La forza della leggerezza di don Gino Piccio
Non avevamo tematiche particolari, ma un prete viene fuori dicendo: domenica abbiamo pregato per le vocazioni, e quindi cominciamo a dire il motivo per cui non abbiamo più vocazioni e che cosa possiamo proporre ad un giovane che vuol farsi prete. Sono rimasto meravigliato dalle risposte e un parroco che io ritengo serio, e che non ha più trent’anni disse: “Io non ho mai avuto il coraggio di fare una proposta simile ad un giovane”. Gli chiesi allora: “Ma perché fai il prete?”. Tutti zitti. “E tu cosa dici?”. Avevano capito che li provocavo in modo molto delicato, almeno io credo.
Vi faccio conoscere allora una storia strana. Io sono andato in seminario non per farmi prete. Se qualcuno m’avesse proposto di fare il prete, mi sarei ammazzato, buttandomi giù dal ponte del Po, che tra l’altro è molto alto. Io volevo solo studiare. A 18 anni avevo una ragazza. Ad un certo punto caddi in una crisi terribile.
Io sono andato in seminario per studiare, in qualunque posto fossi andato non sarei riuscito. Lì mi hanno trattato bene. Viene un prete di Rho a predicare gli esercizi e vado a parlare con lui: sono sbottato perché ormai troppe erano le cose che si accumulavano dentro. Scoppiai a piangere e gli dissi tutto. Quello è stato il primo uomo che ho incontrato nelle mia vita; e mi dice: “Ragazzo mio, non uscire fuori, altrimenti devi andare in guerra (eravamo nel 1940). Stai dentro, comportati da uomo e dopo vedrai cosa fare”. “Ma io amo una ragazza”. “Non importa, va’ avanti”. Vado avanti, comportandomi da uomo. Cominciano poi le truculenze dello spirito: crisi su crisi, cose belle e cose brutte.
In quel periodo ho avuto due direttori spirituali, che non mi hanno dato niente. È arrivato poi il terzo e allora dissi: “Lo Spirito Santo forse ci capisce, li ha fatti ammalare tutti e due e se ne sono andati, meno male!”. Questo mi ha aiutato ad amare Dio, pensate, ero in prima teologia e ho cominciato allora ad amare Dio!
Vado un giorno dal mio vecchio parroco, che io stimo ancora, e gli dico che ero incerto se farmi prete e lui: “non aver paura, sei figlio unico, prendi tuo padre e tua madre, ti danno una parrocchia, il pane non ti manca, fai un po’ di bene e sii felice”.
Esco fuori e mi dico: “Fare un po’ di bene, lo posso fare, so mantenermi perché ho lavorato sotto padrone fino a 18 anni”. Fortuna volle, io dico sempre, cambiano direttore spirituale in seminario e io dico che questo è stato l’orientatore della mia vita.
Un giorno andiamo a passeggio, per me era la truculenza delle umiliazioni: in fila, con quel cappello in testa, io che ero abituato a lavorare in mezzo a uomini. Passa vicino a noi una coppia di giovani e la ragazza, che era vicino a me, dice ad alta voce: “Questi ragazzi mi fanno compassione”. Porca miseria! Ma questa è come se mi avesse dato un pugno in un occhio! Torno a casa e vado dal direttore spirituale: “Ma io sono destinato a fare compassione nella vita? Ma perché mi debbo fare prete?”.
Mi fa un discorsetto dicendo: “Forse non sei adatto per fare il prete. Non ti preoccupare, ma se ti vuoi fare prete ti dico le cose da fare”. E mi ha dato cinque consigli. Ve ne dico tre, gli altri non vi interessano. “Prima di tutto se ti farai prete, non devi mettere i soldi in banca, perché se ti avanza una lira, vuol dire che appartiene a qualcun altro. Seconda cosa: non prenderai mai tuo padre e tua madre insieme, perché loro faranno i parroci e tu il vice parroco. Tu devi essere un uomo libero. Terza cosa (ed è quella che mi ha dato il capogiro): non dimenticare, come dice sant’Agostino, che noi teniamo dei carboni accesi nelle mani, anche se battiamo i denti dal freddo. L’ideale, se mai dovessi fare il prete è questo. Punta in alto, ragazzo mio, tu hai un messaggio da dare, che sconvolge il mondo: giustizia, amore e libertà. Le altre cose non interessano. Penso che poi mi dirai qualcosa”.
Esco fuori, faccio non più di dieci metri, rientro e gli dico. “Mi faccio prete”. E non me ne sono mai pentito. Io ho 88 anni, ed ho sempre pensato a questa terza cosa. Dicevo, per ritornare all’incontro con i miei amici, “che grazia abbiamo avuto che ha vinto Berlusconì e perso gli altri, una grazia grossa”. Avessero vinto gli altri avremmo detto: “vediamo che cosa fanno”. Adesso dobbiamo rimboccarci le maniche, è ora di ripartire.
Io ho fatto un corso di esercizi con don Mazzolari: mi ha sconvolto la mente. Eravamo nel 1950 e don Primo era venuto a Crea a farci un corso di esercizi a noi che cominciavamo un certo modo di vita strano. Quell’uomo mi ha aperto, mi ha tolto i miei timori ed ho capito che aveva ragione. Mi ballavano dentro delle cose a cui non sapevo dare un titolo e lui mi ha aiutato. È stata la mia prima gioia, perché dopo ho conosciuto un sacco di gente, da padre Loew a don Milani.
Amici, voi come me, avete il carbone acceso tra le mani, niente ci può far paura, vince Berlusconi o no, perdono gli altri, non dobbiamo aver paura. Abbiamo un grande messaggio, dobbiamo puntare in alto. Sogno le montagne anche se ho la ghiaia sotto i piedi, continuo a sognare le montagne e l’immensità del mare, ma credo a questo grandioso stile e messaggio di vita.
Il commento di Annalisa Giovani
Era un uomo piccolino Don Gino, con una lunga barba, sembrava uno gnomo. Viveva in una cascina nel Monferrato, al mattino si alzava e faceva yoga salutando il sole, era sempre sorridente. La sua cascina era luogo di ritrovo fra persone diverse che venivano da tutta Italia, frequentato dai preti vicini ai movimenti operai piemontesi e non solo. Anch’io capitai in quella cascina nell’agosto del 1996. Fu una esperienza fuori dal tempo e dallo spazio. Giorni intensi a parlare, confrontarsi, a giocare per entrare in contatto con le diversità che ciascuno di noi rappresentava, a cantare tutta la notte.
Parlavamo di commercio equo-solidale, di squilibri nord-sud del mondo, di tutela dei beni comuni, di altri modelli di sviluppo possibile quando ancora la crisi non c’era. Poi nel tardo pomeriggio si teneva la messa per chi voleva, mentre gli altri preparavano la cena o semplicemente rimanevano ad ascoltare.
Lì ho conosciuto molte persone, qualcuna ancora fa parte della mia vita… e Don Gino, anche se da allora non l’ho più visto, è una persona che non ho mai dimenticato.
mi ricordo di don Gino Piccio, la sua singolare abitudine di farci riflettere anche quando ci trovavamo a tavola. Anzi, spesso la pucia e la bagna cauda, che lui stesso preparava, erano un pretesto per farci riunire attorno alla tavola, che per l’occasione diventava luogo di meditazione, più che di alimentazione. Era il 1992, e il tema degli incontri di quell’anno, erano le Agenzie Educative. Per me, allora neofita in esperienze comunitarie, fu tutto strano e anche un po’ fonte di apprensione; ma l’accoglienza che don Gino mi riservò, come se fossimo stati vecchi amici, mi mise subito a mio agio, facendomi entrare nell’atmosfera della cascina. Oggi ancora quando ripenso alla sua immagine, accanto a quella di Carlo, Edvige, Giuseppe, in me si ravviva il ricordo di una persona cara: Cara, perchè non mi ha dato solo una visione diversa del mondo a cui ero abituato, ma anche gli strumenti per rifletterci sopra e per capire il valore del cammino che ogni persona è chiamata a vivere in questo mondo!
Grazie don Gino
Claudio Zanusso
Amo ricordare alcuni episodi:
Una volta lo trovai a discutere di rivoluzione con un gruppo di rivoluzionari salvadoregni
Un’altra volta scoprì che a pranzo con lui vi era Frei Betto ex vicepresidente del brasile.
Restano immortali frasi come:
Cosa ne penso della Chiesa? Sono un cattolico ed un uomo di Dio. Se la propria madre talvolta si comporta da puttana resta pur sempre la propria madre.
Sullo stesso solco si dice, ma io non ero presente, che abbia insultato la madre od il padre di un ragazzo che aveva bestemmiato per dirgli che lui di fronte alla bestemmia si offendeva in quanto figlio di Dio
È nota una sua condanna penale per essersi rifiutato di giurare sulla bibbia perché esiste un solo sì ed un solo no durante un processo dovuto al fatto che rivoluzionari armati comunisti con cui lui dialogava avevano seppellito delle armi nelle pertinenza di casa sua, a sua insaputa.
Soffriva fin da piccolo di problemi polmonari ma l’amianto di Casale complicó la cosa.
Negli ultimi decenni della sua vita sopravvisse con 3/4 di polmone.
Fu attivo nel coscientizzare alla cooperazione ed anche a metterci il lavoro manuale nei terremoti del Friuli e dell’irpinia.
Chi lo ha conosciuto metta nei commenti un ricordo per il più solido degli uomini che ho avuto piacere di avere come amico.
Mi ricordo le sue strette di mani con le dita compenetranti.
Sporcheranno la sua memoria banalizzandola ma sono piuttosto convinto che verrà fatto santo, quando si sarà arginata la sua carica rivoluzionaria.
Sempre nel mio cuore Gino