Nicaragua: il 18 brumaio di Daniel Ortega

Il parallelismo con Napoleone Bonaparte.

di Bái Qiú’ēn

Potrebbe andare peggio, padrone. Potrebbe piovere! (Igor in Frankenstein Junior)

«Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano per, così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa». Questo brano è assai noto tra i conoscitori degli scritti di Karl Marx: è l’inizio de Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, pubblicato nel maggio 1852.

Rispolverare ogni tanto i “testi sacri” è un esercizio mentale che può essere utile per leggere la storia recente e la cronaca.

Napoleone Bonaparte, zio di Luigi, che in gioventù aveva nutrito ideali democratici e rivoluzionari, seppe calcolare abilmente le proprie mosse politiche in relazione all’obiettivo della sua personale scalata al potere. Il 18 brumaio dell’anno VIII della Rivoluzione (secondo il calendario gregoriano era il 9 novembre 1799), nel bel mezzo di una caotica situazione politica, preparò una vera e propria messa in scena per allarmare l’opinione pubblica con la denuncia della minaccia di un complotto organizzato da “terroristi” giacobini. La notizia era naturalmente infondata ma come pretesto fu più che sufficiente per sciogliere il potere legislativo e sostituirlo con tre Consoli.

In dicembre venne approvata una nuova Costituzione, che consegnava tutto il potere nelle mani del Primo Console, ossia di Napoleone. Secondo la visione di Marx questa fu la tragedia.

Poco più di mezzo secolo dopo, poiché la Costituzione in vigore proibiva la rielezione, il 2 dicembre 1851 Luigi Bonaparte, presidente della Repubblica francese, sciolse il Parlamento e organizzò un plebiscito per prolungare a dieci anni il mandato presidenziale. Stabilito il nuovo ordine si fece proclamare Imperatore dei francesi. Questa era invece la farsa.

Marx prosegue: «Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione». Saper approfittare delle circostanze favorevoli è forse una dote innata in tutti coloro che aspirano al potere assoluto, in ogni epoca e in ogni latitudine: Napoleone prospettò l’eventualità di un complotto e realizzò un colpo di Stato. In tal modo, la Rivoluzione francese era davvero terminata e la borghesia dei notabili aveva finalmente trovato la propria sicurezza contro ogni possibile minaccia di essere spodestata dal potere. Il nipote di Napoleone si limitò semplicemente a fare un colpo di Stato.

Dopo 134 anni dopo Napoleone, il 10 gennaio 1933, con l’incendio del Reichstag del quale fu accusato il comunista olandese Marinus van der Lubbe, il neo-cancelliere Adolph Hitler in carica da pochi giorni ebbe la scusa per assumere su di sé tutto il potere nella Germania dell’epoca e il presidente dalla Repubblica von Hindenburg non ci pensò due volte a firmare un decreto che aboliva tutti i diritti civili. Il supposto colpevole fu giustiziato sebbene in quel periodo non esistesse la pena di morte nell’ordinamento giuridico tedesco. Fu infatti instaurata soltanto il successivo 29 marzo. Cambiare le leggi a proprio piacere è uno sport tipico di chiunque voglia mantenere il potere.

Poco importa che esistesse o meno un “complotto” comunista: la scusa dell’incendio del Reichstag arrivò come il classico cacio sui maccheroni per consentire a Hitler di assumere i pieni poteri e sappiamo come è andata la storia.

Alcuni anni prima, dopo vari attentati non riusciti, Mussolini approfittò dell’ennesimo tentativo fallito di ucciderlo e alla fine del 1926 assunse i pieni poteri e sappiamo come è andata la storia.

Molti altri casi simili si potrebbero ricordare, ma questi paiono più che sufficienti per ragionare sugli effetti delle proteste popolari spontanee del 2018 in Nicaragua. Come affermò Marx, anche Daniel Ortega, Rosario Murillo, famiglia e cortigiani hanno saputo approfittare della situazione gridando al complotto (al golpe blando) e realizzando a loro volta un complotto che gli consentisse di assumere il controllo totale del Paese.

Dopo otto anni dal 2018, se è evidente il fallimento del primo complotto, per il quale le cosiddette “prove” sono soltanto indiziarie, è invece palese e innegabile la riuscita del secondo. Si può essere sostenitori o negatori della tesi ufficiale del golpe blando ma la realtà attuale non consente altre possibili “letture” sul risultato finale: Daniel ha il controllo assoluto sul Nicaragua.

Se si ripercorrono velocemente le varie fasi della storia dal 1990 a oggi non si fatica a individuare i vari passaggi del filo rosso che hanno portato alla realtà attuale e non potevano portare ad altro.

Dopo aver conquistato il controllo assoluto sul Frente Sandinista a partire dalla sconfitta elettorale del 1990, eliminando tutte le frazioni a lui contrarie e dopo tre tentativi falliti di tornare al potere con le elezioni che dimostravano ogni volta un consenso attorno al 35% (non sufficiente per vincere), dopo aver mobilitato per sedici anni la propria base con manifestazioni di protesta e persino con barricate e dopo aver nel frattempo patteggiato per modificare la legge elettorale con un pregiudicato corrotto fino al midollo (al quale interessava soltanto evitare la galera), fin dal primo momento in cui tornò alla presidenza della Repubblica nel 2007 (con un consenso che si aggirava attorno al 37%), Daniel avviò un processo di centralizzazione del potere, parallelamente allo smantellamento delle istituzioni e soprattutto della divisione dei poteri sancita dalla Costituzione e dalle leggi vigenti (sia l’una sia buona parte delle altre erano state emanate negli anni Ottanta e soltanto in parte modificate dai governi neoliberisti). Il cammino verso il potere assoluto era però assai lento. Poiché nel 2007 non aveva la maggioranza dei deputati nell’Asamblea Nacional, la prima mossa fu il negoziato con alcune fazioni dell’opposizione per ottenere la maggioranza dei membri nel Consiglio Supremo Elettorale (organo che ratifica il risultato del voto). Aveva però ancora notevoli difficoltà, non riuscendo a ottenere la modifica all’art. 147 della Costituzione, per poter essere candidato (e quindi eletto) in eterno. Poco tempo dopo riuscì a ottenere pure la maggioranza dei magistrati nel Consiglio Superiore di Giustizia, il che gli permise di modificare agevolmente la Carta costituzionale secondo il proprio desiderio (esattamente come Napoelone III quasi un secolo prima).

Grazie all’illusione venduta con la denominazione di Governo di Riconciliazione e Unità Nazionale, basato sul do ut des con la gerarchia cattolica, con gli ex contras e con gli imprenditori (sia nazionali sia stranieri), l’obiettivo della distruzione della separazione dei poteri, assoggettandoli tutti ai propri voleri personali, era ormai raggiunto.

Senza dubbio un buon punto di partenza per ottenere un buon sostegno è stata l’elaborazione di un discorso il cui obiettivo era convincere l’opinione pubblica nazionale e internazionale, ma soprattutto i suoi stessi militanti, che le politiche economiche del suo governo avevano un fondamento socialista e anticapitalista, grazie al quale le fasce più povere della popolazione guidavano la crescita e lo sviluppo economico del Paese.

In realtà, fu grazie al controllo delle due istituzioni suddette che il risultato elettorale del 2011 lo vide trionfare in modo schiacciante sulle altre forze politiche, ottenendo la maggioranza assoluta dei deputati all’Asamblea nacional. A questo punto era assai più semplice e rapido assumere il controllo delle restanti istituzioni, formalmente in maniera del tutto legale.

Non fidandosi di nessuno e in barba alla Costituzione (senza modificarla di una virgola), con le elezioni del 2016 candidò la moglie Rosario alla vicepresidenza della Repubblica, iniziando a consolidare una forma di potere familiare che non contempla la possibile successione da parte di un “esterno”.

Il malcontento intanto andava crescendo in vari strati sociali del Paese, poiché le mirabolanti promesse della creazione in Nicaragua del Paradiso terrestre, realizzabile con i miliardi che il Venezuela generosamente stava donando al Nicaragua (circa 5 miliardi di dollari in dieci anni) si erano rivelate puro fumo senza arrosto. Intanto il modello economico “socialista, cristiano e solidale” era quello imposto dalle ricette del Fondo Monetario internazionale fin dal 1990, con appena un occhio di riguardo per il welfare. Oltretutto, restavano importanti settori della società civile che, per quanto alleati (temporanei) non era possibile controllare totalmente: gli ex controrivoluzionari degli anni Ottanta, la gerarchia ecclesiastica con le centinaia di sacerdoti sparsi per il Paese, gli imprenditori più o meno grandi e ricchi, le Organizzazioni non Governative, i partiti di opposizione, alcuni mezzi di informazione (o disinformazione) e una parte rilevante della base sandinista ancora legata idealmente allo spirito della Rivoluzione trionfante nel 1979 e sempre meno convinta delle scelte economico-politiche dell’orteguismo.

Un’inchiesta di M&R Consultores (impresa privata assai legata all’orteguismo), realizzata dal 1° settembre al 14 ottobre 2015, circa tre anni prima delle proteste, se da un lato dava un consenso del 56% al FSLN di Daniel, dall’altro quasi la stessa percentuale (51%) aveva affermato che preferiva non discutere di politica poiché si potevano generare inimicizie. È notorio che i dati forniti da questa impresa “indipendente” di sondaggi siano poco attendibili. Ciò nonostante questo dato era ottimo per il progetto di Daniel. Con meno persone si occupano e discutono di politica con più è sicuro il suo potere personale e il dato indicava che oltre la metà della popolazione aveva timore ad esprimersi politicamente. Però, esiste sempre un però: il 27 ottobre dello stesso 2015 si svolse una protesta assai partecipata, che vide i contadini manifestare a Managua contro il progetto del Canale interoceanico. Altre proteste di varia natura e con diversi partecipanti avvennero nei mesi successivi, mostrando il malessere sempre più generalizzato tra vari strati della popolazione.

Le ambizioni dei governanti e le loro intenzioni di perpetuarsi sulla poltrona presidenziale sono una condizione “storica” con cui la società nicaraguense ha dovuto fare i conti da quasi 200 anni a partire dal 1821, anno dell’Indipendenza dalla Spagna. Qualcuno la chiama «sindrome di Pedrarias», riferendosi al primo terribile governatore spagnolo.

Nel frattempo, in qualità di eterno segretario generale del partito ormai da lui stesso monopolizzato, la missione e la visione politica del FSLN (che sono quelle di Daniel) sono diventate una ferrea dottrina e, in alcuni casi, un dogma indiscutibile. Il vertice del partito è ormai una Chiesa strutturata sul modello medievale europeo. È ormai un partito che poco o nulla ha a che vedere con il pensiero di Sandino (utile soltanto per ingannare una parte della militanza e alcuni strabici sostenitori all’estero).

Restava soltanto un intoppo sulla via del potere assoluto: l’eliminazione dei “compagni di strada” che, chi più chi meno, avevano trovato utile non opporsi frontalmente a questo evidente progetto totalitario: gli imprenditori, gli ex contras, la gerarchia ecclesiastica.

Ben sapendo che la popolazione non avrebbe accettato passivamente una riforma pensionistica strutturata in base ai dettami draconiani del Fondo Monetario Internazionale, Daniel la fece approvare dai deputati con un decreto presidenziale trasmesso con urgenza all’Asamblea Nacional (dal 2011 a oggi nessun decreto presidenziale è mai stato modificato anche lievemente). E la protesta popolare spontanea iniziò immediatamente, coinvolgendo in breve tempo centinaia di migliaia di persone di ogni età, sesso, condizione sociale e opinione politica.

A partire dal 2018 con la scusa di un complotto finanziato da Washington (non era una novità: dagli anni Ottanta gli USA sovvenzionavano gli anti-sandinisti, compresi i sedici anni di governi neoliberisti), il risultato fu quello desiderato: i media confiscati e oltre 200 giornalisti arrestati o costretti all’esilio, le sentenze arbitrarie nei confronti di chiunque esprimesse un semplice «ma», le leggi espressamente dettate dall’Assemblea Nazionale su input di Daniel, l’uso spropositato della polizia e della forza militare (unitamente ai paramilitari dotati di potenti armi da guerra), la soppressione di partiti e della maggior parte delle ONG, la caccia al “prete refrattario” ecc. Tutto ciò ha permesso in questi ultimi otto anni a Daniel di assumere il controllo assoluto del Paese.

Dopo le insurrezioni popolari degli anni precedenti, Luigi Bonaparte, nipote di Napoleone, assunse il potere con un colpo di Stato il 2 dicembre 1851, facendosi proclamare imperatore dei francesi con un plebiscito dopo aver causato migliaia di morti tra tutti coloro che si opponevano, impose una ferrea censura sulla stampa, costringendo all’esilio centinaia di oppositori (tra i quali pure Victor Hugo) e arrestando quasi 30mila persone: «La Francia sembra dunque sia sfuggita al dispotismo di una classe soltanto per ricadere sotto il dispotismo di un individuo, e precisamente sotto l’autorità di un individuo privo di autorità. La lotta sembra dunque essersi calmata perché tutte le classi, egualmente impotenti e mute, si inginocchiano davanti ai calci dei fucili». Così conclude Marx la sua analisi storica del golpe di Luigi Bonaparte (Napoleone III), nipote del primo Bonaparte.

Negli anni successivi Napoleone III riuscì a rivitalizzare l’economia francese e realizzò numerose opere pubbliche, ma le fasce più deboli della popolazione non ebbero alcun beneficio da questo progresso.

Dopo aver partecipato alla lotta contro la ultra-quarantennale dittatura somozista (che Marx avrebbe forse definito «tragedia») con il complotto realizzato dall’alto Daniel ha oggi l’intero Paese sotto il suo ferreo controllo. Sempre Marx e sempre forse, la definirebbe «farsa», ma è a tutti gli effetti una farsa tragica per chi vive nel Paese, esattamente come fu per la Francia napoleonica dopo il 18 brumaio o dopo il 2 dicembre 1851. Qualcuno ricorda che Napoleone I ripeteva costantemente che il suo obiettivo era quello di difendere e rafforzare la Rivoluzione francese, così come Daniel sproloquia di «seconda fase della Rivoluzione Popolare Sandinista»? la tragedia e la farsa…

Dopo Marx, fu Gramsci nei Quaderni del carcere a riprendere e aggiornare questa problematica, parlando di «sovversivismo dall’alto»: «Non essendo in Italia mai esistito un “dominio della legge”, ma solo una politica di arbitrii e di cricca personale o di gruppo, il sovversivismo delle classi dirigenti è correlativo a quello dei subalterni» (Q. 3, § 46).

Il «sovversivismo dall’alto» è una caratteristica comune a chiunque desideri il potere assoluto e, per ottenerlo, sfrutta furbescamente tutte le occasioni “buone” che gli si presentano (e alle volte è lui stesso a crearle). Daniel lo ha fatto con le proteste popolari spontanee del 2018. Che l’abbia volutamente provocata, tirando talmente la corda giorno dopo giorno negli anni precedenti, finché si è spezzata è un’ipotesi da tenere in considerazione. Per dirla con Umberto Eco, la storia insegna che «l’unico e vero complotto è quello dei complottisti».

In conclusione, non è irrilevante il parallelo storico-politico tra Napoleone Bonaparte e Daniel: il primo riuscì a legittimare e ad ampliare il proprio potere autoritario attraverso processi elettorali e plebisciti, realizzando un sistema politico-sociale che attualmente si denomina «democratura», ossia democrazia totalitaria (o, per usare la definizione del «Hermano Primer Ministro Víctor Orban»: democrazia illiberale).

È inutile meravigliarsi di coloro che, in Italia e in altri Paesi, si definiscono “di sinistra” e da tempo hanno mandato in soffitta sia Marx sia Gramsci, non sapendo fare altro che ripetere come pappagalli la versione ufficiale del golpe blando in Nicaragua. Purtroppo la Storia è maestra di vita, ma ha pessimi allievi.

Daniel, come Luigi Bonaparte «rende gli uni rassegnati alla rivoluzione e gli altri desiderosi di una rivoluzione; in nome dell’ordine crea l’anarchia, spogliando in pari tempo la macchina dello Stato della sua aureola, profanandola, rendendola repugnante e ridicola. […] Ma quando il mantello imperiale cadrà finalmente sulle spalle di Luigi Bonaparte, la statua di bronzo di Napoleone precipiterà dall’alto della colonna Vendôme».

Parafrasando queste ultime parole di Marx, quando la maschera cadrà finalmente dal volto di Daniel, l’enorme silouette di Sandino che dall’alto vigila su Managua, precipiterà dalla loma de Tiscapa.

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