Spugne. Essere detenutə ad agosto

da Fratture del 15 agosto 2024

Detenzione e cambiamento climatico

Il 22 luglio 2024 è stato registrato come il giorno più caldo di sempre, con una temperatura media globale di 17,15 gradi centigradi: un dato preoccupante e senza precedenti. Stando a quanto scritto nel report europeo Copernicus, prima di luglio 2023 il giorno più caldo risaliva al 13 agosto 2016; da luglio 2023 in poi, il record è stato superato 57 volte.

Il 6 agosto 2024 due persone ristrette nella sezione femminile del carcere di Torino hanno scritto una lettera per denunciare le condizioni in cui sono detenute. Nelle prime righe si legge: «In un clima “rovente”, non solo per le temperature, scriviamo questa lettera dalla sezione femminile del carcere di Torino. Siamo due “ragazze” qui recluse e ci facciamo portavoce del pensiero e della necessità di molti altri reclusi. Il detto stare al fresco non si addice più a nessuna galera, perché ormai scontiamo le nostre pene stipati, nascosti e dimenticati in questi “magazzini di corpi” che sono polveriere in cui non c’è rispetto, né dignità, né futuro».

Per le persone private della libertà personale sfuggire al caldo negli istituti è impossibile: non potendo evadere dalla propria condizione, gli effetti del cambiamento climatico si fanno per loro ancora più violenti. Complici di ciò sono anche le condizioni strutturali in cui versano le carceri. Infatti, si spiega nel Rapporto di Antigone del 2024:

«Se il caldo esasperato che peggiora di anno in anno è di difficile sopportazione per chiunque, si pensi a coloro che si trovano in una struttura fatta quasi integralmente di cemento, stipati in celle sovraffollate, senza aria condizionata e a volte con schermature alle finestre. La notte a volte i blindi vengono chiusi, rendendo rovente l’ambiente della cella. […] Dalle visite effettuate dagli Osservatori di Antigone negli ultimi mesi emerge un quadro desolante rispetto alle condizioni di detenzione di alcuni istituti, le quali peggiorano in maniera esponenziale a causa del caldo afoso».

Inoltre, Antigone nel 2023 aveva rilevato l’assenza di docce nel 50% delle celle, nonostante il regolamento penitenziario ne preveda la dotazione obbligatoria dal 2005. Ad essere carenti in sezione sono anche i frigoriferi, con ricadute sulla disponibilità di acqua fresca e sulla conservazione del cibo. In più, il caldo afoso, l’aria stantia e l’umidità, unite a condizioni strutturali decadenti, favoriscono la proliferazione di blatte e batteri, aumentando la possibilità di contrarre la scabbia o altre malattie.

Anche dalle parole di Luna Casarotti, ex-detenuta e attivista di Associazione Yairaiha Onlus e Popolazione carceraria/Patrie galere, che abbiamo intervistato per questo numero, emerge come la rigidità delle regole in carcere renda ancora più complesso convivere con il caldo.

Luna racconta:

«D’estate in carcere non ti puoi mettere come vuoi tu: per esempio, a casa tua ti potresti mettere un pantaloncino o girare in mutande; in carcere, invece, non ti puoi mettere in certi modi, perché lì qualsiasi cosa viene definita come atti osceni. Puoi avere anche un rapporto disciplinare per questo. È un vero dramma essere detenute in questo periodo dell’anno. D’estate noi ci mettevamo per terra o con l’asciugamano bagnato. Quando stavi sul materasso, ti si attaccava proprio la pelle e faceva ancora più caldo. Tieni conto che i materassi in realtà non sono dei materassi: sono delle spugne, come se tu ti mettessi sopra una spugna proprio, quella con cui lavi i piatti. Poi in estate ci sono ancora più gradi all’interno delle carceri, cioè sono praticamente il doppio. Io ci sono stata tra il 2010 e il 2015: a noi poi tolsero il terzo letto a castello, però in caso di sovraffollamento l’avrebbero rimesso. Al maschile, dove erano più di noi, il terzo letto non è stato tolto, e neanche il quarto, perciò non potevano aprire la finestra perché i letti a castello impedivano l’apertura. Muori di caldo. Non avevamo nessun ventilatore, proprio niente di niente. Adesso so che in alcune carceri, ma solo alcune, i ventilatori sono nel sopravvitto* o vengono portati dai garanti. Sono quei ventilatori con le batterie. Però considera che anche le batterie naturalmente hanno un costo, perché se tu tieni tutto il giorno quel ventilatore lì acceso, le batterie poi le devi comprare di continuo. E le persone che non hanno niente o non hanno nessuno non possono permetterselo»

L’avvocata, attivista e ricercatrice Derecka Purnell, nel suo libro “Come sono diventata abolizionista” (Fandango Libri, 2023), dedica un intero capitolo alla necessità di coniugare le lotte per la giustizia climatica e ambientale alle istanze per la salvaguardia dei diritti delle persone detenute. L’obiettivo è quello di evidenziare quanto l’aumento delle temperature, dei disastri ecologici e dell’inquinamento colpisca maggiormente le persone che vivono in condizioni di marginalità, status che il cambiamento climatico non può che acuire. In sostanza, Purnell mette in luce le contraddizioni di un sistema che, invece di investire in politiche di giustizia sociale e climatica, sceglie di militarizzare i quartieri marginali, costruire altre carceri e finanziare i corpi di polizia.

Nel libro, inoltre, viene citato il lavoro dell’organizzazione abolizionista “Fight Toxic Prisons”, che esplora le intersezioni tra incarcerazione, salute ed ecologia.
Secondo questa prospettiva, lo sfruttamento sfrenato delle risorse naturali e delle persone, insieme all’incarcerazione di massa, sono frutto di uno stesso sistema, che vede nella sorveglianza e nel negazionismo climatico gli strumenti per affrontare in modo semplice questioni complesse. L’abolizionismo – prospettiva incoraggiata dalla stessa Purnell – si propone allora come mezzo per il dialogo tra le varie istanze, aspirando alla liberazione della Terra tutta.

Dal sito di Fight Toxic Prisons.

Il caldo non è l’unico problema

Ad aggravare ulteriormente le condizioni di reclusione entra in gioco la drastica riduzione delle attività che si registra nel periodo estivo: le iniziative promosse dalle associazioni di volontariato vengono riprogrammate a settembre; i percorsi scolastici e professionalizzanti si interrompono, come accade anche fuori dal carcere. A fronte di questa carenza trattamentale, il tempo trascorso all’interno della cella non può che essere maggiore durante l’estate, soprattutto ad agosto.

Sempre Luna Casarotti ci ha raccontato che, fino al 2013, lei e le altre persone ristrette in sezione femminile trascorrevano circa 20 ore chiuse nelle rispettive celle. Infatti, solo dopo la sentenza Torreggiani del 2013, con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per trattamenti inumani e degradanti, ci sono stati alcuni cambiamenti: l’amministrazione penitenziaria ha implementato il “regime aperto” nel circuito di media sicurezza, dove è ristretto circa il 70% delle persone detenute, prevedendo quindi la possibilità di muoversi liberamente all’interno della sezione per almeno 8 ore al giorno.

«Quando le celle hanno iniziato ad essere aperte, ci aprivano alle nove. Potevi andare all’aria, restare in cella o andare in un’altra cella con una tua “concellina”. All’orario di pranzo, ci chiudevano e passava il sopravvitto. Il tempo di mangiare e ci riaprivano. Questo fino al 2015  [data in cui Luna è uscita dal carcere, ndr], poi non so come sia cambiato».

Nel 2020 è stato stabilito nuovamente il “regime chiuso”, per motivi sanitari legati al Covid-19. Terminata l’emergenza, però, una circolare del DAP del 2022 ha di fatto sancito il ritorno al sistema delle celle chiuse, particolarmente deleterio nel periodo estivo.
Ne parla Irene Testa, garante per la Sardegna delle persone private della libertà personale, in un intervento al telegiornale regionale:

«Sicuramente in estate tutto si amplifica: si amplificano i problemi, si amplifica il fatto che non c’è personale, […], è poco il trattamento che i detenuti ricevono, quindi è maggiore il tempo che passano all’interno delle celle. Provate a immaginare di stare a 43 gradi in una cella di quattro persone, senza fare niente, praticamente a guardare il soffitto. Esaspera. Esaspera gli animi».

Anche quando vengono svolte ad agosto, le attività prevedono spesso un numero chiuso, interessando una percentuale molto bassa sul totale delle persone recluse.

Sempre Luna:

«D’estate era un po’ tutto sospeso, anche perché a volte le attività erano a numero chiuso e le persone coinvolte erano magari solo 15 su 1000. Anche i vari corsi di formazione erano a numero chiuso, perciò non tutti potevano partecipare. Per noi, c’era solamente un corso di yoga. A farlo veniva una volontaria. Corsi proprio di formazione, come la scuola e quant’altro, d’estate non ce n’erano».

A numero chiuso sono anche le iniziative organizzate in alcuni istituti penitenziari nei giorni intorno a Ferragosto. Nel 2023, questi erano due tra gli eventi segnalati sul sito del Quotidiano del Ministero della Giustizia:

– Le “Cene galeotte”, nella Casa di Reclusione di Volterra, che «coinvolgono circa 30 detenuti che si occupano dell’accoglienza e della cucina sotto la guida di chef stellati»;
– A Sassari, invece, nel corso di una processione per la vigilia di Ferragosto, 8 detenutə «muovono, secondo antichi passi di danza, il Candeliere di San Sebastiano, simbolo di appartenenza alla comunità cittadina».

Sullo stesso sito viene inoltre riportata «la rituale cocomerata ferragostana  [nel carcere di Rebibbia, ndr] con taglio in cucina di centinaia di fette di anguria […] distribuite alla popolazione detenuta, assieme a saponi, shampoo e altri prodotti per l’igiene». Qui la narrazione dell’evento da parte del Tg3, nel 2023.
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La problematicità di queste proposte non riguarda, però, soltanto il numero estremamente ridotto di persone coinvolte: le necessità di chi è detenutə sono altre rispetto a eventi di “festa” sporadici. Le proteste, i suicidi e gli atti di autolesionismo – in costante aumento – pongono sotto accusa le condizioni strutturali, come il tasso di sovraffollamento (oggi al 130%) e la violenza del sistema penitenziario. Eppure, la partecipazione a una processione religiosa, una «cena galeotta» o una «cocomerata» viene presentata come un mezzo efficace per alleviare la sofferenza delle persone ristrette.


Morire d’estate

Condizioni climatiche insostenibili, attività sempre più scarse, ulteriore isolamento rispetto al mondo esterno: questi i fattori che incidono sull’esperienza della detenzione ad agosto nelle carceri italiane. Rimane quindi da chiedersi quali siano le conseguenze di questa situazione sulla salute della popolazione detenuta.

Che la salute mentale delle persone ristrette sia un tema di cui la politica italiana non si occupa, è tristemente testimoniato dai 66 suicidi che hanno avuto luogo nel 2024: 23 in più rispetto allo stesso periodo nel 2023 e 18 rispetto al 2022, anno che ha registrato il più alto tasso di suicidi in carcere dal 1990. Inoltre, guardando alla distribuzione di questi eventi, è possibile evidenziare una loro concentrazione proprio nei mesi estivi, tra cui agosto. Da uno studio del Garante nazionale è emerso infatti che nel 2022, ad agosto, si sono suicidate 17 persone, più del doppio rispetto agli altri mesi critici di quello stesso anno (gennaio e ottobre). Nel 2023, quasi un terzo dei suicidi è avvenuto nei mesi di giugno, luglio e agosto.

Sarebbe importante, per completare il quadro, riflettere sui dati relativi alla prescrizione e al consumo di psicofarmaci nel mese di agosto, oltre alla disponibilità oraria dellə psicologə in questo periodo. Purtroppo, non siamo riuscitə a reperire queste informazioni per l’assenza di dati pubblici disponibili a riguardo.

Resta comunque assodata l’insufficienza sistemica del sostegno psicologico in carcere: come avevamo già accennato nel nostro #5 Pillole, si attestano in media 20 psicologə ogni 100 detenutə, con un tempo di 12 minuti a colloquio per ciascuna persona. In alcuni casi, come ci racconta Luna, il supporto di questo tipo non è solo carente, ma sostanzialmente assente:

«Lo psicologo non l’ho mai visto. Io l’ho visto quando sono entrata nel 2010 per 5 minuti. Dopo non l’ho mai più visto per i successivi cinque anni. Io ero sotto il Sert: di solito, insomma, le persone sotto il Sert dovrebbero averlo uno psicologo. Avrei dovuto usufruirne, però non l’ho mai visto».


Le carceri «umanizzate» non sono abbastanza

Proprio in uno dei periodi più critici per la vita detentiva, in data 8 agosto, la Camera dei Deputati ha dato il via libera definitivo alla conversione in legge del decreto “carcere sicuro”, così ribattezzato dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio. Quest’ultimo l’ha definito «un intervento vasto e strutturale», frutto di una visione politica di «umanizzazione carceraria». Nel decreto, però, non si fa ancora cenno al tema urgente del sovraffollamento; Nordio a riguardo ha solamente rilasciato alcune dichiarazioni, citando tra le possibilità di intervento l’esecuzione della pena nei paesi d’origine per la popolazione detenuta straniera.

Tra le novità introdotte dalla neonata legge vi sono alcuni miglioramenti, che pure hanno un impatto irrisorio rispetto ai problemi strutturali del sistema carcerario, come l’aumento per le persone detenute del numero di telefonate mensili (da 4 a 6).

La legge prevede poi:

-la modifica della procedura per concedere la liberazione anticipata, che dovrebbe accelerarne i tempi;
-l’assunzione di 1000 agenti penitenziariə che, a fronte di un sovraffollamento crescente, risultano ben poco risolutivə;
-l’istituzione di un elenco di strutture residenziali idonee all’accoglienza e al reinserimento sociale di persone detenute che fanno uso di sostanze, con il rischio di aprire la strada alla privatizzazione delle prigioni;
-la creazione di un nuovo Commissario straordinario all’edilizia penitenziaria.

Si attende poi per il 10 settembre l’approdo in Aula del ddl “Sicurezza” che, se approvato, introdurrebbe 13 nuove fattispecie di reato, insieme a un certo numero di aggravanti. In particolare, con l’articolo 18 verrebbe istituito il reato di rivolta in carcere, con pene da 1 a 5 anni di reclusione per chi non obbedisce agli «ordini impartiti» anche mediante «resistenza passiva». Con l’articolo 19, la stessa fattispecie si estenderebbe anche alle strutture di accoglienza per minori stranierə non accompagnatə e per rifugiatə titolari di protezione internazionale.

Lo spettro dell’approvazione del reato di rivolta aleggia ancora di più in questo periodo estivo in cui in numerosi istituti penitenziari (a Milano, Sollicciano, Viterbo, Roma, Terni, Velletri, Trieste, Prato e Torino) si sono registrate azioni di resistenza attiva e passiva, anche a seguito di alcuni suicidi. A essere denunciate sono soprattutto le condizioni di vita degradanti e il mancato rispetto dei diritti fondamentali.
Come spiega per il manifesto il Garante della regione Lazio Stefano Anastasia, bisogna però stare attentə a non cadere nel «tranello delle rivolte»: raccontate da fuori come atti sovversivi frutto di una regia criminale o come accessi di violenza fine a se stessa, le azioni di protesta – le battiture*, gli incendi, il rifiuto a tornare nella propria cella, l’occupazione dei reparti – sono in verità uno strumento a disposizione di chi è detenutə per veicolare dei messaggi di denuncia da troppo tempo invisibilizzati.
Proprio oggi, mentre andranno in onda i consueti approfondimenti televisivi sui festeggiamenti di Ferragosto, tra le 12:00 e le 12:30, è prevista in molti istituti (tra cui quello di Torino) una battitura collettiva per protestare contro le condizioni degradanti e le violenze che chi è detenutə subisce quotidianamente in carcere.

* La battitura di protesta viene svolta dalle persone detenute, che sbattono pentole e altri oggetti in metallo su porte e finestre per richiamare l’attenzione su problemi o necessità particolari.

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Qualche consiglio

– Attraverso dati e testimonianze, Federica Delogu e Marika Ikonomu raccontano su Domani l’esperienza infernale del carcere in estate, tra caldo, vuoto e sovraffollamento.
-A partire dall’esperienza di un laboratorio di poesia e rap in un IPM, il rapper Kento riflette sul rapporto tra lə ragazzə detenutə e le vacanze natalizie ed estive. Trovate l’articolo su Il Post.
-Lo Students of Color Environmental Collective (SCEC) nel 2021 ha ospitato una conferenza con variә ospiti per approfondire le intersezioni tra giustizia climatica e abolizionismo carcerario.
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alexik

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