Passare la linea
di Maria G. Di Rienzo (*)
A maggio sono usciti i risultati di una ricerca sulle relazioni intime/romantiche fra persone giovani e giovanissime in Australia. Lo studio è stato commissionato da «Our Watch», un’organizzazione il cui scopo è rendere il proprio Paese un luogo in cui donne e bambine/i vivono libere/i da ogni forma di violenza e che promuove relazioni rispettose fra donne e uomini e norme sociali nonviolente.
La cosa interessante è in primo luogo questa: «Our Watch» avrebbe potuto condurre la ricerca da sé basandosi sull’esperienza di sostegno alle vittime di violenza e sui propri contatti, ma l’ha invece affidata a Hall & Partners – Open Minds, un gruppo di sociologi, psicologi, esperti di media e mercato e strategie di pianificazione, ecc., che generalmente lavorano per ditte commerciali. A costoro l’organizzazione ha detto più o meno «trovate la linea oltre la quale si fa ricorso alla violenza nelle relazioni fra giovani», perciò il lavoro si chiama «The Line Campaign». I ricercatori hanno intervistato 3000 persone, di cui 2000 fra i 12 e i 24 anni d’età, condotto 49 gruppi di discussione ed effettuato ulteriori interviste approfondite con ragazze/i, genitori, educatori, studiosi.
La seconda cosa interessante sono i “dati chiave” che essi hanno rilevato, a esempio:
– una giovane persona su tre non pensa che esercitare controllo su un’altra persona sia una forma di violenza;
– una giovane persona su quattro non pensa che il molestare o l’insultare le ragazze per strada, da parte dei ragazzi, sia una cosa da prendere seriamente;
– una giovane persona su quattro crede sia del tutto normale, per i ragazzi, esercitare pressioni sulle ragazze per fare sesso;
– una giovane persona su quattro pensa non sia nulla di serio se un ragazzo, di norma gentile, schiaffeggia qualche volta la sua ragazza quando è ubriaco o quando i due stanno litigando;
– più di un quarto dei giovani pensano sia importante per gli uomini essere “duri” e “forti”;
– il 16% dei giovani pensano che le donne dovrebbero “saper stare al loro posto”.
Inoltre: «Gli stereotipi di genere hanno un impatto significativamente negativo sulle aspettative e i comportamenti dei giovani quando si arriva alle relazioni intime. I giovani sono lasciati nel “vuoto”, a cercare informazioni e guida che genitori e insegnanti non sembrano fornire. Ciò dà ai giovani poche opportunità di imparare a capire e negoziare relazioni d’eguaglianza, sicure e rispettose. Perciò prendono le loro informazioni da altre fonti: i loro “eroi”, la rappresentazione delle donne sui media, la pornografia e la cultura popolare ispirata dal porno. I social media giocano in questo un ruolo centrale: le azioni sono svolte pubblicamente e comportamenti ritenuti inaccettabili offline diventano facilissimi da eseguire online. (…) E’ incoraggiante notare che vi è un consenso generalizzato, fra i giovani, sull’inaccettabilità di comportamenti che “attraversando la linea” spaventano, umiliano o minacciano ragazze e donne, ma la ricerca mostra tuttavia che vi è un gruppo di giovani uomini inclini a giustificare e potenzialmente a perpetuare violenza contro ragazze e donne nel futuro».
Per capirci: i comportamenti che attraversano la linea sono sbagliati, ma molti di questi comportamenti (vedi percentuali sopra) non sono percepiti come oltre la linea, ma come normali. Come vi ho detto, Hall & Partners – Open Minds non ha nulla a che fare con il femminismo o il movimento nonviolento o l’attivismo antiviolenza, perciò verso il finale dell’introduzione ci ricorda che:
«I messaggi sulla violenza nelle relazioni tendono ad avere una voce femminile, articolata e diretta da donne. Ci sono un certo numero di conseguenze negative in questo e come strategia dovrebbe essere riconsiderata. I giovani uomini hanno bisogno di sentire la prospettiva maschile perché la questione diventi rivelante per loro e perché possano essere capaci di cambiare il loro modo di pensare».
Che il coinvolgimento degli uomini nella lotta contro la violenza (di genere e non) sia importantissimo non c’è dubbio. Se un po’ più di uomini pubblicamente impegnati sulla questione diventano modelli e ispirazioni per i più giovani è solo una benedizione. Ma il suggerimento fa piangere – se ancora riuscissi a piangere invece di incavolarmi: sta dicendo che le donne dovrebbero starsene un po’ più zitte; come se parlare di violenza e agire contro la violenza fosse per noi così facile e naturale o persino divertente, perché la nostra voce femminile rende irrilevante al comprendonio maschile qualsiasi cosa noi si dica.
Chi è che parla, una femmina? E chi se ne frega di quel che dice. Anche se ha studiato la questione per cinquant’anni. Anche se ha un cumulo di attestati, lauree, pubblicazioni scientifiche con cui potrebbe seppellire l’intero staff Hall & Partners – Open Minds. Anche se la sua esperienza diretta, di vita vissuta, non può essere sostituita, normata, dismessa, silenziata dalle parole di qualsiasi altra persona, uomo o donna, nè essere validata solo se a sostenerla sono le parole di un uomo.
Ora, se avete scoperto l’acqua calda e cioè che i giovani uomini non danno valore a ciò che le donne dicono, dovreste anche aver capito che ciò è collegato a una mancanza di rispetto per le stesse, e che la mancanza di rispetto è collegata alla mancanza di valore e di legittimazione. E’ su questo che avreste dovuto dare suggerimenti “strategici”, ma probabilmente avete annusato che ciò andava a toccare quelle stesse strutture che vi tengono in piedi come gruppo di professionisti e persino come singole persone.
Per noi donne aprire bocca sulla violenza che ci investe non è una strategia di mercato, cari sociologi pianificatori esperti ecc., ma una strategia di sopravvivenza e contrasto. Noi non siamo un segmento di consumatrici, rispetto alla violenza, siamo quelle che ne vengono consumate. Consigliarci di tacere sulla violenza equivale a consigliarci di morirne: ciò passa di gran lunga la linea, e ve lo potete scordare.
(*) ripreso dal bellissimo blog «Lunanuvola»