Le catacombe del Nicaragua

La desertificazione dei movimenti sociali all’epoca dell’orteguismo.

di Bái Qiú’ēn

No hay duda, pues, que el pueblo de Nicaragua cuenta con una rica tradición de rebeldía. […] El oscurantismo ideológico heredado de la época colonial ha continuado pesando decisivamente para impedir que el pueblo marche con plena conciencia a los combates por el cambio social. (Carlos Fonseca, Nicaragua, hora cero, 1969)

dei lussi che un tempo Palla di Neve aveva fatto sognare agli animali, le stalle con la luce elettrica e l’acqua calda e fredda, e le settimane lavorative di tre giorni, non si parlava più. (George Orwell, La fattoria degli animali, 1945)

Il verticalismo che caratterizzò la struttura politico-militare del FSLN durante la clandestinità, negli anni del neoliberismo (1990-2006) è passato dalla logica spersonalizzata delle decisioni assunte dalla Direzione nazionale, al folle personalismo di Daniel e di sua moglie Rosario, che nell’attualità decidono il bello e il cattivo tempo.

La Rivoluzione Popolare Sandinista riuscì a trionfare il 19 luglio 1979 proprio perché popolare, riuscendo cioè a coinvolgere tutti gli strati sociali, senza distinzioni. Soprattutto tre furono essenziali: i contadini, gli studenti e le donne.

La sconfitta elettorale del FSLN del 25 febbraio 1990 ebbe però un poderoso impatto sui rapporti del sandinismo con le organizzazioni di massa e con i movimenti sociali, in particolar modo con il campesinado. Il distanziamento era iniziato già negli anni Ottanta, poiché la riforma agraria del luglio 1981 (dopo quattro decreti tra il 1979 e il 1980) non era del tutto soddisfacente: è risaputo che in tutto il mondo i contadini anelano alla proprietà della terra giusto o sbagliato che sia a livello politico questo desiderio, si preferì concederla in uso finché la si continuava a lavorare. Era una decisione che pareva logica in base all’esperienza storica: già il “riformista” Luis Somoza Debayle l’aveva data in proprietà ai contadini (espropriando i latifondisti, sostenuti invece da suo fratello Anastasio, Tachito), ben sapendo che quegli contadini si sarebbero presto indebitati con le banche a causa dei danni che anno dopo anno sopraggiungono con ferrea regolarità (siccità, uragani, terremoti, eruzioni vulcaniche…). Morale della favola: in pochi anni i contadini proprietari furono costretti a vendere le loro terre ai vecchi latifondisti, per un tozzo di pane.

Con il senno di poi la si può considerare un errore politico, ma aveva un senso la semplice concessione in uso: nessuno poteva togliere loro la terra, essendo a tutti gli effetti di proprietà statale.

A questa logica si contrapponeva però un piccolo particolare, che molti internazionalisti tentarono inutilmente di far rilevare ai dirigenti sandinisti: alla fine di ogni anno il governo cancellava i debiti bancari di chiunque, fosse pure Ramiro Gurdián, l’allora presidente del COSEP (la locale Confindustria) e strenuo oppositore della Rivoluzione.

Avendo vissuto presso varie famiglie contadine della zona di Matagalpa (Apatite, Matiguás, Yucul…), negli anni Ottanta sentivo ripetere costantemente da loro questa stessa critica: erano tutti sandinisti che mi ospitavano nelle loro precarie abitazioni prive di luce elettrica e di acqua corrente.

I dirigenti sandinisti rispondevano a quegli internazionalisti: «fate la rivoluzione a casa vostra, poi potete venire a insegnarci». Era una litania che tutti noi abbiamo sentito in varie occasioni. La condizione di svantaggio storico-politico (ma soprattutto psicologico) chiudeva la bocca a tutti noi che solidarizzavamo con la Rivoluzione Popolare Sandinista ma eravamo un po’ critici su talune scelte politiche (strategiche). Il tragico fu che non ascoltavano neppure i suggerimenti di Fidel Castro (che una rivoluzione l’aveva fatta e pure vinta), come mi confermarono alcuni compañeros dirigenti nel marzo del 1990, subito dopo la sconfitta elettorale. E alcuni aggiungevano «dovevamo ascoltarvi, avevate ragione». Troppo tardi, però.

Al di là della versione ufficiale surrichiamata, la realtà era che molti proprietari terrieri avevano appoggiato la cacciata della famiglia Somoza e dei suoi affiliati: questi terratenientes dovevano essere in qualche modo tutelati, sebbene per i contadini che avevano occupato le terre prima e dopo il 19 luglio 1979 non esistesse alcuna differenza tra un latifondista somozista e uno antisomozista (o semplicemente non somozista). È pertanto evidente che la scelta del governo rivoluzionario non corrispose alle aspettative psicologiche del campesinado.

Fin dal suo insediamento Violeta de Chamorro (o meglio, il genero Antonio Lacayo) comprese la necessità politica di dare i titoli di proprietà ai contadini, per cui la distanza tra la dirigenza sandinista e il campesinado andò aumentando negli anni del duro e feroce neoliberismo (1990-2006), per quanto le lotte contro i vari governi di quel periodo si svilupparono con una notevole forza e intensità, con manifestazioni, scioperi e barricate. Tornato al potere nel 2007, Daniel decise di proseguire sulla stessa linea del neoliberismo, concedendo parecchi titoli di proprietà alle famiglie contadine (meccanismo che continua a tutt’oggi), nella speranza di riavvicinare questa massa di popolazione alla sua politica della «seconda fase della Rivoluzione».

Giorno dopo giorno il comandante ha però smesso di parlare di ideali, di cambiamenti di struttura e persino di rivoluzione, anche se questa parola è ancora presente come simbolo retorico a cui fare un costante riferimento: non soltanto è un passato pieno di gloria e di sacrifici ma soprattutto un presente e un futuro (la «seconda fase») che sta nel pensiero e nelle mani del grande leader che non sbaglia mai. La Rivoluzione non è più nelle migliaia di sandinisti che per tre decenni hanno dimostrato nei fatti la loro capacità di generare un cambiamento dal basso, ma che dal 2007 in avanti sono solo soggetti passivi funzionali ai disegni della coppia reale: fino al 2018 era generalizzato il mugugno della base nei confronti di un vertice che non teneva in alcuna considerazione i militanti. I quali erano e sono costantemente “bombardati” con un discorso pseudo-religioso, quasi messianico: il Dio-Daniel sta realizzando il Paradiso terrestre che è a portata di mano, dietro l’angolo!

Forse un minimo aumento del sostegno politico Daniel riuscì a ottenerlo nei primi anni del suo governo ma lo perse ben presto quando, nel 2013, i contadini si organizzarono per difendere le loro terre dall’idea delirante e inattuabile del canale interoceanico che avrebbe materialmente diviso in due il Paese per competere con quello di Panama. L’espropriazione delle terre in precedenza concesse in proprietà (con un infimo indennizzo pecuniario, calcolato in base ai dati catastali non aggiornati) non era una mossa politica intelligente e si rivelò peggiore di quella del 1980. Sorse infatti la Red por la Democracia y el Desarrollo Local, più nota come Movimento Contadino Anticanale. Nel corso degli anni successivi si svolse almeno un centinaio di proteste più o meno partecipate, in genere bloccate con le buone o con le cattive da poliziotti antimotines.

Ancora oggi, un decennio dopo l’annuncio della costruzione di quel faraonico progetto, nulla esiste: la famosa prima pietra del 22 dicembre 2014 è ormai morta di solitudine (e non pare che riesca a risorgere, nonostante che dieci anni siano un po’ più tre classici tre giorni). In compenso troppe terre son state espropriate per non pensare a una mossa per impossessarsene, nel quadro della politica economica fortemente estrattivista implementata dal Buon Governo orteguista (qualcuno calcola circa 120 mila contadini).

Il movimento campesino era senza dubbio quello più organizzato e attivo dopo il ritorno al potere di Daniel, ma con la repressione in atto dal 2018 a oggi è ormai disarticolato e sostanzialmente inoffensivo.

Pure il movimento giovanile e studentesco, che fu indispensabile nella lotta anti-somozista e per il trionfo rivoluzionario del 1979, dopo le forti e numerose proteste dei primi anni Novanta contro i governi neoliberisti (manifestarono nelle piazze quasi senza interruzioni dal 1990 al 2006), nel 2018 si ribellò all’orteguismo (malattia senile del sandinismo) e fu pure questo disarticolato. Daniel e Rosario tentarono di cavarsela politicamente accusando quei ragazzi di non conoscere la storia del Paese («que no vivieron lo que fue la dinastía somocista, que no conocen la historia, que no tienen ninguna experiencia de aquella dictadura…»). Peccato che dal 2007 al 1018 quegli stessi ragazzi avessero studiato la storia nelle scuole organizzate dall’orteguismo (sui libri pubblicati dal ministero orteguista dell’Educazione) e in massima parte provenivano da famiglie sandiniste.

Per non parlare del movimento femminista sorto dall’associazione delle donne AMNLAE, odiato visceralmente da Rosario, che da prima del ritorno di Daniel al potere iniziò a sostenere scelte politiche scellerate come quella di rendere illegale persino l’aborto terapeutico, mossa pragmatica per ottenere l’appoggio della gerarchia cattolica e di frange della destra baciapile. Oltre all’ignominiosa vicenda di Daniel stesso con la figliastra Zoilamérica, che ha condotto a una separazione sempre più profonda tra il movimento femminile e l’orteguismo.

Per la cronaca, da parecchi anni circola una barzelletta (l’ho sentita la prima volta un paio di anni dopo il ritorno di Daniel alla presidenza). Due donne in un bar stanno chiacchierando sul machismo atavico del Nicaragua, lamentandosi vicendevolmente dei rispettivi consorti. A un certo punto, la prima dice alla seconda: «Gli ho regalato i migliori anni della mia vita, mi ha usato, mi ha umiliato, ha abusato di me, mi ha picchiato, mi ha ignorato, mi ha messo da parte, e tuttavia continua a chiedermi di essergli fedele». La seconda: «Come hai detto che si chiama costui?». «FSLN».

L’orteguismo al potere, in quanto «falsa coscienza» (per utilizzare una nota espressione di Marx ed Engels), è null’altro che l’oscurantismo ideologico «ereditato dall’epoca coloniale» (Carlos Fonseca) appena appena ammodernato con frasi che suonano rivoluzionarie, ma che sono dirette a mantenere lo statu quo (pertanto conservatrici per definizione). D’altro canto, anno dopo anno non solo la maggior parte dei comandanti e dei dirigenti degli anni Ottanta ma pure numerosi militanti, molti dei quali ex combattenti e con una buona formazione politica, hanno abbandonato il FSLN orteguista, per dedicarsi esclusivamente alla lotta per la sopravvivenza (intesa in senso fisico: mettere insieme il pranzo con la cena). Le condizioni di vita della maggior parte dei nicaraguensi non sono migliorate di una virgola rispetto al periodo somozista e dal 2018 a oggi questi ex combattenti hanno visto utilizzate contro di loro le nuove istituzioni che avevano contribuito a creare: la polizia, l’esercito, la magistratura… lo Stato nel suo complesso.

Con l’incarcerazione e l’esilio forzato o volontario dei dirigenti dell’opposizione (di qualunque colore e specie fossero, compresi ex comandanti guerriglieri), le possibilità di una ripresa del movimento sociale di protesta sono oggi assai scarse. Il controllo a tappeto sull’intera società impedisce di poter parlare liberamente ed esprimere il proprio pensiero persino all’interno della stessa famiglia.

Ciò non toglie che, per quanto sotterranea, sia assai diffusa la disaffezione nei confronti dell’orteguismo (che nulla ha a che fare con il sandinismo). In migliaia si sono poco a poco allontanati dal FSLN monopolizzato e snaturato dalla coppia reale, pur continuando a identificarsi con il progetto della Rivoluzione Popolare Sandinista. La base sandinista è sempre più cosciente del tradimento compiuto nei loro confronti e nei confronti della storia rivoluzionaria, ma non ha la possibilità né la capacità di farsi sentire, per cui è costretta ad agire come i primi cristiani nell’antica Roma.

Se oggi si domanda a vecchi sandinisti de pura cepa se si considerano ancora dei “militanti” del FSLN, può capitare che rispondano citando le parole di una canzone di Carlos Mejía Godoy: «soy y seré militante de la causa sandinista» (No se me raje mi compa). Tra le righe, ma non tanto, segnalano in tal modo la distanza ormai siderale che vedono tra l’iniziale progetto rivoluzionario e la realtà attuale. Può darsi che la mia sia una visione unilaterale, ma questo tipo di risposta indica con chiarezza la permanenza di un fortissimo compromiso con un progetto storico-economico e culturale, ma un distanziamento evidente dall’orteguismo.

Che ciò sia innegabile lo conferma una indicazione data di recente dal presidente dell’Asamblea Nacional e «sandinista del 20 luglio» Gustavo Porras, uno dei personaggi più fedeli alla coppia reale: «Dobbiamo stare attenti, perché di questi tempi ti inseriscono in un gruppo WhatsApp e non sai quali intenzioni possano avere, per cui cadiamo in una imprudenza o in una indisciplina. Questa è una prescrizione del comandante Daniel». Sempre per volere di Daniel, un militante sandinista può partecipare a un social solo se da lui stesso autorizzato: non si muove foglia… Dopo l’approvazione di una legge sull’uso dei social che penalizza chiunque critichi il governo (sia dall’interno sia dall’estero), il recente esempio del gruppo WhatsApp La Comuna, facente capo a Carlos Fonseca figlio, è sintomatico.

Poiché la possibilità di effettuare anche minime azioni collettive di protesta (e persino di semplice critica) è stata annullata completamente, con lo scontento in costante crescita restano le piccole azioni singole di disobbedienza o di “ribellione” quotidiana che il potere della coppia reale non è in grado di controllare né tanto meno di “gestire”: è senza dubbio troppo doloroso per tutti quei muchachos che hanno dedicato i migliori anni della loro gioventù a un movimento politico armato che sul piano economico e sociale ha lasciato loro pochi frutti, ma sul piano emotivo mantengono una identità alla quale difficilmente possono rinunciare.

Un esempio tra i tanti: un paio di anni fa mi capitò di assistere a una perquisizione serale della polizia (il cui comportamento è ormai assai simile a quello di tutti i Paesi neoliberisti) in un’abitazione di militanti sandinisti, ufficialmente alla ricerca di stupefacenti (una delle scuse più comuni per vessare la popolazione e far sentire il peso del costante controllo). Gli stupefacenti ricercati anche con cani-poliziotto non furono trovati. In compenso, sotto gli occhi di tutti i vicini che uscirono dalle loro abitazioni per osservare ciò che stava accadendo, fu ammanettata una ragazza perché aveva un po’ di dollari nella propria stanza (forse erano quei 50 dollari che le avevo dato al mattino per acquistare le medicine che necessitavano alla figlia di tre anni, la quale si mise a piangere a dirotto vedendo la madre ammanettata e caricata a forza in un’auto della polizia stessa). Il tenente che dirigeva l’operazione (proseguita per un paio di ore) era ben noto, essendo nato e cresciuto a pochi isolati di distanza. La capo-famiglia, non più tanto giovane (nonna della ragazza) e collaboratrice storica del FSLN, lo apostrofò con un «Siete peggio della Guardia!». Parole udite da tutti i vicini.

Il giorno successivo mi disse che quei poliziotti si erano comportati esattamente come faceva la Guardia Nacional di Somoza e che non erano più quelli della Rivoluzione. È uno dei tanti sintomi evidenti del “divorzio” tra la base e il vertice: una base che non si riconosce più nelle scelte e nelle parole del vertice, un vertice sempre più isolato internamente che vede la sua stessa base come nemica (perciò da affrontare come in una guerra). Per la cronaca, la ragazza fu liberata la mattina stessa, poiché non esisteva alcuna prova di un suo eventuale reato. Naturalmente quei 50 dollari non li ha più rivisti, finiti forse nelle tasche del classico “mal ladrón de Masaya” con una divisa color celeste.

Non è dato sapere quante scene del genere siano accadute e accadano quotidianamente, ma quella a cui ho involontariamente assistito dà il senso del malcontento che vivono i militanti sandinisti (sandinisti, non orteguisti).

Del resto, Daniel e Rosario sapevano perfettamente che la maggior parte delle persone che stavano protestando nel 2018, meno di due anni prima avevano votato per loro, per la coppia reale che aspira al potere eterno e alla successione dinastica.

Non esistono formule magiche né ricette preconfezionate per costruire un movimento sociale diffuso, ma il malcontento, il mugugno e la disillusione di fronte a tante, troppe promesse non mantenute e a un agire non consono agli ideali originari del sandinismo non può non condurre prima o poi a un’altra “esplosione” come quella del 2018. Gli scritti del comandante Carlos Fonseca Amador possono rappresentare un punto di partenza essenziale per pensare (e costruire) l’alternativa politica alla degenerazione orteguista, riprendendo e aggiornando il vero sandinismo per sconfiggere quello opportunista di facciata e, al contempo, impedire alla destra picapiedra di tornare al potere per attuare il suo sogno di buttare il bambino con l’acqua sporca.

***

Fortunato l’uomo che non segue le direttive del Partito
e non partecipa alle sue manifestazioni
e non si siede allo stesso tavolo con i gangsters
o con i Generali nel Consiglio di Guerra
Fortunato l’uomo che non spia il suo fratello
o denuncia il suo compagno di scuola
Fortunato l’uomo che non legge gli annunci pubblicitari
e non ascolta le loro radio
e non crede nei loro slogan

Sarà come un albero piantato accanto a una fonte

(Ernesto Cardenal, Salmo I, 1964)

Redazione
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