Tutto il miele è finito
Orune come centro nei due viaggi in Sardegna di Carlo Levi
di Natalino Piras
Era sindaco Gianpaolo Sanna, ottobre-novembre 1986, quando il Comune di Orune e la Fondazione Carlo Levi organizzarono una mostra antologica, 30 pitture, la maggior parte oli su tela, dal 1925 al 1975, dell’autore di Cristo si è fermato a Eboli, libro pubblicato da Einaudi nel 1945 e successivamente tradotto in 37 lingue. È la cronaca del confino in Lucania di Carlo Levi (Torino 1902 – Roma 1975) nell’élite dell’antifascismo militante. La mostra orunese, curata da Massimo Locci, Sarda Cammarota e Pina Campana come Ufficio Stampa, è un omaggio a Tutto il miele è finito, altro libro importante nella bibliografia di Levi, pubblicato sempre da Einaudi nel 1964, due anni dopo il secondo viaggio del grande scrittore in Sardegna, 1962, a dieci anni dal primo, nel 1952.
In entrambi i viaggi, al centro della narrazione, cuore pulsante, sta Orune.
Scrive Gianpaolo Sanna nel saluto istituzionale, all’inizio del Catalogo: «Levi torna a Orune per volontà di alcuni amici, “torna” con le sue opere e con il ricordo ancora vivo di quanti lo hanno conosciuto e amato. Orune, piccolo centro della Barbagia, che ha vissuto e vive tuttora le contraddizioni che hanno reso drammatica la sua vita sociale, sente tutto l’onore di essere sede di un evento culturale così impegnativo e importante».
Sia nel 1952 che nel 1962 Levi arriva ad Orune dopo essere partito da Cagliari. Tra le intenzioni quella di rifare il viaggio di David Herbert Lawrence raccontato in Sea and Sardinia (1921). Da Cagliari, le successive tappe più importanti sono la civiltà nuragica di Barumini, quella mineraria di Carbonia, le alture del Gennargentu, il Mandrolisai, Mamoiada, il Supramonte, Oliena, Orgosolo e Nuoro. Nel 1952, dentro molte desolazioni del dopoguerra è tempo di campagna elettorale. Nel 1962, Carlo Levi torna in Sardegna, in Barbagia in particolar modo, dopo che Franco Cagnetta ha già fatto conoscere (nella rivista Nuovi Argomenti, 1954) la sua inchiesta Banditi a Orgosolo che servirà come base per la sceneggiatura del film omonimo (1961) di Vittorio De Seta. È già stato pubblicato La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico (1959) l’indispensabile inchiesta di Antonio Pigliaru. Carlo Levi tutto questo conosce. La conoscenza storica della Sardegna fa parte del suo bagaglio culturale. È un viaggiatore interessato, sempre accompagnato da diversi amici e compagni, si porta dentro l’appartenenza al Sud, l’esperienza al confino di Aliano e Grassano come referente narrativo e pittorico. Lo testimoniano molti disegni della mostra orunese del 1986. Carlo Levi esercita nei viaggi in Sardegna cuore e mente. Comprende le parole e i silenzi. Si immerge nel buio e nell’abbagliante entrare della luce nei nuraghi e nelle domus de janas, sente e intrepreta il lamento di quella che lui chiama lidelba, lo scacciapensieri. Apprende volentieri e fa cosa sua la lingua sarda, le varianti, il parlare dei maurreddus e quello dei barbaricini. Orune è quanto dà misura a tutto. Ancora una volta è l’elemento pittorico a fare da richiamo. Orune è il nome di una delle due cornacchie che proprio nel paese barbaricino gli erano state regalate durante il primo viaggio. L’altra cornacchia è Oliena ma non sopravvive a tutti gli spostamenti per nave e aereo. L’idea di mettere le cornacchie a elemento di narrazione viene a Levi osservando un quadro di Monet «che è come un blasone della terra di Francia e dell’amore per le cose e per la giovinezza».
L’appartenenza di Levi a Orune è testimoniata dal registrare, nel secondo viaggio, il cambiamento, il passaggio da paese di massaios padroni di giogo a civiltà del «noi pastori». Del paese, Carlo Levi conosce le persone, Antonio Tola cantore dell’epopea degli abigei, le donne, gli usi e costumi. Impara e applica i linguaggi della poesia, quelli de s’attitu in particolar modo, sas torradas, la potenza de sos berbos,
Significativo il passaggio dove compare Margherita Sanna: «Il vento soffiava nelle stradette vuote, i monti curvavano i dorsi neri sotto il cielo notturno. Dal municipio uscì una donna dai capelli grigi, avvolta in scialle da contadina: era il sindaco di Orune». Margherita Sanna fu una delle prime donne sindaco nel secondo dopoguerra.
Da Orune, in entrambi i viaggi, Carlo Levi ripartirà. Attraversa Bitti, il Goceano, il Logudoro, la Gallura.
Le pagine conclusive del secondo viaggio rivelano il significato di Tutto il miele è finito. È una madre che piange il figlio. Al porto di Olbia, in attesa di imbarcare per il continente, è una domenica sera, la gente affolla i bar e tutti trepidano davanti alla tv in bianco nero in attesa di sapere cosa ha fatto la Juventus. A Carlo Levi torna in mente Orune, «un lungo attitu che cominciava all’incirca così: “Biditela sa mere/a nde cheres de mele/’si nde cheres de latte/como tinne dat attere./Su mele puzoninu/chi como t’es finidu/su mele de sa chera/chi bundabat che bena/como pius non d’asa/totu inidu che l’asa”.[i]
Carlo Levi è uno che comprende, in afflato totale, la gente di cui parla e scrive.
Natalino Piras da Il paese portatile – Tutto il miele è finito, L’Ortobene 31 marzo 2024 – numero 13
https://www.facebook.com/natalino.piras
Immagini: Nico Orunesu
[i] In “Tutto il miele è finito”, lo stesso Levi traduce così: “Tu vedi la padrona/e vorresti il tuo miele/ma soltanto del latte/ora ti potrà dare./Il miele degli uccelli/ora tutto è finito/scorreva dalla cera/la tua vena di miele/ora più non ce l’hai/ora è finito tutto”