Il freddo, l’umido e le strategie consigliabili (di Pabuda)
l’altra mattina, svignandomela dall’alberghetto,
dalla cuccia, da sotto il tetto, da dentro al letto
mi son ritrovato, prevedibilmente,
fuori da tutto.
cercando d’ambientarmi
in quello spazio buio mattutino
e padano
annusavo un po’ la nuova situazione:
notavo che, in effetti, faceva freddo
ma non poi freddissimo.
tra un bar e l’altro,
visitati a zig-zag nel nebbione
annotavo: è tutta una questione d’umidità,
per un verso.
dall’altro: di garbo, d’astuzia, di fantasia e d’umiltà:
dipende da come la si prende,
da come ci si predispone:
se si assume un atteggiamento ostile,
l’umidità se n’accorge, se la prende, s’incazza
e ti entra nelle ossa, facendoti rabbrividire.
se la si asseconda, prendendo l’umido atmosferico
un po’ come viene, con saggio fatalismo, allora…
ci si può far cullare dal nebbione come un tempo
ci s’impigriva beatamente nel liquido amniotico (ricordi?).
così tutto diventa più tiepidino e accogliente
e te ne vai sorridente verso l’ufficio: lì t’aspetta
la tua bella scrivania ben piantata
su una splendida spiaggia dei Caraibi, dove l’unico problema
è quella cazzo di sabbiolina dorata e finissima
che s’infila sempre tra le scartoffie.
è solo una questione d’adeguata disposizione d’animo.
certo, un cicchetto abbondante aiuta. perché negarlo?