organizzata da Rosario Murillo, che nulla aveva a che vedere con il passato più o meno recente. Una messa in scena spettacolare, per mostrare una realtà esistente soltanto nella mente della coppia regnante e della loro Corte di vassalli usi obbedir tacendo.

In una Plaza de la Fe supervigilata, nella quale era impossibile entrare senza un “pass”, balli folkloristici e canti sono proseguiti per quasi due ore (per la precisione un’ora e 57 minuti). Panem et circenses…

L’unica cosa che legava questa ennesima celebrazione a quelle precedenti erano le storiche canzoni dell’ormai esule Carlos Mejía Godoy, autore della colonna sonora di una Rivoluzione ormai da tempo tradita e assassinata. Per la cronaca, si è pure udito l’inno dell’Esercito di Sandino, Somos los libertadores, e, poco prima che Daniel iniziasse a parlare, El gallo ennavajado (una delle canzoni della campagna elettorale del 1990).

Della Rivoluzione Popolare Sandinista che rovesciò Somoza il 19 luglio 1979 restano un nome e il ricordo di un gesto rivoluzionario forse impensabile, generoso con gli sconfitti, che suscitò l’ammirazione e il sostegno politico ed economico di decine di Paesi e di milioni di sostenitori in tutto il mondo. Quel gesto di moderazione che evitò volutamente qualsiasi vendetta nei confronti dei somozisti è ormai soltanto un ricordo annebbiato e, inutile chiedersi il perché, non viene mai ricordato da Daniel nei suoi ripetitivi e ormai soporiferi discorsi.

Se è vero che nei giorni precedenti al 19 luglio sono state scarcerate circa 1.500 detenuti concedendogli gli arresti domiciliari, è altrettanto certo che tra loro non v’era alcun oppositore (almeno 128 secondo la Corte Interamericana dei Diritti Umani).

Vale forse la pena ricordare gli oltre duecento oppositori che all’inizio del gennaio 2023 furono caricati su un aereo e spediti a Washington, privandoli della nazionalità e cancellandoli dall’anagrafe. Trasformandoli in quelle che Orwell definì «non persone», ossia individui mai esistiti, cancellati dal ministero della Verità. Ne è passata di acqua sotto i ponti del Nicaragua dal 19 luglio 1979 a oggi.

Nel suo lungo discorso, spesse volte perdendo il filo, Daniel ha parlato di un Paese che nemmeno i militanti storici sandinisti riescono a riconoscere nella realtà fattuale, un Paese di «prosperità e vittorie». Pura Neolingua. Anche perché le più grandi vittorie, stando alle stesse parole di Daniel, sono state: la campagna di alfabetizzazione del 1980 e la riforma agraria del 1981.

In compenso, secondo i dati forniti dall’Instituto Nicaragüense de Información de Desarrollo (Inide), statale, l’attuale stipendio minimo e appena sufficiente per acquistare il 40% della canasta básica (i prodotti di più necessario consumo). Quasi il 90% delle persone non è in grado di soddisfare le proprie necessità minime di sopravvivenza, non avendo denaro sufficiente per la canasta básica.

Che ciò sia compensato dalla «prosperità» di strade, parchi e stadi di football (ma pure di ospedali e scuole) è tutto da dimostrare. E le elemosine governative (tipo paquete AFA) possono soltanto alleviare per qualche giorno la situazione drammatica di 365 giorni all’anno.

Il sostegno popolare all’orteguismo (che qualcuno si ostina a chiamare sandinismo) cala di giorno in giorno e non ha alcuna coesione: anzi, aumentano i segnali di critica e di dissenso soprattutto per la mancanza di opportunità lavorative e, di conseguenza, di entrate economiche per poter sopravvivere.

È indubitabile che la Rivoluzione Popolare Sandinista abbia cambiato la storia del Nicaragua e i risultati degli anni Ottanta, pur con una guerra e un blocco economico-commerciale, sono innegabili.

La domanda fondamentale alla quale è difficile rispondere (o è fin troppo facile) è: come mai, senza un conflitto armato né un bloqueo in diciassette anni il Paese è andato avanti come i gamberi? Qual è il “tappo” che frena il progresso?

Tutti coloro che, in giro per il mondo, continuano a considerare Daniel e la Chayo come incarnazione della seconda fase della Rivoluzione Popolare Sandinista, dovrebbero fare un giretto nel Nicaragua di oggi, per toccare con mano una realtà che esiste soltanto nella Neolingua della propaganda. Oppure basterebbe che facessero un’analisi minimamente marxista, abbandonando le idee fantasiose propagandate del ministero della Verità gestito dalla Chayo.

In diciassette anni di potere sempre più assoluto (altro che «¡La juventud manda, ordena! ¡El pueblo manda, ordena!») non si è realizzata e nemmeno messa in cantiere una qualsiasi riforma strutturale: nessuna socializzazione delle banche, nessuna nuova riforma agraria nonostante la forte concentrazione delle terre nelle mani dei grandi proprietari terrieri, nessuna riforma urbana a favore delle classi lavoratrici, nessuna riforma fiscale per concretizzare una maggiore giustizia sociale. Piuttosto, si è incrementato il livello di neoliberismo dei precedenti tre governi neoliberisti, approfondendo il modello estrattivista e indebitando sempre più il Paese nei confronti sia degli organismi finanziari internazionali (FMI, BM ecc.) sia di quelli privati.

Detto ciò, la celebrazione del 45° anniversario fa risuonare nella mente il testo di una vecchia canzone di Luis Enrique Mejía Godoy, incisa la prima volta nel 1970 e musicalmente debitrice senza dubbio a Víctor Jara: Primero de enero.

Por las sombras del camino

van los indios hacia el pueblo,

van bajando la montaña

por que es primero de enero.

Llevan gallinas al cura por milagros venideros

o a rogar que en este invierno llueva mucho en el potrero.

El patrón va entrando a misa disfrazado de cordero

(Se da golpes en el pecho, pero es muy duro ese cuero).

Por ser primero de enero.

***

Ai suoi inizi la Rivoluzione Popolare Sandinista (dove la parola più importante è «popolare») fu una straordinaria esperienza di liberazione sociale e di recupero della dignità nazionale in un Paese dipendente la cui condizione di patio trasero (cortile di dietro) dell’imperialismo statunitense era stato accettato per decenni dai suoi governanti autoritari e dinastici.

Per far felici gli ortodossi, ma con una visione decisamente fuori dal tempo e dalla storia, nel suo discorso Daniel ha auspicato la scomparsa degli Stati Uniti. Così, come se esistesse davvero il genio della lampada di Aladino e gli si potesse chiedere di esaudire questo desiderio: «habría que pedir la desaparición del Estado de la United States. El primero que debería de desaparecer es ese Estado». Parole al vento di pura retorica fintamente antimperialista, che non riescono neppure più a scaldare il cuore dei militanti sandinisti, ormai coscienti che la realtà è purtroppo un’altra.

«¡Y Daniel obedece¡», «Se da golpes en el pecho, pero es muy duro ese cuero». Por ser diecinueve de julio.

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