Sandino, ossia il vero antimperialismo

L’antimperialismo del Generale degli Uomini Liberi nasceva dall’idea fondamentale della piena indipendenza e sovranità di tutti i Paesi dell’America latina, trovando le radici storico-ideologiche nel cubano José Martí, nell’uruguayano José Enrique Rodó, nell’argentino Manuel Ugarte, nel messicano José Vasconcelos e nel nicaraguense Félix Rubén García Sarmiento più noto come Rubén Darío.

di Bái Qiú’ēn

Hay una luz en Las Segovias que ilumina el continente: Sandino. Hay un canto de amor que recorre la geografía moral de nuestra América: Sandino. (Luis Enrique Mejía Godoy, Esta canción es un disparo, 1984)

«Profondamente convinti come siamo che il capitalismo nordamericano abbia raggiunto l’ultimo stadio del suo sviluppo, trasformandosi di conseguenza in imperialismo e non ha più alcun legame con le idee di diritto e di giustizia…»

Sbaglierebbe chiunque ritenesse che sia una frase contenuta nel notissimo saggio di Lenin L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (Империализм как высшая стадия капитализма, 1916). In realtà è nel Proyecto Original que el Ejército Defensor de la Soberanía Nacional de Nicaragua presenta a los representantes de los Gobiernos de los veintiún Estados Latinoamericanos scritto da Augusto C. Sandino il 20 marzo 1929, più noto come Plan de Realización del Supremo Sueño de Bolívar, nel quale Sandino propone la realizzazione del Canale interoceanico in territorio nicaraguense ma sotto il controllo latinoamericano. In buona sostanza, proponeva l’obiettivo politico che l’America latina fosse dei latinoamericani.

L’antimperialismo del Generale degli Uomini Liberi non era un comodo espediente per essere considerato di sinistra e benvoluto nelle stanze del Cremlino all’epoca della Terza Internazionale sottoposta ai capricciosi e grossolani voleri di Stalin. Tutti i suoi scritti lo testimoniano senza ombra di dubbio. Faceva parte dei suoi princìpi irrinunciabili, unitamente all’onore e al disinteresse per le prebende personali (cariche o denaro che dir si voglia). Il suo antimperialismo nasceva dall’idea fondamentale della piena indipendenza e sovranità di tutti i Paesi dell’America latina (non soltanto del Nicaragua), trovando le radici storico-ideologiche nel cubano José Martí, nell’uruguayano José Enrique Rodó, nell’argentino Manuel Ugarte, nel messicano José Vasconcelos e nel nicaraguense Félix Rubén García Sarmiento più noto come Rubén Darío. Da parecchio tempo, del resto, in vari luoghi dell’America latina si vedeva con preoccupazione la presenza delle potenze europee e, soprattutto, il crescente peso degli Stati Uniti in termini politici ma, soprattutto, economici (con la nefasta Dottrina Monroe del 1823).

Il 27 giugno 1927 il sindacato “laburista” Federación del Trabajo Nicaragüense presentò una risoluzione alla Conferenza panamericana del lavoro (che si svolgeva a Washington) nella quale si chiedeva «il ritiro immediato delle forze militari marittime, terrestri e dell’aviazione dal territorio nicaraguense». Pochi giorni dopo, il 1° luglio, Sandino redasse il Manifiesto de San Albino, con il quale dichiarò l’inizio della sua lotta armata contro l’intervento militare statunitense e contro i vendepatria: «Il mio ideale si basa su un ampio orizzonte internazionalista». A partire dal 13 febbraio 1928 i lavoratori del porto di Corinto (costa del Pacifico) realizzarono uno sciopero di carattere politico, protestando contro l’invasione militare statunitense.

L’anno seguente, nella lettera che Sandino inviò al Secondo congresso antimperialista che si svolse a Francoforte dal 21 al 30 luglio 1929 (in El pensamieto vivo, Managua 1984, Tomo I, pp. 367-372), scrisse: «Il popolo nicaraguense non riconosce come governi costituzionali nessuno di quelli che hanno scalato il potere dal 1909 a oggi, poiché vi sono giunti con l’appoggio delle baionette dell’imperialismo degli Stati uniti». Lo stretto legame tra l’imperialismo statunitense e la condizione post-coloniale del Nicaragua è più che evidente nelle sue parole.

La storia del Nicaragua era quella di due oligarchie (liberali e conservatori), con presidenti corrotti che si alternavano alla guida (fittizia) di un vero e proprio protettorato statunitense (la tipica Repubblica delle banane). Condannare tutti i governi succedutisi nel Paese nel corso del primo ventennio del Novecento potrebbe sembrare una facile e comoda semplificazione, assai simile a quella che attualmente prevale con l’orteguismo nei confronti degli Stati Uniti, più di facciata che sostanziale. Sandino, però, sapeva fare delle distinzioni e non metteva tutta l’erba nello stesso fascio dei politici corrotti e asserviti (quella “oligarchia” così spesso ricordata da Daniel e da Rosario, nella quale sono compresi pure ex comandanti sandinisti che non condividono l’attuale Regno familista).

Leggendo infatti con attenzione i suoi scritti si comprende come l’antimperialismo di Sandino si basasse sulla ragione e sulla storia non soltanto del Nicaragua ma dell’intero continente latinoamericano. Per nulla fanatico né settario, aggiunse infatti nella stessa lettera al Congresso antimperialista che riconosceva come positiva la parentesi di Bartolomé Martínez Hernández, vicepresidente arrivato alla presidenza della Repubblica dopo la morte di Diego Manuel Chamorro Bolaños (cugino di Emiliano) nell’ottobre del 1923.

Non è irrilevante ricordare che don Bartolo (come era affettuosamente chiamato dalla popolazione) era un conservatore, esattamente come tutti i Chamorro. E, oltretutto, ricoprì la carica presidenziale in un periodo nel quale sul Paese era fortissimo il dominio politico e finanziario dei banchieri statunitensi.

Sandino motivò l’esclusione di don Bartolo dalla categoria dei vendepatria per il fatto che «rispettò il risultato delle libere elezioni consegnando il potere ai signori Carlos Solórzano e Juan Bautista Sacasa, presidente e vicepresidente eletti nel 1924». Per cui «lo giudichiamo tra coloro che sono onorevoli e degni della stima dei nostri concittadini». Tra l’altro, in poco più di un anno alla presidenza, nazionalizzò le ferrovie, la Banca “Nazionale” e le dogane (tutti nelle mani dei suddetti banchieri statunitensi) e riuscì a ristrutturare il debito estero con Washington. Forse un caso più unico che raro nella storia del Nicaragua indipendente. È certo che non si arricchì durante il periodo presidenziale. Non per caso, dato il suo profondo senso dell’onore e dell’onestà, si diceva popolarmente che «Salió más pobre que cuando entró a la presidencia». Come pure è innegabile il fatto che nel suo governo “conservatore” nominò vari ministri liberali, creando una vera e propria coalizione tra le opposte fazioni che si combattevano l’un l’altra armi in pugno fin dall’indipendenza dalla Spagna nel 1821. Tra l’altro, nel breve periodo della presidenza di don Bartolo si concluse (almeno temporaneamente) l’occupazione militare statunitense del Paese iniziata nel 1909. Non ultimo e non irrilevante, per la prima volta una donna entrò a fare parte del Governo (la pedagogista Juana Molina de Froeman).

Un aneddoto assai significativo che si legge nei libri di storia, narra che in previsione della festa nazionale dell’indipendenza USA del 4 luglio l’allora ambasciatore statunitense chiese a don Bartolo come intendeva celebrare l’indipendenza del grande e potente vicino del Nord. Il Presidente gli rispose molto garbatamente e diplomaticamente (ma con una buona dose di sarcasmo): «Sono una persona molto meticolosa e vorrei organizzare una festa che non sminuisca il ​​suo Paese. Desidererei pertanto che lei mi faccia sapere per iscritto come gli Stati Uniti celebreranno il 15 settembre, giorno dell’Indipendenza del Nicaragua, per realizzarlo uguale o migliore». A buon intenditor…

Poiché gli statunitensi avevano deciso di impedire a don Bartolo di candidarsi per un nuovo mandato presidenziale, per proseguire sulla via della pacificazione tra le fazioni da lui ricercata con tenacia e convinzione, grazie al cosiddetto Pacto de Transacción non a caso la coppia che si presentò alle elezioni del 1924 era composta da un conservatore (Solórzano) e da un liberale (Sacasa). Vinsero con il 57% dei voti e si insediarono il 1° gennaio 1925, ma il loro periodo presidenziale terminò bruscamente con il lomazo* del successivo 25 ottobre, il colpo di Stato realizzato dal conservatore de pura cepa Emiliano Chamorro, sonoramente sconfitto nelle elezioni del novembre 1923. Nel gennaio del 1926, avendo il conservatore Solórzano rinunciato a proseguire nell’incarico, il liberale Sacasa si autoproclamò presidente, affermando che lo stabiliva la Costituzione in vigore. Tornò così all’ordine del giorno il conflitto armato tra conservatori e liberali in quella che fu definita Guerra Constitucionalista (cominciata nel maggio 1926) e, tra i secondi, iniziò a combattere anche Sandino, rientrato in Nicaragua dal Messico il 10 giugno. Nel frattempo le truppe dei marines tornarono a occupare militarmente il Paese. «In America si è fatto ricorso alla guerra di guerriglia in varie occasioni. Si può citare l’esempio di Augusto César Sandino in lotta contro le forze di spedizione yankee sulle montagne della Segovia in Nicaragua» (Ernesto Guevara, La guerra di guerriglia, 1960). Proprio grazie alla lotta guerrigliera dal 1927 al 1933 contro i marines, Sandino divenne un simbolo della lotta contro l’imperialismo e per la sovranità nazionale. Eppure, proprio in quella lettera da sempre volutamente ignorata da Daniel, Sandino aveva scritto di don Bartolo: «perciò lo giudichiamo tra i rispettabili e degni della stima dei suoi connazionali».

Non pare strano né assurdo che Daniel, nei suoi ripetitivi discorsi, non ricordi mai questa lettera di Sandino al Congresso antimperialista: è un meccanismo fondamentale della Neolingua ignorare ciò che non rientra nella narrazione che si vuole far diventare l’unica accettata. Sarebbe assai difficile, se non impossibile, raffrontarne il senso con l’attuale politica dell’orteguismo, che si potrebbe definire con una parafrasi «malattia senile del sandinismo» e non fa alcuna distinzione tra le varie posizioni politiche degli oppositori: «Chi non è con me, è contro di me» è la parola d’ordine. Non importa chi sia né quale ruolo abbia svolto durante la Rivoluzione Popolare Sandinista e negli anni Ottanta del secolo scorso, o dopo.

«Visto che gli Stati del Nord America, con l’unico diritto che dà loro la forza bruta, intendono privarci della nostra Patria e della nostra Libertà, ho accettato la sfida di coloro che vogliono distruggere la nostra sovranità, affidando le mie azioni al giudizio della Storia» (Lettera a Froylán Turcios, 1° aprile 1928). Sandino era senza dubbio un convinto anti-yankee, perché era quello l’imperialismo che stava soggiogando il Nicaragua (e i restanti paesi latinoamericani). Si opponeva però con forza e coerenza a tutti gli imperialismi dell’epoca, senza distinzioni (era a tutti gli effetti imperialismo, o quanto meno neocolonialismo, pure l’idea di Stalin che Sandino si dovesse sottomettere completamente alla linea politica del Komintern). Nei documenti da lui redatti nel periodo 1929-1930 difese la propria strategia di lotta in Nicaragua, il cui principio basilare era la formazione di un fronte unito antimperialista che riunisse tutte le componenti politiche e sociali della Nazione: nel suo esercito guerrigliero accoglieva chiunque desiderasse combattere per la sovranità e per la vera indipendenza del Nicaragua contro l’imperialismo yankee: dai comunisti (come il salvadoreño Agustín Farabundo Martí) ai conservatori (come il generale Pedro Pedrón Altamirano). Lui stesso si definiva «comunista», però al sostantivo aggiungeva l’aggettivo «razionalista» o «libertario». Distinguendosi in tal modo dall’ortodossia sovietica, la cui nomenklatura non gradì molto.

Nel 1927-1928 la lotta di Sandino ricevette un fortissimo sostegno internazionale, ma tra il 1929 e il 1930 inizia un isolamento sempre più ampio, ufficialmente poiché aveva inviato ai governanti e non ai popoli latinoamericani il Plan de Realización del Supremo Sueño de Bolívar: sulle colonne del messicano El Libertador del luglio 1929 si legge: «Aspettarsi il sostegno morale e materiale da parte dei governi dell’America Latina alla lotta antimperialista equivale ad aspettarsela dalla Casa Bianca». Le ragioni dell’isolamento furono in realtà molteplici, ma una in particolare è necessario esaminare con un po’ di attenzione.

Proprio nel 1928 (dal 17 luglio al 1° settembre), a Mosca, la Terza internazionale aveva celebrato il suo Sesto congresso abbandonando la linea del Fronte ampio e decidendo una linea politica assai più settaria.

Unitamente al comitato Manos Fuera de Nicaragua (MAFUENIC), la Liga Antimperialista de las Américas (LADLA, fondata all’inizio del 1925) che aveva sostenuto Sandino e la sua lotta, il 2 giugno 1930 lo accusa in modo esplicito di tradimento: «Il comportamento di Sandino dimostra che egli in realtà non è che un caudillo liberale piccolo-borghese e che la cosa per lui più importante non è la lotta antimperialista bensì la conquista del potere in Nicaragua essendo disposto a conquistare il potere ad ogni costo […]. Il comitato continentale della LADLA ha accettato di dichiarare Sandino traditore del movimento rivoluzionario e antimperialista mondiale». Il successivo 30 giugno il Partito comunista messicano pubblicò un documento intitolato «Il tradimento di Sandino».

Già nel 1931, non a caso, lo stesso Sandino rilevò amaramente: «Ancora una volta dobbiamo convincerci che siamo soli e che non abbiamo altra strada che vincere o morire». Si riferisce senza dubbio alla situazione internazionale, poiché a livello interno crescevano continuamente le voci di sostegno alla sua lotta, tanto che il 30 novembre 1932 il presidente “liberale” in carica dal 1929, il vendepatria José María Chema Moncada, dichiarò pubblicamente: «Verranno assunte forti misure contro i giornali che sostengono Sandino e la sua disastrosa azione. Questi scritti sono sovversivi. Verranno presi provvedimenti contro gli agenti di Sandino che sono giunti ​​nel Paese perché vogliono per la loro patria il cosiddetto comunismo e la guerra di classe che predicano».

Fin dall’inizio della sua lotta armata dichiarò che l’obiettivo non era la difesa della sovranità del solo Nicaragua bensì di tutto il subcontinente latinoamericano, difendendo l’indoispanismo come mescolanza della tradizione indigena con la cultura ispanica: «La Spagna ci ha dato la sua lingua, la sua civiltà e il suo sangue. Ci consideriamo pertanto come gli indios spagnoli d’America», dichiarò al basco Ramón de Belausteguigoitia.

L’assurda accusa di tradimento proseguì ancora a lungo, tanto che alcune settimane dopo il suo assassinio l’organo del Partito comunista messicano El Machete l’8 maggio 1934 scrisse: «Tutto ciò che ha ottenuto è stato morire come un povero diavolo […]. Ciò dimostra più di qualsiasi spiegazione teorica l’impotenza dei leader piccolo-borghesi, incapaci di raggiungere l’obiettivo finale della lotta contro l’imperialismo» («La muerte de Sandino»). L’amico Pino Cacucci ebbe a scrivere alcuni anni fa: «Il commento di “El Machete” suona come un sinistro avvertimento a tutti i capi guerriglieri che osano sfidare le direttive di Mosca» (Tina, Feltrinelli 2005, cap. 15). Sarebbe fin troppo facile, ma totalmente antistorico, affermare che pure Ernesto Guevara in Bolivia nell’ottobre 1967 o Patrice Lumumba in Congo nel precedente gennaio 1961 «Tutto ciò che hanno ottenuto è stato morire come poveri diavoli». Ma tant’è, quando l’ortodossia impera…

Pochi mesi prima, dietro ordine di Stalin, il 25 marzo 1933 l’organo della Terza Internazionale La Correspondance Internationale pubblicò l’articolo firmato da J. Gómez «Il tradimento di Sandino» («La trahison de Sandino», pp. 347-8), nel quale affermò che «Sandino era un piccolo borghese che incarnava il tipo del vero “caudillo”, piccolo capo dittatoriale». Il precedente 14 febbraio El Machete pubblicò l’articolo «Sobre la Traición de Sandino derivada de la dirección pequeño burgués caudillista de la lucha antimperialista».

Detto in altre parole: «Chi non è con me, è contro di me».

Chi tradì realmente la causa del Nicaragua fu proprio lo stalinismo che, negli anni successivi si dimostrò per quello che realmente era: dal tradimento della causa spagnola nel 1936-1939 (quando si preferì assassinare innumerevoli libertari piuttosto che combattere uniti il franchismo) allo scellerato patto con il nazismo, all’esilio di Tročkij e al suo assassinio in Messico. Il tutto sull’altare del cosiddetto socialismo in un solo Paese, mentre l’inno nazionale sovietico era ancora L’Internazionale. Per la cronaca, questo inno nato nei giorni della Comune di Parigi (1871) si cantava regolarmente nell’accampamento di Sandino sulle montagne di Las Segovias, dove erano presenti numerosi combattenti giunti da vari Paesi dell’America latina.

«Il compagno Stalin, divenuto segretario generale, ha concentrato nelle sue mani un immenso potere, e io non sono sicuro che egli sappia servirsene sempre con sufficiente prudenza» scrisse Lenin poco prima della morte nella Lettera al Congresso del Partito Bolscevico datata 4 gennaio 1923 (più nota come Testamento politico di Lenin).

Chi sta tradendo oggi Sandino è l’orteguismo che travestendosi con una maschera da socialista ha instaurato un sistema economico prettamente neoliberista e un controllo su Paese da fare invidia alla Lubjanka di sovietica memoria.

L’orteguismo pone costantemente Sandino fuori dal suo contesto storico e semplifica la sua complessità umana per poterlo dichiarare come proprio “padre nobile”. A tutti gli effetti, esiste l’impossibilità di attribuirgli un’etichetta e incasellarlo in un catalogo predefinito e immutabile. Men che meno si può affermare che l’orteguismo sia lo sviluppo dal sandinismo (tutt’al più ne è la degenerazione).

Nel nome di un Sandino mai esistito nella realtà e con un solo tratto di penna, sull’altare della presunta «sovranità nazionale» il 19 agosto il ministero dell’Interno ha cancellate 1.500 ONG e associazioni (il totale delle ONG soppresse supera ormai le 3.500 su circa 4mila), tra le quali almeno 73 costituite da ex combattenti o collaboratori storici sandinisti, da ex appartenenti all’Esercito Popolare Sandinista o al Servizio Militare Patriottico degli anni Ottanta, dai familiari degli eroi e martiri della Rivoluzione Popolare Sandinista, ecc. ecc. ecc. fino all’annullamento di organismi che seguivano gli invalidi di guerra. Un duro colpo alla cosiddetta società civile (soprattutto a quella legata al sandinismo storico). Secondo la Neolingua orteguista, le Organizzazioni non governative devono infatti seguire alla lettera le direttive del Governo, restando però ufficialmente non governative. Pare evidente che i militanti sandinisti (quanto meno coloro che hanno una certa età e hanno fatto la storia) non siano molto graditi dalle parti di El Carmen. Nel maggio scorso fu soppressa l’organizzazione dei CDS (Comité de defensa sandinista) costituiti negli anni Ottanta in ogni barrio per difendere e far avanzare la Rivoluzione Popolare Sandinista. Come si possa ancora credere e/o affermare in buona fede che Daniel e Rosario stiano realizzando la “seconda fase” della rivoluzione è un mistero più inspiegabile dell’Immacolata Concezione.

Per comprendere appieno l’insulsaggine e persino la stupidità stratosferica di questo comportamento, è sufficiente rilevare che nel mucchio delle 1.500 ONG e associazioni soppresse e con i conti bancari bloccati è incappata pure la IATA (International Air Transport Association), ente regolatore del trasporto aereo mondiale, con lo splendido risultato che le agenzie di viaggio nicaraguensi non riescono a emettere biglietti aerei per nessuna destinazione. L’alternativa per chi vuole viaggiare è acquistare il biglietto nel sito internet della compagnia aerea, senza passare dalle agenzie di viaggio (sulla quali ricade il danno di questa decisione scellerata).

Qualcuno parla di “errore” o di “svista”, ma poco tempo prima, al fine di evitare sanzioni commerciali, numerose compagnie aeree latinoamericane avevano assunto l’impegno di controllare il flusso di clandestini che transitano per il Nicaragua verso gli Stati Uniti (tra queste: Aeroméxico, Avianca, Latam, Copa, Aerolíneas Argentinas, Viva Aerobus e Volaris). Era stato siglato pure un accordo in tal senso tra il Governo di Washington e la IATA. Stante questa situazione, pare naturale escludere l’errore o la svista e considerare piuttosto questa mossa all’interno del concetto sempre più paranoico di «sovranismo».

In Nicaragua e in giro per il mondo c’è però chi insiste nel propagandare che l’obiettivo principale dell’orteguismo è appunto la sovranità del Nicaragua (come lo fu per Sandino). Confondendo però «sovranità» con l’egoistico «sovranismo» dei sovrani Ortega-Murillo.

Pur con tutti i suoi limiti teorici e ideologici (primo tra tutti: la mancata analisi classista della società nicaraguense dell’epoca) dovuti a vari fattori che sarebbe troppo lungo anche solo elencare e oggi tradito dai suoi teorici eredi politici nicaraguensi (e dai sostenitori dell’orteguismo sparsi per il mondo, per interesse o malafede o per scarsa conoscenza e/o comprensione della realtà), il Generale degli Uomini Liberi aveva ben chiaro che sovranità fa rima con internazionalismo, non con sovranismo.

Per questo, Sandino fa parte di quella schiera di rivoluzionari che la Storia si è premurata di assolvere.

* Sulla loma (collina) di Tiscapa sorgeva all’epoca il palazzo presidenziale (dopo il terremoto del 1972 resta una minima parte di escombros).

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