Il cappello da safari
di Božidar Stanišić (*)
Un écrivain trop préoccupè de l’actualité
est un journaliste, trop préoccupé du passé,
un historien… Choisir…[1]
Jean Balthasar Mallard La Varende
1
I film di Tarzan… Erano proibiti anche da voi?
È la seconda volta che la signora di mezza età glielo chiede. Una sorsata ha lasciato una traccia di rossetto sull’orlo del bicchiere di vino. Rosa trasparente, assomiglia anch’essa a un punto interrogativo. Lui strizza gli occhi miopi e tace, lei attende una risposta. Da voi: lei pensa al comunismo, lui a un tempo-laggiù. Ma lo sa la sua casuale interlocutrice che ci sono giorni – e notti, certo – in cui le partenze per un tempo-laggiù sono lievi come il volo del veliero delle fiabe? Quando un tempo-laggiù significava anche un fiume, e voci, e volti di amici. Anche di quelli che non ci sono, ma che, tuttavia, in sogno e talvolta anche nella veglia, appaiono da luoghi da dove nessuno è tornato. Dicono, sommessi ma chiari: un tempo-laggiù c’erano anche amore, e gioventù, e sogni. Ci sono, perché negarlo, anche amici vivi e vegeti, ma è come se non ci fossero. Questa è un’altra storia, che viene dalla Storia con la maiuscola. Ne incolpa forse la sua interlocutrice o quegli interrogativi sull’orlo del bicchiere? Lo sanno loro che ci sono anche giorni – e notti, certo – in cui con passo pesante come il piombo lui si fa strada attraverso il fango greve e untuoso di un tempo passato perfetto: guerra, esilio, non ritorno? Come inserire quel un tempo-laggiù nella domanda sulla censura durante il comunismo? Ah, non è lui l’autore di quei libri di racconti? Gli scrittori dovrebbero saperne più degli altri.
Lui tace anche a queste parole della signora con il bicchiere di vino. Non strizza più gli occhi, li sente irrigiditi come vetro. Perché sono qui? Avrebbe tanto voluto gridarlo anche qualche istante fa, e non solo in questo crepuscolo di maggio a Trieste, in questa sala dove impercettibile ronza un condizionatore e due teneri banali angeli affrescati sul soffitto tendono le manine verso l’alto. Tutto è come sempre in tali occasioni: ecco, due critici hanno appena detto la loro sul libro della poetessa T.. Uno dei due, reputato un grande conoscitore della poesia, faceva lunghe pause e, sorseggiando acqua, guardava verso il pubblico. E anche l’attrice con le spalle nude, concluso il suo lavoro, si è inchinata. Ecco, ora la poetessa si avvia graziosamente, sorridendo a tutti. Solleva una palpebra e sbircia con un occhio mentre firma i libri. Con la punta delle dita, leggera, sfiora spesso il braccio dei presenti e con voce di soprano dice a ciascuno la sua gratitudine per aver abbellito, con la sua presenza, l’evento. Sì, il suo libro è minuscolo e sottile. Ma, che si sappia, ci ha messo il cuore. Che batte già da più di cinquant’anni. Un tempo enorme, certo. Alcune signore attorno a lei annuiscono, come bambole. T., che si ricorda di lui per certi altri eventi, dice di essere tanto-tanto contenta perché anche lui è qui. Un amico in più, un cuore in più. (Lui conosce in realtà solo suo marito, ma per altre circostanze, in cui si guadagna il pane quotidiano.) Ha sentito le sue parole sul cuore e l’amicizia? Certo! Che ne pensa? Splendide, dice lui provando uno strano piacere alla bugia appena espressa. Pensa ai compromessi, suoi e altrui. (Ha visto, poco fa, un noto scrittore.) Gli sembra, a un tratto, di sentire l’eco dei propri passi su una lunga scalinata. Sali verso l’alto e non sai che in realtà stai scendendo verso una cantina buia e soffocante. Ora si sentirà lo schiocco del chiavistello della porta pesante? Neppure questo è importante, basta pensare che non sei dentro. Chi parla?
Dato che lui pensa così bene del cuore e dell’amicizia, ora lei gli dona i suoi libri. Con una dedica: La poesia salverà il mondo. Sì, qualcuno lo ha già detto, ma non importa, perché lo pensa anche lei. Lui non si chiede solo quando la poesia salverà il mondo, ma anche perché prima osservasse la poetessa sfiorare quelle braccia, ossute, pingui, muscolose, snelle. Ognuno di quei tocchi esprime il muto desiderio di una vicinanza, qualsiasi? Lo scuote la voce di lei – gli faccia sapere quanto prima che pensa della sua poesia. Poi lo lascia vicino alla signora con il bicchiere di vino rosso, che lui non ricorda, ma che sostiene di conoscerlo. Ha letto, dice, certi suoi racconti. Poi segue quella domanda sui film di Tarzan. Sì, gli ha parlato anche prima, qualche frase, sulla badante di sua madre, che è… Polacca o slovacca? Forse ucraina? Dio, com’è complicato il cognome di quella donna attempata! Che una volta le ha detto della censura, nel comunismo. La signora con il bicchiere ne è rimasta allibita: neppure Tarzan, il re della giungla, era gradito nei cinema comunisti! Lui non ne sapeva niente? È vero o no? Così Tarzan nel comunismo che non c’è più si è trasformato in un rebus. Risolvibile solo con un sì o un no? Nel suo paese, quell’ex cuscinetto fra le potenze dell’Est e dell’Ovest, i film di Tarzan non erano censurati. Questo vorrebbe dirle, e anche che trova interessante che oggi, in Italia e non solo, sia bello parlare del comunismo che non c’è, cosa certo più facile che dibattere dove stia avanzando, direbbe quel regista inglese, il mondo migliore. Ma la signora con il bicchiere, sfiorandogli la spalla, lo invita a uscire in terrazza, dalla quale si apre la vista sul Golfo. Ah, come è bello fuori, dove non è così caldo e soffocante! Lei attribuirebbe il Nobel all’inventore del condizionatore. Lui che ne pensa? Guardi, dice senza attendere una risposta sul premio all’inventore, come è ondeggiante e increspata la superficie del mare nella luce del tramonto. È poesia pura! Ma lui deve sapere che dalla sua villa sopra Barcola si stende una vista ancora più bella. Quante volte ha pensato di prendere penna e inchiostro e non un computer, e scrivere qualcosa! Di poetico, certamente. Proprio una bella idea, dice lui, e aggiunge, come en passant, che basta iniziare. Scrivere? No, non è così facile come pensa lui. Il suo caso è diverso, lui ha già libri pubblicati. Poi gli racconta che, da bambina, è stata con i genitori a un safari in Africa. Che strano vedere dal vivo tutti quegli animali esotici! Si era ricordata allora dei film di Tarzan, di cui, fin da piccola, era appassionata. Là, in Africa, suo padre le aveva comprato quel cappello da safari, che, anche in quei film, portano i bianchi. Lui ha mai visto dal vero un cappello così? Sì, quel cappello l’ha visto, dal vero. In Africa? No, dice lui, in Bosnia. In Bosnia! Ah, glielo può raccontare?. Ecco, ora lei è un orecchio curioso. L’intero racconto, dice lui, è molto lungo. Ma, almeno due o tre parole? No, lei deve scusarlo. È ora di partire, verso il suo paese, in Friuli. Non è più giovane, guidare di sera non gli piace.
2
Giugno, mezzogiorno. A un semplice tavolo di legno, all’ombra di una vite americana, sono seduti un ragazzo e suo padre. Sul tavolo ci sono dei disegni del ragazzo e due giornali, Politika e Oslobodjenje. Sulla prima pagina di entrambi i quotidiani la stessa foto di una giovane donna in divisa d’astronauta. Il suo viso nel vetro dello scafandro è sorridente, ha una mano sollevata. Manda un saluto anche sul disegno del ragazzo (nel quale è con l’altra mano appoggiata all’alta scaletta di accesso alla navicella).
Saluta anche noi? Sì, dice il padre, anche noi.
La lingua del ragazzo si imbroglia pronunciando il cognome dell’astronauta. Il suo nome è più facile. Valentina. Con la navicella spaziale lei girerà diverse volte attorno alla Terra. La navicella si vedrà, di notte, mentre vola lassù, in alto in alto?
In quella si apre il portone del cortile. Per primo entra un uomo anziano, calvo, che dà cordialmente la mano al padre del ragazzo. È seguito da un uomo più giovane, alto, con folti capelli neri, il viso abbronzato, vestito tutto di bianco: scarpe, camicia, giacca, pantaloni; dietro a lui saltella un bambino. È vestito in modo buffo, e il ragazzo non riesce a trattenere una risata, interrotta di colpo dal rimprovero di suo padre all’ospite più giovane, che veste un’uniforme color kaki con pantaloni corti e un cappello strano che il ragazzo non ha mai visto, allungato e senza tesa.
No, questo non si fa! Il padre prende dalla mano del bambino il machete di legno con il quale è già riuscito a tagliare alcune rose, mentre si dirige verso i tulipani.
Miško voleva solo giocare, dice il padre del piccolo, accendendo placido un grosso sigaro marrone, un genere che il ragazzo non ha mai visto prima in Bosnia.
Si siedono al tavolo. Anche il ragazzo e Miško. Questi fa il muso, agita nervoso le gambe. È seccato perché non ha in mano la sua arma. Dice al ragazzo che i suoi disegni sono brutti, la donna assomiglia a una scimmia. Il ragazzo, offeso, tace. Poi, mangiando le susine sciroppate che la madre del ragazzo ha offerto anche gli adulti assieme al caffé, entrambi ascoltano i discorsi dei più anziani.
Non mi chiedi qual buon vento ci ha portati da te, nel nostro viaggio da Belgrado a Mostar? Il padre è un po’ stupito dalla domanda dell’amico. Dicano pure, qual buon vento?
Ecco, questo suo figlio, ingegnere, è appena tornato da un Paese africano. Il compagno Tito è un grande amico di molti capi di stato africani, là le nostre imprese costruiscono grandi strade, centrali elettriche, elettrodotti. Suo figlio rimarrà là per un certo tempo. Non è un lavoro facile, ma la paga è buona. E talvolta lo vanno a trovare la moglie e il figlio.
A questo punto Miško si mette a strillare. Vuole il suo machete. Dà calci alle gambe del tavolo. (In quel momento il ragazzo si accorge che le sue scarpe sono bianche, di vernice). Gli adulti fingono di non sentirlo. Miško dice al ragazzo che è un vigliacco. Non è vero! Sì, se tu non fossi un vigliacco mi porteresti il mio machete! No, dice il ragazzo a voce alta, non ti porterò il tuo stupido machete! Miško lo guarda di traverso. Stupido sarai tu! Anche tu, dice il ragazzo, uccidi i fiori!
Bambini! La voce della mamma è severa, ma non ha alcun effetto.
Dici a me che sono stupido, strilla Miško, a me? Tu, se non fossi stupido, saresti stato qualche volta in Africa. Là avresti visto le belve feroci! Anch’io le ho viste, grida il ragazzo, sì che le ho viste! Dove, stupido? Sulle figure, dice il ragazzo pensando al libro illustrato In visita dalle scimmie. Ma io ho visto anche leoni, ed elefanti, e rinoceronti, e zebre… Ma un leone, te, ti avrebbe subito mangiato. Tanto sei stupido! Non sai neppure che cos’è un safari. Se lo sapessi, avresti anche tu un cappello così! Sapresti anche parlare inglese, e…
Miško! Anche la voce di suo nonno è severa.
Il ragazzo, agitato per le offese a cui non è abituato, vorrebbe dire qualcosa a Miško, che non bada neppure agli ammonimenti del nonno. Ma ha un nodo in gola che non gli permette di far uscire la voce.
No, tu non hai mai neppure dato un calcio al sedere di un negro!
Miško!
Attorno al tavolo – silenzio. Ecco, tossicchia il padre di Miško, spiegherà lui tutto. In quel Paese africano, in un ristorante i camerieri neri erano troppo lenti. Hm, forse aveva bevuto un bicchierino di troppo quando ha detto a Miško di alzarsi e chiamare di nuovo il cameriere. Suo figlio si è alzato, in quel momento un cameriere si è chinato e… Il piccolo gli ha dato un calcio nel sedere.
E tu e la mamma siete scoppiati a ridere, grida Miško. E smettila di girarla come ti pare! Sei stato tu a dirmi di colpirlo. E mi hai pure detto che rientrava nel prezzo del pranzo. Non ti ricordi?
Attorno al tavolo di nuovo silenzio. Lo sguardo del nonno di Miško vaga sul fogliame della vite. Ah, esclama il padre di Miško, i figli di oggi. Diamo loro tutto, ed ecco la ricompensa. Poi, riaccendendo il sigaro spento, attraverso una boccata di fumo guarda l’orologio. Devono dire perché sono venuti, lui lo spiegherà meglio di suo padre. In breve, in Bosnia ci sono ancora oggetti antichi, fra i quali, di sicuro, anche icone. Se in questa casa ci sono delle icone…
In quel momento alla compagnia attorno al tavolo si unisce anche la nonna. Anche lei conosce il nonno di Miško, che le bacia la mano. L’anziana signora ricorda anche quando è nato, e in quale casa. Chiede subito qual buon vento li ha condotti lì.
Cara nonna, così e così, spiega il padre di Miško. E aggiunge che pagherà bene qualsiasi icona antica potrà trovare. In America e in Canada vanno come il pane.
Icone, antiche? America, pane? L’indice della nonna si muove nell’aria come un pendolo che suona il suo no-no. Fa lo stesso con la testa, e da sotto il suo fazzoletto sfuggono ciocche grigie. Icone? Chi le ha? Noi non lo sappiamo, non è così? Il padre del ragazzo ripete dietro a lei, a voce alta, che è così. La vecchietta nasconde pian piano le ciocche grigie sotto il fazzoletto, e tace.
E molti anni dopo, lontano dal paese natio, ci saranno momenti nei quali il ragazzo di allora rivivrà la scena di quel pomeriggio estivo: al commiato l’anziana signora non porge la mano a nessuno degli ospiti; il padre, restituito a Miško il suo machete, saluta solo il suo compagno d’infanzia.
Senza accettare la mano del figlio.
Quella mano, nella scena, rimane sospesa in aria, abbronzata dal sole. Poi, esegue alcuni movimenti incerti, convulsi, e finisce con un fazzoletto bianco sulla fronte sudata del padre di Miško. In quella giornata d’estate la madre del ragazzo non invitò gli ospiti a rimanere a pranzo. CODICE: SAFARI
[1] Uno scrittore troppo in ansia per ciò che accade nel mondo, è un giornalista, uno troppo in ansia per ciò che è accaduto, è uno storico… A voi la scelta…
(*) Ripreso dal numero 54 della rivista Sagarana ( www.sagarana.net) segnalata qui in blog il 15 gennaio. Per iscriversi alla Lista di discussione e di aggiornamento delle iniziative (di Sagarana e altre selezionate dalla rivista) basta andare sulla Homepage della rivista, poi cliccare su Newsgroup e scrivere nell’apposita casella l’indirizzo e-mail.
NOTA SU BOZIDAR STANISIC
In Italia , accanto a numerosi contributi in riviste e quotidiani, ha pubblicato “I buchi neri di Sarajevo” (MGS Press, Trieste, 1993, con prefazione di Paolo Rumiz); un racconto di questo libro è stato inserito anche nel “Dizionario di un Paese che scompare“, a cura di Nicole Janigro, Roma 1994 ; ha pubblicato tre raccolte poetiche, “Primavera a Zugliano” (1994), “Non-poesie” (1996) e “Metamorfosi di finestre“(1998) e un libro di prosa intitolato “Tre racconti” (2002), tutte opere pubblicate dall’Associazione “Ernesto Balducci” di Zugliano, alla quale Stanisic offre una collaborazione costante e proficua. “Bon Voyage“, libro di narrativa, è pubblicato nel 2003 dalla case editrice Nuova Dimensione di Portogruaro, con la prefazione di Paolo Rumiz. Nel 2006 ha pubblicato “Il sogno di Orlando”, testo teatrale; recentemente ha pubblicato “Il cane alato e altri racconti”, Perosini editore, Verona 2007. È presente con una racconto nella panorama della narrativa bosniaco-erzegovese del Novecento “Racconti dalla Bosnia”, a cura di G. Scotti, Diabasis edizioni, Reggio Emilia 2006. Nel 2008 ha pubblicato un libro di vecchie e nuove non poesie, La chiave in mano/Kljuc na dlanu, edizione bilingue, Campanotto editore, Udine. Diverse prose e poesie sono sparse in numerose antologie italiane e straniere, fra cui in “Ai confini del verso” Le Lettere, Firenze, a cura di Mia Lecomte, pubblicata anche in inglese (“A New Map: The Poetry of Migrant Writers in Italy”, New York 2011) e in “L’italiano degli altri” a cura di Dante Marianacci e Renato Minore, Newton Compton Editori, Roma 2010. Recentemente ha pubblicato il libro dei racconti «Piccolo, rosso», Cosmo Iannone editore, Isernia 2012 (che è stato recensito qui in blog)