Serbia a caccia di litio

Il progetto Jadran della multinazionale Rio Tinto, che prevede l’estrazione di litio in Serbia occidentale, diventa sempre più un braccio di ferro con proteste, caccia agli attivisti e vere e proprie liste di proscrizione: una lotta che vede tra i protagonisti il presidente Aleksandar Vučić.

di Antonela Riha (*)

Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha trascorso otto ore a Ljubovia, incontrando i cittadini della Serbia occidentale, tra cui anche gli attivisti contrari all’estrazione del litio. All’incontro hanno partecipato anche i rappresentanti della compagnia australiano-britannica Rio Tinto, guidati dal direttore Jakob Stausholm.
L’incontro si è svolto sabato 7 settembre ed è stato trasmesso da due emittenti televisive a copertura nazionale. Così il presidente Vučić ha cercato di rispondere alle polemiche e alle proteste di massa organizzate quest’estate in tutto il paese contro Rio Tinto e lo sfruttamento del suolo nella Serbia occidentale.
Anziché avviare un dibattito tra istituzioni ed esperti, il presidente serbo e il direttore della multinazionale sono “scesi” tra la gente. Nel corso dell’estenuante spettacolo abbiamo sentito di tutto e di più, dalle critiche a Rio Tinto all’invito di un cittadino al presidente di venire a casa sua per bere un bicchierino di grappa.
Dopo tante ore di diretta, però, ancora non sappiamo che fine farà il progetto Jadar e quali saranno concretamente le garanzie di sicurezza ecologica.

Braccio di ferro

Al termine dell’incontro con i cittadini, Vučić ha dichiarato che affrontare il progetto Rio Tinto sarà una grande sfida, un braccio di ferro, aggiungendo di temere che Rio Tinto possa investire meno soldi nella protezione dell’ambiente per avere maggiori profitti.
Invece l’unico interesse di Vučić, ha sottolineato il presidente, sarebbe la salute della popolazione locale. “Se i cittadini non saranno salvaguardati, il progetto non si farà, punto”. Vučić aveva già chiuso questo argomento, poi però ci ha ripensato.

La protesta contro Rio Tinto e l’estrazione del litio nella Serbia occidentale si protrae ormai da diversi anni. Dopo le elezioni locali del giugno 2024, la Corte Costituzionale ha annullato il decreto del governo del 2022, con cui era stato sospeso il progetto di scavo di una miniera di litio nella valle del fiume Jadar a causa delle proteste di massa. Con la sua sentenza, la Corte costituzionale ha dato così il via libera alla compagnia Rio Tinto per portare avanti il progetto.
Pochi giorni dopo la decisione della Corte, lo scorso 19 luglio, Vučić ha ospitato il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il vicepresidente della Commissione europea Maroš Ševčović al vertice sulle materie prime critiche a Belgrado.
È stato firmato un memorandum d’intesa tra l’Unione europea e la Serbia sul partenariato strategico sulle materie prime critiche, sulle catene di produzione delle batterie e sui veicoli elettrici.
“Il Buon Dio ha permesso che il minerale tanto ricercato e una delle materie prime più importanti si trovasse in questo paese. Forse dovrebbe essere utilizzato, forse è una fortuna per questo paese”, ha detto Scholz.

Caccia agli attivisti

Quanto Vučić sia interessato a questo controverso investimento lo dimostra anche il fatto che dopo le proteste di massa organizzate in tutta la Serbia è iniziata la caccia ai cittadini che si oppongono al progetto.
Secondo il movimento ambientalista “Kreni promeni” [Dai il via al cbiamento], tra i trenta e i sessanta attivisti e cittadini che hanno protestato sono stati interrogati dalla polizia.
Il portale investigativo CINS ha registrato trenta casi di arresti, colloqui informativi con la polizia, confisca di laptop e cellulari e perquisizioni degli appartamenti dei cittadini che si oppongono al progetto di estrazione del litio.

Emblemativco il caso di Aleksandar Matković, collaboratore scientifico dell’Istituto di scienze economiche di Belgrado, che ha ricevuto minacce di morte dopo la pubblicazione di un’analisi dei piani di estrazione del litio. Secondo quanto riportato dai media, la polizia e la BIA [servizi segreti serbi] hanno perquisito gli appartamenti di alcuni amici di Matković.
Tutti gli attivisti sono stati interrogati perché sospettati di sovversione dell’ordine costituzionale. In risposta allo slogan dei manifestanti è stato creato il sito web “Kopaćemo” [Estrarremo] dove sono state pubblicate foto e nomi dei cosiddetti “terroristi ambientali”. E questo non è l’unico elenco di questo tipo.

Liste di proscrizione

Lo scorso 25 agosto la cantante croata Severina Vučković è stata fermata al confine con la Serbia mentre stava per esibirsi a Belgrado. La polizia ha perquisito la sua auto e l’ha interrogata sulle sue opinioni sui crimini di Srebrenica e quelli accaduti in Croazia durante l’operazione Oluja del 1995.
Vučković è stata interrogata anche in merito al suo sostegno alle proteste contro l’estrazione del litio. Ivica Dačić, ministro dell’Interno serbo, ha dichiarato che la cantante è stata interrogata “sulla base di liste di reati verbali”.
È intervenuto anche Aleksandar Vulin, vice premier serbo, affermando che, mentre era ministro della Polizia e capo della BIA, aveva redatto liste di persone alle quali dovrebbe essere vietato l’ingresso in Serbia, “per legge e per coscienza”. Vulin ha aggiunto che si rammarica di non essersi dedicato maggiormente a suddette liste “perché vede quanta feccia ne è stata ingiustamente esclusa”.

È chiaro quindi che, oltre alle liste degli stranieri, esistono anche le liste dei cittadini serbi. Milica Ranđelović, moderatrice della pagina Facebook Aktivizam, è stata fermata all’aeroporto di Belgrado mentre era in vacanza, per poi essere interrogata sulle sue attività sui social. Il suo telefono è stato confiscato perché sospettata di incitare al rovesciamento violento dell’ordine costituzionale.
Drammatico anche il caso di Sofija Todorović, presidente dell’organizzazione Iniziativa giovanile per i diritti umani, che negli ultimi due mesi è stata fermata alla frontiera ben dieci volte. Le detenzioni e le perquisizioni sono durate da una a quattro ore lo scorso 5 settembre, mentre tornava dalla città tedesca di Aquisgrana, dove ha ricevuto a nome della sua organizzazione il Premio per la pace di Aquisgrana.

Nascondere il problema

Rio Tinto non è la prima compagnia controversa che la leadership serba, guidata da Aleksandar Vučić, ha portato in Serbia, così come il progetto di costruire una miniera di litio su un terreno fertile nella Serbia occidentale non è il primo investimento problematico nel paese. In alcuni casi simili, a parte i reportage dei media e le proteste degli attivisti locali, non ci sono state ulteriori reazioni.
Qui la domanda sorge spontanea: perché proprio il progetto Jadar ha causato così tante polemiche? La spiegazione sta nel fatto che una parte degli abitanti della Mačva, l’area in cui è prevista l’estrazione del litio, da tempo ormai protesta e gode del sostegno delle organizzazioni ambientaliste, dei partiti di opposizione e di parte dell’opinione pubblica.

Anche gli esperti sono fortemente divisi sull’estrazione del litio. Dopo i dibattiti specialistici, spesso incomprensibili ai cittadini, l’unica cosa chiara è la paura. Le persone temono di perdere la loro terra e di essere sfollate. Progetti simili vengono annunciati in altre parti della Serbia, e c’è il timore che l’intero paese, come si è sentito durante le proteste, possa diventare una discarica ecologica da cui traggono profitto investitori stranieri.

Per Vučić è particolarmente pericoloso che l’opposizione a Rio Tinto abbia riunito persone provenienti da tutta la Serbia e gruppi diversi, dagli attivisti ambientali ai partiti di opposizione, dai lobbisti alla comunità accademica, dai cittadini contrari all’UE a quelli che sono semplicemente preoccupati per il futuro.
Inoltre, è emerso che la distruzione e l’emarginazione delle istituzioni, da anni portata avanti da Vučić, hanno portato alla creazione di un clima in cui non c’è alcun dialogo né dibattito pubblico tra esperti, solo un gran fracasso dove tutto si riduce alla propaganda pro o contro una multinazionale, ossia pro o contro l’estrazione mineraria in Serbia.

(*) Tratto da Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa
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alexik

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