L’uomo del balcone
Un racconto di Christiana de Caldas Brito (*)
Gentile Signora
è da molto che la osservo. Abito nella palazzina 7, accanto a quella dove sta lei. Sono mesi ormai che mi metto al balcone a contemplare la sua bellezza e la calma eleganza dei suoi gesti. Devo confessarle che mi ha conquistato la delicatezza con cui lei accetta la mia corte.
Signora, da piccolo, nell’ultimo viaggio con mia madre – sono rimasto orfano a undici anni – ero stato in Germania, sul lago di Costanza. Mi vidi totalmente calamitato dalla forza serena di quel lago, placido e altero, come lei, gentile Signora.
Le scrivo perché non posso più trattenere il mio sentimento. Mi perdonerà se lo dico con parole consunte ma sono innamorato di lei.
So che è sposata. Tutte le sere, vedo suo marito entrare nella portineria della palazzina 5. La governante gli apre la porta di casa. Le trasparenti tende mi permettono di seguirlo con lo sguardo quando poggia la cartella su una sedia e immediatamente si dirige al balcone in cui si trova lei.
Oh, beato chi vive accanto a lei, mia gentile Signora. Io, invece, sono da lei separato da un abisso, un abisso d’aria tra i nostri balconi.
Nel momento in cui suo marito entra in casa, spengo la luce per non essere visto. Rimango doppiamente al buio quando lui la porta via dal balcone.
Non so il suo nome. Avrei potuto chiederlo al suo portiere, ma non ho voluto creare alcun imbarazzo a lei, Signora.
Per varie volte l’ho aspettata in strada, ma lei probabilmente esce nell’orario in cui io sono al lavoro. Non mi è ancora toccata la grazia di vederla da vicino, di rivolgerle la parola. In futuro, se riusciremo a superare l’abisso d’aria e mi sarà concessa la gioia di averla accanto a me, sono sicuro che i miei occhi non sapranno esprimere il loro ringraziamento. Non le diranno più di quanto non abbiano già detto nel silenzio dei nostri balconi.
La sua governante ogni tanto esce. L’aspetterò davanti alla vostra palazzina e le chiederò di portarle questa lettera.
Gentile Signora, nel caso il suo sentimento non dovesse corrispondere al mio, le prometto che abbandonerò il balcone. Ma se in questi mesi fosse in lei cresciuto lo stesso affetto che trabocca dal mio essere, Signora mia, le chiederò un appuntamento.
Grande è stata la sua saggezza nel mantenermi imprigionato alla speranza di una sua parola, di un suo sorriso. Sono stato conquistato dall’eloquenza dei suoi occhi.
Le racconterò tutto di me se accetterà la proposta di un nostro incontro. Le chiedo di essere gentile con la mia audacia.
Per adesso mi lasci semplicemente essere
l’uomo del balcone
***
Gentile Signore
Qualche giorno fa, lei si è rivolto a me per strada. Mi chiese se io fossi la governante di una delle famiglie della palazzina 5. Le risposi di non essere la persona da lei cercata.
La cosa sarebbe stata di poca importanza, se lei, due giorni dopo, non si fosse presentato al portiere per chiedergli di consegnare una lettera alla giovane signora il cui balcone si trova davanti al suo.
Gentile Signore, la sua lettera, per ovvie ragioni, è stata consegnata a me. Era l’unica cosa che il portiere poteva fare. Quanto a me, ho rotto il sigillo, l’ho letta.
Questa è la prima e l’ultima risposta che lei avrà dall’interno 2 della palazzina 5.
Signore, io non lavoro come governante nell’interno 2, ma sono la proprietaria della casa. La giovane donna, che lei dichiara di amare, è mia figlia.
Io, rimasta vedova molto presto, mi dedicai totalmente ai miei due figli. Da quando mi avevano messo in braccio un fagottino accompagnato dalle parole «È una bambina», vivo in funzione di quella bambina. Mio figlio, l’unico a poter testimoniare la mia totale devozione, dice che sua sorella è la mia bambola. E se così fosse, gentile Signore? Non ho per caso il diritto di giocare con mia figlia? La pettino, la trucco, la vesto. E soprattutto prendo per lei le decisioni che ritengo giuste.
Le posso garantire che sarò l’unica a leggere la sua lettera. Per mia figlia lei non esiste né mai esisterà.
Gentile Signore, diriga pure i suoi occhi ad altri balconi, D’ora in poi, non vedrà più la mia bambina seduta davanti a lei. La metterò dall’altra parte della casa, nel balcone che guarda a nord.
La pregherei di non insistere o sarò costretta a denunciarla.
Gentile Signore, mia figlia, la giovane donna i cui occhi sono per lei così eloquenti, è nata cieca. Sono ormai diciannove anni che vive nel più assoluto buio.
La saluto, gentile Signore.
La proprietaria dell’interno 2, palazzina 5.
(*) Qui in blog troverete altri racconti di Christiana de Caldas Brito e recensioni ai suoi bellissimi libri. L’immagine rimanda alla copertina di «Viviscrivi: verso il tuo racconto», pubblicato da Eks&Tra (è qui: http://www.eksetra.net/). Ecco come si presenta: «Passo dopo passo, questo libro è una divertente camminata verso il tuo racconto. Come diceva il poeta spagnolo Antonio Machado non esiste una strada già preparata che devi scoprire; sono i tuoi passi che a poco a poco creano la tua strada. Molte volte, però, anche se vuoi camminare, non osi fare il primo passo, ti spaventano le critiche, hai paura di sbagliare, non vuoi rischiare. In una visione socratica, Viviscrivi ti mostrerà che i tuoi racconti sono già dentro di te. Basta prenderne coscienza e usare degli accorgimenti per tirarli fuori».
Splendida storia. La possessivita’ della madre fa venire i brividi, la “cecità” dell’uomo del balcone fa sorridere. Forse dovrei dire l’egocentrismo. Gli uomini si sentono guardati anche quando non lo sono. E le madri si sentono in dovere di prendere decisioni per le figlie, anche quando queste sono adulte.