La tristezza esibita, quel che «Repubblica» non sa
di Marco Piras
Questo su Repubblica del 25 agosto.«Lo scorso giugno la fotografa americana Allison Joyce ha assistito al matrimonio di Nasoin Akhter, 15 anni, e Mohammad Hasamur Rahman, 32, a Manikgani nel Bangladesh. “La sposa più triste che abbia mai visto”, ha commentato Joyce sul suo account Instagram».
Seguono 20 fotografie della sposa triste. Qui non voglio discutere sulle spose bambine, perché la cosa merita più attenzione e conoscenza di quanto possa averne io (salvo il buon senso e la coscienza che mi spingono comunque a condannare la pratica).
Quello che mi dà fastidio è la “poltroneria rincivilita”, direbbe all’incirca il Manzoni, di chi dovrebbe essere un professionista, come la fotografa citata e di chi -«La Repubblica» – si presta a certe mistificazioni.
Molto in breve, la tristezza della sposa, il suo pianto in certe culture (si vada a vedere un matrimonio di certi gruppi Rom, guarda caso, originari dell’India) è rituale. Dunque, che la sposa abbia realmente la morte nel cuore o che sia sul più alto dei cieli, apparrà per tutta la cerimonia sempre triste, affranta, perfino quasi incapace di camminare e sorretta da amiche e parenti. Quella sposa va a un’altra vita, va in un’altra famiglia e abbandona il padre e la madre. La tristezza deve essere esibita, altrimenti non sei una buona sposa, non sei una donna da apprezzarsi. Il matrimonio non può prescindere da questo.
Tutto qui. Quello che riguarda le spose bambine non c’entra un bel nulla. Anche una sposa quarantenne mostrerebbe la stessa tristezza rituale. A mettere insieme le cose a casaccio e ignorantemente non si aiuta nessuna causa, soprattutto non si dà una mano a capire. È una sorta di deviazione e di sciocca strumentalizzazione (se fatto coscientemente) o segno di ignoranza e poca accuratezza professionale, della fotografa e del giornale.