I solchi dei 78 giri e quelli…

laceranti della storia europea: recensione al romanzo «Questo suono è una leggenda» di Esi Edugyan

di Pabuda

Al lavoro mio (quello per campare) quasi tutto è una schifezza. Probabilmente è la stessa menata con qualsiasi lavoro sotto padrone o, peggio, in una multinazionale. Però c’è anche del bello, come il vorticoso giro di prestiti: libri, film e dischi, soprattutto. E i baratti: un po’ di poesie alla collega per una sua consulenza informatica, un romanzo digitalizzato all’altro collega in cambio delle marmellate di agrumi fatte in casa, proprio da lui. Un rifornimento di jazz in cambio di una bottiglia di Barbera del Monferrato che siamo ancora qui a cantare come naufraghi approdati sull’Isola Deserta. Uno Xialong per un Balestrini, Beethoven in cambio di Sugar Man, Elmo Hope per Platone e un anti-virus per la ricetta dei malfatti di spinaci e… via trafficando. Settimana scorsa, il collega dell’ufficio di fronte mi ha girato un libro sorprendente. Sembra un gran bel vecchio disco a 78 giri, con tutto quanto: il suono caldo, profondo e ampio tipico delle lacche di una volta, compresi i fruscii più pensierosi e certe righe sui solchi che fan saltar la puntina, rizzare i capelli e accapponare la pelle. Invece è un gran bel romanzo che fa quell’effetto lì. Esi Edugyan ha scavato in altri solchi: i più terribili e laceranti della storia europea, della Berlino nazificata e della Parigi in preda al panico. Eppure ha tirato fuori anche della musica: quella degli Hot-Time Swingers. Il loro pezzo migliore è lo straziante “Half Blood Blues” (che è pure il titolo originale del romanzo) e il loro asso nella manica è Hiero, il più giovane ma anche il più talentuoso e ispirato del gruppo: un trombettista molto magro e con la pelle scura, un afro-tedesco. Forse uno di quei “bastardi della Renania” che i nazi odiavano al punto da sterilizzare in massa e sterminare ancor prima degli ebrei, degli zingari, dei rossi, degli invalidi, dei vagabondi e degli omosessuali. Il complesso sfoggia una etereogeneità insopportabile nel Reich hitleriano. Il pianista ha un aspetto perfettamente ariano, ma sui documenti porta scritto “ebreo”. Chip Jones (che nome!) è un nero d’America, un buon musicista alla ricerca di fortuna in Europa e in fuga dal razzismo degli States: lui fa del buon fracasso con la batteria. Ogni tanto, al clarinetto si dà da fare un tedeschissimo cultore dello swing. L’autrice ci fa raccontare tutto da Sid, un contrabbassista afroamericano senza infamia e senza lode che ci trascina nei nascondigli dove i musicisti si rifugiano per sfuggire alla persecuzione dei seguaci dell’Imbianchino, suonando la loro “musica degenerata”, litigano, si prendono cura l’uno dell’altro e si tradiscono. Sid stesso cerca di nasconderci un paio di cruciali segreti: mica posso svelarli io, dico solo che a me han tenuto in apprensione fino all’ultima pagina. Per chi volesse approfondire la conoscenza dello scenario storico e musicale su cui si muovono i protagonisti, a fine volume, l’autrice indica anche una sintetica ma assai interessante bibliografia. Ma Esi Edugyan chi è? Da quello strano nome non riuscivo a dedurlo e i riferimenti a certi premi letterari scozzesi messi in evidenza in ultima di copertina mi portavano fuori strada. Così mi son guardato in giro e ho visto che la scrittrice che ci regala questa bella, avvincente, tenera e durissima storia è nata e cresciuta in Canada. La sua famiglia è originaria del Ghana e lei ha una faccia davvero simpatica. Ho l’impressione che con il principale personaggio femminile del romanzo abbia ceduto alla tentazione di ritagliare un po’ di spazio per un suo alter ego. La capisco benissimo: con una storia così come si fa a non starci dentro? Non aggiungo altro: anche questa faccenda è tutta da leggere!

«Questo suono è una leggenda» è edito da Neri Pozza, consta di 304 pagine e costa 17 euro. Li vale tutti, ma se al lavoro avete un giro come il mio, fatelo comprare a un collega, poi gli preparate una torta di mele e in cambio ve lo fate prestare.

 

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