Attualità del Dolce Stil Novo
di Mauro Antonio Miglieruolo
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Cosa può insegnare a noi evolutissimi scafatissimi (si fa per dire) esseri umani del XXI secolo la straordinaria temperie culturale alla quale è stato attribuito il nome Dolce Stil Novo? Apparentemente poco.Apparentemente poco nonostante (o proprio per questo) oggi d’amore si parli a profusione e se ne parli dappertutto (dalla mie parti, si dice “il più è come il niente”); e perché se ne parla a sproposito, con intenzioni poco serie, senza vera volontà di approfondire, confondendo la fondamentale attività sessuale con la capacità di espansione della coscienza determinata dalla capacità di evocare in sé la volontà di amare. Dunque il Dolce Stil Novo può costituire un antidoto all’eccesso, al fuori luogo e alla superficialità, dando ai contemporanei la possibilità di riconoscere il ruolo che ha l’energia amorosa sul piano destinale dell’umanità e nei rapporti interpersonali.
Sul rapporto amore/sesso il fraintendimento è all’ordine del giorno. Nonostante sia impossibile confonderli, li si mescola con perseverante sproposito. Ottenendo di glissare sulla possibilità della loro presenza in un unico momento e un doppio di cuori; con la conseguenza di aprire lo spazio all’esercizio inconsapevole di pratiche errate e fuorvianti (ove qualcuno contempli la possibilità di quest’unione, lo fa come mito e come volorizzazione del sesso, che diventerebbe più bello e non, come dovrebbe essere inteso, strumento di ulteriore elevazione).
Si parla di sesso e si intende amore. Si dice amore e si intende sesso. Si pratica il sesso per sottrarsi alle responsabilità dell’amore… Il sesso, strumento di relazione, può esse manomesso al punto di diventare mezzo per produrre distanza e soggezione (il sesso come potere). C’è persino chi lo considera la via privilegiata per accedere all’amore (non è impossibile che accada), mentre è soltanto una delle vie per sottrarsi al peso dell’indifferenza, l’esatto opposto dell’amore.
Se il sesso di per sé è atto innocente, una benedizione per il genere umano, in qualunque forma venga praticato (basta praticarlo prendendo le debite distanze da un uso cosale e consumistico; e praticarlo quando/quanto a ognuno serve), diventa colpevole quando lo si elevi a feticcio. Quando diventa misura di ogni altra cosa. Tanto da arrivare a definire la letteratura che programmaticamente esclude (o escludeva?) il sesso dal proprio ambito, letteratura che sa parlare solo di Amore (mitizzato), una produzione “per signorine”. Cioè qualcosa da relegare nell’ambito del romanticismo di “bassa lega”. È nell’esistenza di questa definizione, che non attiene alle modalità formali, più o meno degne e corrette, ma all’argomento trattato, che si misura la distanza tra l’ieri e l’oggi. Tra l’atteggiamento degli uomini del XIII secolo e quelli del XXI. Ulteriore elemento negativo è poi la specificazione di “letteratura per femmine”, che rimanda a un antifemminilismo inconsapevole, che denuncia pesantemente i limiti culturali nel quale siamo tutti immersi e del quale siamo tutti responsabili.
Ma la letteratura di infimo genere non dovrebbe mai diventare metro per costruire un giudizio sul valore sociale o sociologico; o pretesto per operare generalizzazioni di comodo. La letteratura di fantascienza non è affare da adolescenti, anche se può capitare che certi aspetti della fantascienza siano preferiti dagli adolescenti (ma poi si scopre che sono altrettanto e più numerosi gli adulti che l’apprezzano, quando si tratta di libri degni di apprezzamento). La letteratura d’argomento sessuale (detta pornografia) è detta “per uomini soli”, nonostante ormai si sappia che viene volentieri consumata da uomini che tali non sono, spesso all’interno delle coppie e, sembra, sui siti web, sia frequentata al 60% dalle donne. Perché la mediocre letteratura di certi rotocalchi dovrebbe invece essere esclusiva delle “servette” e delle “portinaie”? Nessuno, in proposito, ritiene di dover attribuire la stessa definizione a chi, grande o piccolo, donna o uomo, intellettuale o persona incolta, si commuove insieme al suo autore per le vicissitudini di una coppia di amanti, a volte amanti adolescenti; per i Giulietta e Romeo ad esempio, o per Tristano e Isotta, o Abelardo e Eloisa, coppie eterne cui la pratica del sesso non è spiaciuta, ma che anzitutto si sono dedicate al dare espressività e praticabilità al loro amore. Né mi sembra nessuno osi criticare i nostri antenati (a parte qualche sopracciglio alzato per gli eccessi dei romantici) che invece avevano posto l’amore al centro dei loro interessi (letterari o meno). Mi sembra, a tale proposito, notevole in particolare il commovente rispetto con cui si considerano i dolci stilnovisti, i quali hanno osato sfidare le donne sul loro stesso terreno, quello appunto della divinazione del tema dell’amore (che loro, gli stilnovisti, coerentemente, praticavano divinizzando la persona stessa oggetto d’amore).
Lo impedisce solo la qualità dei loro componimenti, o invece vi svolge una funzione importante anche il pregiudizio? Pregiudizio che attiene al ruolo delle donne nella società, che le vede meno emarginate oggi, ma anche più pericolosamente esposte;
(vedi tu mai si realizzasse effettivamente la temuta eguaglianza, così tanto paventata dagli uomini, in quanto li costringerebbe a loro volta a effettuare il passo in avanti che solo li potrebbe rendere degni di quella eguaglianza? con tutti i benefici e sacrifici che la cosa comporta?)
e che, non potendo più confinale apertamente, si aspirerebbe oggi a diminuirle (in quanto lettrice di spazzatura letteraria) utilizzando subdolamente i mortificanti termini “servetta” e “portinaia”, che allo scopo sono stati appunto ideati. I quali servono egregiamente anche a aggredire e discreditare il “vero amore”, del quale si ha consapevolezza del ruolo eversivo che svolge nelle umane vicende: quando qualcuno lo accetta nel proprio interiore, questo qualcuno non è più lo stesso, non offre più ampia garanzia di acquiescenza alle regole del gioco, pur essendo l’identico del giorno prima. Il soggetto che all’amore si abbandona, pur senza volerlo, assiste allo sconvolgimento dei valori, sconvolgimento delle gerarchie delle priorità, sconvolgimento dei punti di vista. Le grettezze dell’IO perdono importanza e con esso tutta la zavorra dell’educazione, degli obblighi sociali, dei ricatti con i quali ci incateniamo reciprocamente alle regole assurde con le quali siamo governati (detto meglio: dominati).
A noi, per chiudere la ruminazione, basta rammentare che gli uomini del Duecento sono arrivati a porre come soggetto umano ideale la donna (Donne che avete intelletto d’amore), nel cuore di un periodo storico dominato dalla Chiesa che il femminile disumanizzava e demonizzava, per poter commettere contro l’altra metà del cielo una serie di crimini atti a mantenere tutti (uomini e donne) sotto la sua tutela; crimini che ha tutt’oggi non ha del tutto smesso di attuare.
Dunque: Donne che avete intelletto d’amore…
Che non è solo un appello a coloro che godono di tale privilegio, ma anche un appello implicito a tutti gli altri (non solo a tutte le altre) a munirsi di questo speciale intelletto; che, ripeto, permette di accedere a una dimensione negata a nessuno ma che i più temono. Più di tutti gli uomini, reputando si tratti di un percorso che approda alla debolezza, all’incapacità di discernere, alla femminizzazione dell’individuo.
Non avevano di queste paure gli uomini (almeno non l’avevano i migliori) di quell’epoca. La pratica poetica era, consapevolmente o meno, anche proposta di pratica di vita; era impegno assunto pubblicamente a salire essi stessi a quel livello di “intelletto”, con tutto ciò che un proposito, quando non è troppo leggero, comporta. Perché si tratta di un livello che, al contrario di quanto si crede, produce in chi lo accetta, più forza, maggiore volontà di ben fare; e l’adesione integrale alla propria vocazione di genere (si è più virili nella propria scelta di essere uomini e più femminili nella propria scelta di essere donne). Con un più di intelligenza vera che consiste nella capacità di penetrare meglio nell’intima essenza delle cose.
Ecco dunque quel che quei poeti, con le loro parole armoniose e seduttive, possono insegnarci: a prendere sul serio qualcosa di cui si parla tanto, per riempire il vuoto di queste parole con i significati veri e positivi propri alla nostra epoca; a ben considerare l’opportunità che l’altro rappresenta per noi; ad aspirare a ascendere a quella dimensione che le donne spesso raggiungono (ma forse sempre meno facilmente che nel passato) e che noi possiamo raggiungere con il loro aiuto, sempre che questo aiuto ci si ponga in grado di ricevere. Perciò anche, in buona sostanza, capire che la letteratura che si occupa d’amore benché essere letteratura “per il femminile” è letteratura “per il maschile”, letteratura di cui gli uomini per primi hanno bisogno per sottrarsi alle secche di un mondo dominato dall’accessorio, e dall’infantile, dall’arido e dall’inutile, per diventare portatori di quel seme che cerchiamo costantemente di sterilizzare e costantemente in noi germoglia. Cioè l’Amore, l’altro termine con il quale si significa “felicità” e anche piena umanità.
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Donne ch’avete intelletto d’amore,
i’ vo’ con voi de la mia donna dire,
non perch’io creda sua laude finire,
ma ragionar per isfogar la mente.
Io dico che pensando il suo valore,
Amor sì dolce mi si fa sentire,
che s’io allora non perdessi ardire,
farei parlando innamorar la gente.
E io non vo’ parlar sì altamente,
ch’io divenisse per temenza vile;
ma tratterò del suo stato gentile
a respetto di lei leggeramente,
donne e donzelle amorose, con vui,
ché non è cosa da parlarne altrui.
Angelo clama in divino intelletto
e dice: “Sire, nel mondo si vede
maraviglia ne l’atto che procede
d’un’anima che ’nfin qua su risplende”.
Lo cielo, che non have altro difetto
che d’aver lei, al suo segnor la chiede,
e ciascun santo ne grida merzede.
Sola Pietà nostra parte difende,
che parla Dio, che di madonna intende:
“Diletti miei, or sofferite in pace
che vostra spene sia quanto me piace
là ’v’è alcun che perder lei s’attende,
e che dirà ne lo inferno: O mal nati,
io vidi la speranza de’ beati”.
Madonna è disiata in sommo cielo:
or voi di sua virtù farvi savere.
Dico, qual vuol gentil donna parere
vada con lei, che quando va per via,
gitta nei cor villani Amore un gelo,
per che onne lor pensero agghiaccia e pere;
e qual soffrisse di starla a vedere
diverria nobil cosa, o si morria.
E quando trova alcun che degno sia
di veder lei, quei prova sua vertute,
ché li avvien, ciò che li dona, in salute,
e sì l’umilia, ch’ogni offesa oblia.
Ancor l’ha Dio per maggior grazia dato
che non pò mal finir chi l’ha parlato.
Dice di lei Amor: “Cosa mortale
come esser pò sì adorna e sì pura?”
Poi la reguarda, e fra se stesso giura
che Dio ne ’ntenda di far cosa nova.
Color di perle ha quasi, in forma quale
convene a donna aver, non for misura:
ella è quanto de ben pò far natura;
per essemplo di lei bieltà si prova.
De li occhi suoi, come ch’ella li mova,
escono spirti d’amore inflammati,
che feron li occhi a qual che allor la guati,
e passan sì che ’l cor ciascun retrova:
voi le vedete Amor pinto nel viso,
là ’ve non pote alcun mirarla fiso.
Canzone, io so che tu girai parlando
a donne assai, quand’io t’avrò avanzata.
Or t’ammonisco, perch’io t’ho allevata
per figliuola d’Amor giovane e piana,
che là ’ve giugni tu diche pregando:
“Insegnatemi gir, ch’io son mandata
a quella di cui laude so’ adornata”.
E se non vuoli andar sì come vana,
non restare ove sia gente villana:
ingegnati, se puoi, d’esser palese
solo con donne o con omo cortese,
che ti merrano là per via tostana.
Tu troverai Amor con esso lei;
raccomandami a lui come tu dei.
Dante Alighieri