Recensione a «Ender’s Game»
di Roberto Chiavini
Attorno alla fine del XXI secolo, dopo essere stata quasi annientata da un’invasione da parte della razza aliena dei Formic, la razza umana si prepara a contrattaccare e, fedele al motto latino «si vis pacem para bellum», ufficiali senza scrupoli cercano di scovare fin dalla fanciullezza i possibili leader delle future flotte stellari, incaricati di portare la distruzione nel mondo di origine degli alieni. Per far questo, fin dalla più tenera età, molti bambini sono portati alla «Scuola di combattimento» dove attraverso una dura disciplina militare ma anche giochi virtuali (dedicati allo sviluppo delle loro capacità logiche e di comando) si costruiscono guerrieri capaci di combattere non solo nei wargames cibernetici cui si sottopongono, ma anche nella realtà. Andrew “Ender” Wiggin è il più talentuoso di questi Napoleone in erba: un ragazzino sulla soglia dell’adolescenza, che in breve tempo arriverà a tenere nelle sue mani – o meglio nella sua capacità strategica – il destino della razza umana e anche di quella aliena (molto meno malvagia di quanto si pensasse all’inizio). Tratto dal romanzo omonimo del controverso Orson Scott Card (scrittore mormone, che permea del suo credo oltranzista buona parte delle opere, con buona pace delle vittorie dei diritti umani del XXI secolo) e vincitore sia del premio Hugo che del premio Nebula è il primo di 13 romanzi che condividono la stessa ambientazione (derivato da un eccellente racconto lungo del 1977). Il film di Hood soffre d’eccesso di sintesi rispetto all’eccellente opera letteraria da cui deriva. Abbastanza fedele al testo, la pellicola ne prende però soltanto gli spunti, tralasciando buona parte del background che ne costituiva una parte essenziale, e li aggiunge uno dopo l’altro fino a ottenere una trama “grouviere” che pur lasciando soddisfatto lo spettatore medio (il quale probabilmente non si aspettava molto di più da una pellicola “per ragazzi” – cosa che il romanzo certo non è) scontenta e non di poco i conoscitori della saga letteraria. Questi ultimi infatti hanno l’impressione di assistere a una miscela schizoide di «Full Metal Jacket» (o di «Ufficiale e gentiluomo»), «Giochi stellari» e «Wargames» con un pizzico del “buonismo” pangalattico di «Il mio nemico»: un sempre più attempato Harrison Ford nel ruolo di supervisore fintamente severo (d’altra parte il rogue per eccellenza del cinema di fantascienza di ogni tempo, ovvero Han Solo, non può essere anche un ufficiale tutto d’un pezzo da «Codice d’onore») e un Butterfield troppo spilungone e troppo adulto per il ruolo del giovanissimo protagonista aggiungono elementi di critica a un film che, in fondo, sarebbe perfino godibile se visto con gli occhi ingenui della fanciullezza. Belle, ma alla lunga tediose, le scene dei combattimenti di addestramento, così come “il gioco nel gioco” per tirar fuori il peggio dall’angelico ragazzino, che i militari secondo l’antico motto gladiatorio «mors tua vita mea» vogliono trasformare nel loro strumento di vendetta, artefice del genocidio dell’intera razza nemica.
«ENDER’S GAME»
(Usa 2013, 114 minuti, colore)
Regia di Gavin Hood
Sceneggiatura di Gavin Hood dal romanzo di Orson Scott Card «Ender’s Game», 1985 («Il gioco di Ender», Editrice Nord, 1987).
Con Harrison Ford, Asa Butterfield, Ben Kingsley, Abigail Breslin, Viola Davis, Moises Arias.
Grandissimo libro “Il gioco di Ender”. Peccato che l’autore non voli sempre a quelle altezze. Rattrista poi che nella fantascienza (letteratura del futuro) girino ancora tanti integralisti religiosi e omofobi.