Ricordo di Fatima Chammchamm
Immigrata per FEMMINISMO da Foum Zguid (Marocco ) a Bologna
Un testo delle amiche di Annassim e una scheda
Salam سلام Ciao Fatima
Quando un’amica se ne va…non ci lascia né sole né indifferenti.
Fatima era una “extracomunitaria” fuggita dalla povertà e dall’isolamento di un piccolo villaggio fra le zone desertiche del Marocco, dove ancora si può morire per il morso di uno scorpione o perdere un braccio andato in cancrena per una lieve ferita non curata.
Fatima in Italia cercava lavoro ma anche un luogo “libero” dove potere studiare, conoscere altre donne, capire il valore della democrazia, poter affermare le sue idee, rispettare, riconoscere, essere rispettata e riconosciuta. Assieme ad altre donne.
E’ stata un esempio di perfetta integrazione, nel senso profondo di convivenza nel reciproco rispetto delle persone e delle regole, senza mai rinunciare alla sua identità, alle sue radici, alla cultura del Paese di provenienza.
E’ stata apprezzata e stimata nelle scuole, nei corsi di formazione, nei gruppi teatrali, nei luoghi di lavoro che ha frequentato a Bologna, entusiasmando tutti con la sua solarità, allegria, disponibilità, saggezza.
A noi ha insegnato molto: a non scoraggiarsi mai di fronte alle difficoltà, a saper attendere, la cura delle persone, le pratiche di medicina naturale e poi a fare patti chiari, scrivendo anche una specie di contratto con l’uomo che si intende sposare, pretendere sempre che lui sia GENTILE e non tradisca il contratto sottoscritto.
La sua ricerca dell’uomo gentile CI FACEVA SORRIDERE, ma probabilmente è un retaggio dei poeti arabi andalusi del 200 la cui poetica poi si è diffusa anche in Italia.
Gentile era lei, gentile il marito e gentile il suo bambino di un anno.
Gentilmente noi la vogliamo ricordare, anche mettendo in rete il suo intervento nel convegno realizzato presso il centro interculturale M. Zonarelli a Bologna il 28 novembre 2009 «I SAPERI DELLE DONNE – sguardi e cura dei corpi nei cicli vitali», inserito nel volume omonimo pubblicato dalle edizioni Martina.
Fatima ha sofferto tanto, ma la sua vita è di quelle che lasciano un segno, che pesano molto nella bilancia dei valori e dell’impegno umano per il bene soggettivo in quello comune.
Le amiche di Annassim che l’hanno conosciuta ed hanno fatto “pratiche sociali” con lei:
Hend, Mariem, Lella, Maria Rosa, Daniela, Zorha, Olfa, Alessandra, Donatella-Fatima, Giada, Sara, Hajiba, Fousia, Vincenza… e le altre
ANASSIM: donne native e migranti delle due sponde del Mediterraneo
Abbiamo conosciuto Foum Zguid con Fatima, dai suoi racconti e da quelli di Antonella e Rafia dell’associazione «Sopra i ponti», con la quale collaboriamo. Di seguito alcune notizie in merito, che ci ha fornito Antonella Selva, che ci piace diffondere anche come informazione sui progetti mirati di cooperazione internazionali, seguiti dagli stessi migranti che scelgono la migrazione come forma di azione politica e culturale, per il Paese di provenienza e quello che li accoglie
Foum Zguid è un comune della provincia di Tata, nel sud-est del Paese, vicino al confine con l’Algeria, nella regione desertica della catena dell’Anti Atlante; il clima è arido, piogge quasi inesistenti, l’acqua proviene da falde sotterranee e corsi d’acqua a regime torrentizio che un tempo erano secchi per la maggior parte dell’anno oggi sono secchi ormai per interi anni consecutivi, salvo però essere interessati da piene improvvise e distruttive, come è successo nell’inverno 2014-15.
Fino a 20-30 anni fa era il centro amministrativo e commerciale di un’ampia area “oasiana” che però ormai è ridotta al lumicino per la crisi idrica. Oggi il comune, comprendente i numerosi villaggi agricoli disposti ai bordi dell’antica oasi, conta sulla carta circa 13.000 abitanti, molti dei quali però, pur risultando residenti sono in realtà emigrati; la crisi idrica è stata sicuramente innescata dal cambiamento climatico (che, nella situazione di equilibrio delicato e fragile dei sistemi oasiani, è divenuto evidente ben prima che non nelle nostre zone temperate e irrigue) ma è stata poi aggravata e resa drammatica dall’abbandono degli abitanti: l’equilibrio dell’oasi infatti era basato sulla cura dei contadini, che manutenevano le canalizzazioni sotterranee per l’irrigazione (chiamate “khettarat” e in uso in tutte le aree desertiche del mondo, sfruttano il dislivello naturale tra le falde acquifere e le zone a valle da
irrigare) e calibravano sapientemente l’uso dell’acqua (ciascun piccolo contadino poteva usare l’acqua in misura della partecipazione della sua famiglia ai lavori comuni di manutenzione dell’oasi). Con l’esodo migratorio questi equilibri sono saltati; le khettarat si sono insabbiate e nessuno le ha più ripulite; le palme hanno cominciato a seccarsi e in questo modo il terreno diventa sterile per l’eccessiva esposizione all’irraggiamento solare causa mancanza di ombra (nelle oasi la coltivazione è su 3 livelli: le palme, alte, fanno ombra e producono datteri, fibre e combustibile, protetti dall’ombra delle palme crescono gli alberi da frutto, sotto questi si coltivano cereali, spezie e henné; se muoiono le palme anche il resto si perde). Le esigue comunità residue dei villaggi contadini, ormai a prevalenza femminile vivono delle rimesse dei membri emigrati; anche il capoluogo, dove viveva Fatima, vive una drammatica decadenza trovandosi a essere centro non più di un comprensorio agricolo oasiano ma un pugno di villaggi morenti e improduttivi. In queste condizioni di degrado del territorio anche i saperi contadini stanno andando perduti fra le giovani generazioni e aumentano gli speculatori che, utilizzando potenti pompe a motore pompano acqua per irrigare produzioni intensive di primizie (i cocomeri!!!) per i mercati europei, consumando la poca acqua esistente. Questo avviene nel silenzio della popolazione che ormai non ha più consapevolezza della necessità di un equilibrio nei consumi e si limita ad aspettare che lo Stato dia risposte con soluzioni tecnologiche.
Numerosi emigrati dei villaggi di FZ vivono a Bologna, Cento, Castelfranco Emilia e vicino a Firenze; una comunità proveniente da un solo villaggio, Tabia, il più povero e privo di acqua, è concentrata nella bassa modenese, verso Nonantola.
Molti dei nostri soci sono (o meglio erano perché diversi sono rientrati al paese) di FZ e questo ha determinato l’attenzione di «Sopra i ponti» per quella località.
Abbiamo conosciuto Fatima nel gennaio 2008 quando portammo là 2 autobus dell’Atc di Bologna in dono: lei si presentò per chiedere aiuto per sua sorella senza un braccio; poi è stata la mediazione del SOKOS (con Chiara Bodini) che ha permesso l’arrivo delle due sorelle per la protesi, nel novembre 2008.
Successivamente abbiamo realizzato diversi progetti di cooperazione sempre centrati su FZ: realizzazione di un ostello per turismo responsabile nel villaggio Smira; diverse azioni di formazione delle associazioni femminili per la valorizzazione dei propri prodotti artigianali, turismo responsabile, collegamento con reti nazionali e internazionali di agroecologia; lancio del festival nazionale dell’henné (villaggio Smira); con un finanziamento della Tavola Valdese, insediamento di piccoli allevamenti ovini familiari, in capo alle donne, con formazione a cura dei Veterinari Senza Frontiere: questo progetto ha insistito sul villaggio Tabia, ma ha compreso un piccolo gruppo di giovani donne disabili a FZ, tra cui la sorella di Fatima.
LE IMMAGINI. La prima è un agnellino a Tabia, la seconda una parete rocciosa fiorita in seguito alle piogge anomale dell’inverno 2014-15. Quella in apertura è uno schizzo del volto di Fatima, presente nel fumetto di Antonella Selva – cfr qui: “Femministe. Una storia di oggi” – del quale era protagonista.