Come l’obiettivo di spesa militare della NATO del 2% contribuisce al collasso climatico
“Propongo di porre fine alla guerra,
difendere la vita di fronte alla crisi
climatica, che è la madre di
tutte le crisi”
(Gustavo Francisco Petro Urrego, Presidente della Colombia,
discorso all’ONU, settembre 2023)
di Transnational Institute, Stop Wapenhandel, Tipping Point North South, Centre Delàs d’Estudis per la Pau
La NATO ha proposto di aumentare la spesa militare al 2% del PIL. Questa decisione accelererebbe il degrado climatico e potrebbe costarci caro. Solo quest’anno, i paesi membri dell’Organizzazione (tutti gli stati ricchi tradizionalmente responsabili della crisi climatica) hanno speso 1.260 miliardi di dollari per i propri eserciti. Questo rapporto mostra che questo denaro avrebbe potuto coprire i costi di 12 anni di finanziamenti per il clima nei paesi a basso reddito.
Le misure di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico soffrono di un deficit cronico di finanziamenti di miliardi di dollari, che aggrava la crisi climatica e i suoi effetti sui cittadini di tutto il mondo. Questa situazione ha reso la questione dei finanziamenti per il clima una delle più controverse ai vertici annuali delle Nazioni Unite sul clima, dal momento che i paesi più ricchi, che sono i principali responsabili del collasso ambientale, non sono stati in grado di rispettare neanche le loro già misere promesse di finanziamento per i paesi che si trovano ad affrontare le conseguenze più dure.
Allo stesso tempo, anche le nazioni più ricche che generano il maggior inquinamento, stanno incrementando le loro spese militari. A livello globale, la spesa militare ha raggiunto il massimo storico di 2.240 miliardi di dollari, di cui oltre la metà proviene dai 31 stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), e i loro budget sono destinati a crescere notevolmente nei prossimi anni.
In questo rapporto studiamo le conseguenze di uno dei fattori chiave di questo aumento della spesa militare globale: l’obiettivo della NATO che tutti i suoi stati membri dedichino almeno il 2% del loro prodotto interno lordo (PIL) alle forze armate, nonché quello correlato di destinare almeno il 20% di tale spesa all’equipaggiamento. Si analizza la storia di questo obiettivo, il modo in cui dà impulso alla spesa militare, i suoi effetti sulle emissioni di gas serra (GHG) e le probabili conseguenze finanziarie ed ecologiche globali nel prossimo decennio, così come l’industria degli armamenti che ne trarrà beneficio.
L’obiettivo della NATO è diventato rapidamente un punto di riferimento per la spesa militare ma, come mostra questo rapporto, questo obiettivo non ha una base metodologica chiara. Istituito nel 2006, prima dell’invasione iniziale dell’Ucraina da parte della Russia nel 2014, è attualmente difeso come necessario per affrontare la minaccia russa.
È evidente che la storia recente della Russia è segnata da interventi militari, soprattutto nei paesi vicini come Ucraina e Georgia.
Tuttavia, anche prima di raggiungere l’obiettivo del 2%, nel 2021, la spesa militare dei 31 stati membri della NATO era più di 16 volte superiore a quella della Russia e dei suoi alleati dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), che comprende Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan. Tuttavia, l’obiettivo ha acquisito uno slancio generale e, per ora, è presentato dal Segretario generale della NATO come il minimo obbligatorio nella spesa militare per la NATO e i suoi alleati.
Il contrasto tra l’obiettivo della NATO e quello del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) – che ha proposto una riduzione del 43% delle emissioni di gas serra per tutte le nazioni nel 2023, al fine di mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto di 1,5°C – non potrebbe essere più devastante. L’obiettivo dell’IPCC si basa sulla migliore scienza climatica disponibile. Tuttavia, viene ampiamente ignorato e nessuno dei membri della NATO (o anche della CSTO) si è impegnato a raggiungere l’effettiva riduzione del 43% entro il 2030.
Di fatto, l’adozione dell’obiettivo del 2% della NATO rende l’obiettivo dell’IPCC addirittura più difficile da raggiungere, poiché il previsto aumento dei budget militari aumenterà in modo significativo le emissioni di gas serra militari e dirotterà fondi dal capitolo azione per il clima. La NATO e l’industria degli armamenti parlano spesso di rendere più verde l’esercito, anche se non sono stati in grado di ridurre le emissioni di nessuna delle loro operazioni. Pertanto, un aumento della spesa militare porterà sempre ad un aumento delle emissioni di gas serra.
Sulla base di calcoli dettagliati, la nostra ricerca stima che:
L’impronta di carbonio militare totale della NATO è passata da 196 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (tCO2-eq) nel 2021 a 226 milioni di tCO2-eq nel 2023, ovvero 30 milioni di tonnellate in più in due anni: l’equivalente di oltre 8 milioni di auto in più sulle strade.
La media annuale dell’impronta di carbonio militare della NATO è pari a 205 milioni di tCO2-eq, superiore alle emissioni annuali totali di gas serra di molti paesi. Se l’esercito della NATO fosse un paese, si classificherebbe come il 40° maggiore produttore di inquinamento da carbonio, superiore all’Etiopia o ai Paesi Bassi.
Se tutti i membri della NATO raggiungessero l’obiettivo del 2% del PIL, tra il 2021 e il 2028 la loro impronta di carbonio militare collettiva salirebbe a 2 miliardi di tCO2-eq, superiore alle emissioni annuali di gas serra della Russia, uno dei maggiori paesi produttori di petrolio.
La spesa militare della NATO è aumentata da 1.160 miliardi a 1.260 miliardi di dollari tra il 2021 e il 2023, e il numero di Stati che raggiungono l’obiettivo del 2% del Pil in spesa militare è praticamente raddoppiato (da 6 a 11). Se ciascuno dei 31 Stati membri raggiungesse l’obiettivo minimo del 2% del Pil, la spesa totale approssimativa diventerebbe pari a circa 11.800 miliardi di dollari tra il 2021 e il 2028.
I 1.260 miliardi di dollari di spesa militare della NATO nel 2023 sarebbero potuti servire ad onorare la promessa non mantenuta – fatta dalle nazioni più inquinanti – di destinare 100 miliardi di dollari all’anno per 12 anni alla finanza climatica.
Se tutti i membri della NATO rispettassero l’impegno del 2% del PIL in spese militari, nel 2028 la NATO spenderebbero ulteriori 2.570 miliardi di dollari: abbastanza da coprire i costi di adattamento climatico dei paesi a basso e medio reddito per sette anni, secondo i calcoli del Programma ambientale delle Nazioni Unite (UNEP).
Per i membri europei della NATO, lo sforzo aggiuntivo di 1.000 miliardi di euro necessario per raggiungere l’obiettivo di spesa militare del 2% del Pil equivale ai 1.000 miliardi di euro necessari per il Green Deal europeo.
La grande beneficiaria degli obiettivi della NATO è l’industria degli armamenti, che ha visto moltiplicarsi i propri ricavi, profitti e quotazioni nelle borse internazionali. Questa industria spinge affinché questi flussi di benefici siano permanenti, richiedendo impegni strutturali a lungo termine in termini di produzione di armi e limitando gli impegni ambientali.
Le loro pressioni hanno dato i loro frutti, come dimostrato dal Regolamento di Supporto alla Produzione di Munizioni (ASAP) dell’UE per il 2023, dal Piano d’Azione per la Produzione della Difesa della NATO (2023) e dal sostegno dell’amministrazione Biden alla produzione di armamenti.
Aumenteranno anche le esportazioni di armi verso paesi al di fuori della NATO, poiché l’economia di guerra cerca nuove vie di uscita per quando finirà la guerra in Ucraina.
Se si analizzano le esportazioni di armi dei membri della NATO, è evidente che esse vengono inviate a 39 dei 40 paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici: di questi, 17 si trovano già in una situazione di conflitto armato, 22 hanno un regime autoritario, 26 ottengono un punteggio basso negli indicatori di sviluppo umano e 9 sono soggetti a embargo sulle armi da parte dell’ONU o dell’UE. Queste esportazioni alimentano conflitti e repressione in un momento pericoloso di collasso ambientale.
Ma ciò che è più importante, è che gli obiettivi della NATO – con tutte le relative conseguenze ambientali – stanno stimolando una nuova corsa agli armamenti proprio mentre la crisi climatica si aggrava. Ciò comporterà un aumento delle emissioni e assorbirà le risorse finanziarie destinate ai finanziamenti per il clima, già scandalosamente inadeguate.
Costituisce oltretutto una distrazione politica che distoglie l’attenzione dalla più grande crisi di sicurezza che l’umanità abbia mai sofferto: il collasso ambientale. In definitiva, nessun settore, compresi quello militare e l’industria degli armamenti, può rivendicare “eccezionalità” quando intraprende azioni radicali sul clima. La sicurezza comune e anche la vita stessa sulla Terra dipendono da un unico obiettivo: che la lotta urgente per il clima sia assunta da tutti.
Traduzione di Ecor.Network.
Climate crossfire. How NATO’s 2% military spending targets contribute to climate breakdown
Transnational Institute, Stop Wapenhandel, Tipping Point North South, Centre Delàs d’Estudis per la Pau
Ottobre 2023 – 44 pp.
El clima bajo fuego cruzado. Cómo el objetivo del 2% de gasto militar de la OTAN contribuye al colapso climático
Transnational Institute, Stop Wapenhandel, Tipping Point North South, Centre Delàs d’Estudis per la Pau
Ottobre 2023 – 44 pp.
INDICE
* Introduzione
* Spesa militare e impatto climatico
– La NATO e l’obiettivo del 2%.
– La decisione del 2%.
– Perché il 2%?
– Oltre i membri della NATO
– Il 2% è solo l’inizio
* Calcolo del costo economico dell’obiettivo del 2%.
– Il costo per raggiungere il 2%
* Calcolo del costo dell’obiettivo del 2% in emissioni di gas serra
*I beneficiari dell’industria degli armamenti della NATO
– Profitti alle stelle
– Cercando di consolidare l’economia di guerra
– Greenwashing dell’industria degli armamenti
* Conclusione: il nostro pianeta non sopravviverà ad una corsa agli armamenti
* Appendice 1. Calcolo dell’impronta di carbonio militare
* Appendice 2. Tabelle aggiuntive
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