Tevis, l’uomo che cadde sulla Terra
Un’altra voce della Eai (Enciclopedia Aliena Intergalattica) di Fabrizio «Astrofilosofo» Melodia
«Dopo due miglia di cammino arrivò a una città. Prima dell’abitato vi era un cartello: HANEYVILLE, e sotto: 1400 AB. Andava benissimo, gli occorreva proprio una cittadina di quella grandezza. Era di mattina e ancora molto presto, aveva scelto quell’ora per la sua camminata in modo da approfittare del fresco. Non c’era ancora nessuno per la strada. Oltrepassò ancora parecchi isolati nella luce incerta, sconcertato dall’ambiente estraneo. Si sentiva tutto teso e un po’ spaventato. Cercò di distrarre la sua mente da ciò che si accingeva a fare: ci aveva già pensato abbastanza.
Nel piccolo centro commerciale trovò quello che cercava: un negozietto con l’insegna: LO SCRIGNO. A un angolo di strada lì vicino vide una panchina e andò a sedersi, con tutto il corpo indolenzito per lo sforzo del gran camminare.
Fu di lì a qualche minuto che vide un essere umano»: così Walter Tevis in «L’uomo che cadde sulla Terra» (1963).
A camminare è un alieno, giunto sulla Terra in seguito alle disperate condizioni del suo pianeta natio, totalmente sconvolto dalla siccità. Prende il nome di Thomas Newton per confondersi alla perfezione con gli umani. E’ arrivato con una immensa nave cisterna con la quale preleverà grossi quantitativi di liquido dal pianeta, ma ha bisogno di molto denaro per realizzare il progetto. Mette a frutto le proprie avanzatissime conoscenze elettroniche e informatiche, creando la Newton Enterprise, colosso e leader del settore che in breve tempo sbaraglia ogni concorrenza e si prepara a dare le direttive a tutti i mercati delle nuove tecnologie nell’intero pianeta.
I poteri forti temono come la peste Thomas Newton e tentano con ogni mezzo di contrastarne l’ascesa. Lui continua nel suo progetto ma lo attende dietro l’angolo una vera e propria discesa nell’inferno terrestre, un percorso di degradazione causato principalmente dalla sua indole troppo pura. Eccede decisamente con l’alcool e il sesso sfrenato. Questo percorso autodistruttivo espone Thomas ai giochi delle multinazionali rivali, le quali ricevono un inaspettato aiuto da uno stretto collaboratore dell’alieno, il signor Farnsworth, che rivela la vera identità e le origini dell’alieno.
Arrestato dagli uomini dei servizi segreti e sottoposto a ogni tipo di test medico e torture varie, Newton incontra il suo tragico destino proprio nel vedersi tramutare completamente in un umano: un evento che si rivelerà nella sua drammaticità quando, davanti allo specchio nel tentativo di togliere le lenti a contatto, che ne celano gli occhi, scoprirà di non poterlo più fare, diventando progressivamente sempre più cieco. I servizi segreti lo terranno prigioniero per almeno una quindicina d’anni, distruggendo in seguito la sua astronave. Thomas Newton è in rovina, roso dalla consapevolezza di sapere il suo pianeta ormai collassato e la popolazione ormai estinta, costretto a un’esistenza di solitudine, cercando rifugio nel bere.
Le vicende dello sventurato alieno si chiudono proprio in una bettola, mentre ripete ossessivamente, annebbiato dall’alcool, di essere venuto sul nostro pianeta per salvare l’umanità, accolto solo dalle fragorose risate dei presenti.
Le sue vicende dell’alieno sono narrate nel romanzo «L’uomo che cadde sulla Terra» («The man who felt on Earth» del 1963) scritto dal talentuoso Walter Stone Tevis, da cui il regista Nicholas Roeg trasse uno splendido film che segnò l’esordio cinematografico dell’androgino cantante David Bowie, perfetto per la parte.
Un alieno puro di cuore arrivato sulla Terra per aiutarla a progredire tecnologicamente e spiritualmente, in cambio di un po’ dell’acqua che abbonda sul nostro pianeta. Newton passa dall’esaltante esperienza di vivere fra gli umani in una condizione di superiorità e alla distruzione fisica e morale. L’ingenuità che lo caratterizza, causa prima della sua rovina a opera degli sciacalli della finanza, mette in risalto falsità, ipocrisie e opportunismi che regolano i rapporti di convivenza umana.
Alla fine di queste pagine (e del film) torna più forte cge mai la convinzione che i veri alieni siamo noi, in un mondo sempre più distruttivo e governato solo dal mercato, assolutamente insensibile a qualsiasi miglioria umanista e sempre più portato alla becera autoconservazione.
Anche il rapporto d’amore che l’alieno stabilisce con una umana, Mary Lou, è destinato a naufragare quando le rivela la sua natura, togliendosi le lenti a contatto che celano gli occhi alieni. La donna non è pronta a un rapporto così, ma alla fine si renderà conto di aver buttato via un amore profondo per la propria incapacità di accettare ciò che è troppo diverso da lei.
Se il mercato accetta solo la legge del più forte, per gli esseri umani vige una mentalità da animali incapaci di amare ciò che non rientra nella logica selvaggia del branco.
Walter Stone Tevis fu uno scrittore atipico e tormentato, dall’infanzia difficile. Nato il 28 febbraio 1928, visse i primi dieci anni nel Sunset District, vicino al Golden Gate Park e al mare, finché una malattia reumatica al cuore lo costrinse a rimanere un anno intero internato all’ospedale Stanford Children’s Convalescent Home. La famiglia si trasferì in Kentucky nella Contea di Madison, di cui il padre era originario, lasciando Walter solo a San Francisco.
Rimase per una decina di mesi nell’ospedale, senza genitori; gli erano somministrate dosi quotidiane di fenobarbital (o anche Luminal, un barbiturico usato per le sue proprietà ipnotiche, sedative e anticonvulsivanti che negli anni trenta e quaranta veniva prescritto per l’insonnia) ma era anche sottoposto anche a dolorosi trattamenti medici, immobilizzato a una struttura di ferro simile a una bara per curare alcuni disturbi del cuore e la gracile costituzione.
Infine a undici anni Walter raggiunse la famiglia con un lungo e solitario viaggio in treno: il disagio e lo smarrimento che provò di fronte alla nuova vita rurale che lo attendeva furono descritti anni dopo attraverso gli occhi del suo alieno Thomas Newton.
La degenza, le terapie e gli esami spesso dolorosi, il senso di abbandono sperimentato nell’ospedale, la provenienza da una grande città non lo aiutarono a integrarsi nella tranquilla provincia del Kentucky. Timido, gracile, impacciato, buffo (doveva portare un apparecchio per i denti) Tevis trovò un precoce rifugio nei libri; divenne il bersaglio naturale dei bulli della Ashland School, a Lexington, che non gli risparmiarono beffe e pestaggi. Cambiò tre volte liceo. Nell’ultimo trasferimento conobbe un compagno di scuola, tale Toby Kavanaugh, di famiglia benestante, il quale nutriva una fortissima passione per il gioco del biliardo, tanto da contagiare il giovane scrittore che ben presto ne divenne un virtuoso.
Nel 1959 dopo essersi laureato a pieni voti in letteratura inglese e aver trovato lavoro come insegnante in una scuola superiore – dove conobbe la sua futura moglie – Walter Tevis esordì con il suo primo romanzo (non di fantascienza) dal titolo «Lo spaccone» (“The Hustler”) in cui racconta della vita di un giovane giocatore di biliardo, Felson, che sfida i migliori avversari per arrivare a scontrarsi con l’invincibile Minnesota Fats in una partita leggendaria e giocata a più riprese e dalla quale Fast Eddie infine esce vincitore. Appena due anni dopo la storia fu portata sullo schermo da Robert Rossen nell’omonimo film, con Paul Newman nel ruolo di Fast Eddie e Jackie Gleason nei panni di Minnesota Fats.
Nel 1957 aveva esordito con un racconto di fantascienza dal titolo «The Ifth of Oofth» sulla rivista «Galaxy Science Fiction». Altri suoi racconti, tutti di fantascienza, apparvero su diverse riviste, come «The Goldbrick» su «If» nello stesso anno, «Far from Home» su «F&S» nel 1958, o «The Apotheosis of Myra» su «Playboy» del luglio 1980.
Alla fantascienza dedicherà così gran parte della sua vita. Diventò dipendente dall’alcool, come il suo sfortunato personaggio dagli occhi alieni.
Tevis, dopo aver ottenuto la cattedra di professore all’università, interromperà per molto tempo la propria attività di scrittore, paventando motivi di tempo. In realtà non si considerava all’altezza di scrivere, tanto che frequentava assiduamente i corsi universitari del poeta Donald Justice, umilmente seduto fra gli studenti aspiranti scrittori.
Nel 1975 la vita di Tevis cambiò: decise di smettere di bere e iniziare una psicoterapia. Anche questa esperienza, come l’alcolismo, divenne parte integrante della vita dei suoi personaggi futuri in «A pochi passi dal sole» (“The Steps of the Sun”) e in alcune storie di «Lontano da casa» (“Far From Home”).
Due anni dopo un ulteriore giro di vite alla propria vita: si dimise dall’università e si trasferì a New York, per dedicarsi solo alla scrittura. Nel 1980 diede alle stampe «Futuro in trance» (“Mockingbird”; in italiano si trova anche con il titolo «Solo il mimo canta al limitar del bosco») che in un certo senso riprende là dove «L’uomo che cadde sulla Terra» si interrompeva: una storia di dipendenza e disintossicazione, ambientata in un futuro governato da automi nel quale gli esseri umani non devono far altro che dimenticare le proprie emozioni e la lettura viene demonizzata in quanto avvicina ognuno alla parte più intima degli altri.
Solo la fantascienza poteva permettere a Tevis di esporre dubbi esistenziali e al tempo stesso politici. A esempio in questa distopia si intravedono i giudizi negativi dell’autore sulla gestione delle risorse energetiche e umane.
In generale il mondo letterario lo evitò, e l’unico riconoscimento che ebbe fu proprio grazie al romanzo «Futuro in trance», premiato nel 1980 con il Nebula. In un’intervista televisiva rivelò che la Public Broadcasting Service (Pbs) aveva in progetto di realizzare una trasposizione filmica del romanzo, mai realizzata.
Il romanzo «A pochi passi dal sole» è lo sviluppo di «The Apotheosis of Myra», uno dei racconti di «Lontano da casa»: in un prossimo futuro il protagonista Belson trova un enorme giacimento di uranio su un altro pianeta, proprio mentre sulla Terra il petrolio è esaurito e non rimane altro che la legna da bruciare. Assieme all’uranio trova anche un’erba sconosciuta, da lui chiamata Endolina, dai potenti effetti antidolorifici, esattamente quello di cui ha bisogno la figlia Myra, che soffre di artrite, e che lo salva dalla persecuzione del governo per il possesso dell’uranio.
Ne «La Regina degli scacchi», Beth Harmon – un’orfana circondata da un mondo che la terrorizza e che la porta a diventare dipendente dei tranquillanti – entra in contatto con il custode dell’istituto, che le insegna a giocare a scacchi, ma per punizione la direttrice dell’orfanotrofio glieli vieterà. È adottata dagli Wheatley, una coppia di mezza età. Quando il padre adottivo lascia la moglie, per aiutare la signora Wheatley, Beth inizia a sfruttare la propria abilità negli scacchi. Di nuovo sola, dopo la morte della madre adottiva, Beth compie una rapida scalata, si scontra coi grandi maestri internazionali, e dopo un lungo percorso di riabilitazione dalla depressione e dall’alcolismo, riesce infine a diventare la prima donna campionessa di scacchi.
Tevis morì per una crisi cardiaca dovuta a un cancro il 9 agosto 1984. Anche lui era un alieno caduto in questo mondo.
Indico di seguito una bibliografia essenziale facilmente reperibile per chi volesse accostarsi a questo meritevole autore.
- «Lo spaccone» (“The Hustler”, Harper & Brothers, New York, 1959); Giumar, Milano 1961; Sperling & Kupfer, Milano 1987; Minimum Fax, Roma 2008
- «L’uomo che cadde sulla Terra» (“The Man Who Fell to Earth”, Gold Medal Books, New York, 1963); Mondadori, Milano 1964; Minimum Fax, Roma 2006.
- «Futuro in trance» (“Mockingbird”, Doubleday, Garden City (NY), 1980); come «Solo il mimo canta al limitare del bosco», Nord, Milano 1983 o come «Futuro in trance», Mondadori, Milano 1983.
- «A pochi passi dal sole» (“The Steps of the Sun”, Doubleday, Garden City (NY), 1983); Mondadori, Milano 1992.
- «La Regina degli scacchi» (“The Queen’s Gambit”, Random House, New York, 1983); Minimum Fax, Roma, 2007.
- «Il colore dei soldi» (“The Color of Money”, Warner Books, New York,, 1984); Sperling & Kupfer, Milano 1987; Minimum Fax, Roma 2010.
E l’antologia di racconti «Lontano da casa» (“Far From Home”, Doubleday, Garden City (NY), 1981); Mondadori, Milano 1991.
davvero un autore abbastanza lasciato ai margini e un film di tutto rispetto, che gode, oltre alla meravigliosa interpretazione androgina di David Bowie, di una superba fotografia e di un montaggio pop che ne esalta l’atmosfera alla Andy Wahrol…