Riflessioni del 2016 dopo Comiso: gli insegnamenti…
… delle lotte nonviolente vincenti e delle ricerche per la pace, per un futuro meno pieno di guerre e di violenza
testo e grafici a cura di Alberto L’Abate per il convegno di Palermo «Pace, difesa e sicurezza nel Mediterraneo ed in Medio Oriente: la proposta dei nonviolenti» il 23 settembre (*)
Questa foto, sulle lotte di Comiso, ci ricorda una delle più importanti vittorie della nonviolenza in Italia. Ora, al posto della base di missili, c’è un aeroporto civile e – secondo studi approfonditi, e da quanto è emerso questa estate durante un nostro incontro in questa cittadina – questo è stato dovuto, in gran parte, proprio alle lotte contro i missili portate avanti, non solo a Comiso ma, nello stesso periodo, in molte parti del mondo.
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1) La guerra non è connaturata con l’essere umano. Il famoso istinto di sopravvivenza che viene richiamato per accettare come naturali la violenza e la guerra, in realtà può portare anche al comportamento nonviolento se l’ambiente in cui si vive non tende a privilegiare, fin dalla prima infanzia, l’uso della violenza nei rapporti umani.
(dal grafico numero 2, di Lecocq, un ricercatore belga dell’Università della Pace di Namur, in un saggio pubblicato nel 1981, si vede bene il percorso possibile dell’istinto di conservazione, qui chiamato “forza vitale”, che attraverso i condizionamenti socioculturali – della famiglia, scuola, lavoro, mass media – può essere indirizzato sia verso la passività acquisita – che comporta la collaborazione – spesso inconscia – verso la violenza istituzionale, sia , altresì, verso il comportamento violento o nonviolento. Ma un elemento importante, che non si trova in molti testi, è il ruolo della “ coscienza individuale” che può aiutare a fare la scelta definitiva tra il comportamento violento – aggressivo distruttivo – ed il comportamento nonviolento, che qui viene definito “assertivo costruttivo” ovvero di “aggressività creatrice”.)
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2) Se si vuole, si può prevedere e prevenire sia la guerra che la violenza, ma questo richiede un totale cambiamento dei bilanci finanziari dei nostri Stati. «Secondo dati emersi in un convegno internazionale, organizzato anche dall’IPRI-RETE CCP, si spende attualmente solo 1 euro per la prevenzione dei conflitti armati contro almeno 10.000 euro per fare le guerre. Inoltre questo 1/10.000 non lo spendono gli Stati ma soprattutto le ong. Se non si cambia questo andamento, il futuro dell’umanità sarà sempre pieno di guerre e di violenza. (Vedi gli atti del convegno internazionale citato, a cura di M. Cereghini e S. Saltarelli, e anche, A. L’Abate, «L’Arte della Pace»).
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3) Per prevenire la guerra si dovrebbe portare avanti anche la proposta fatta da Alex Langer, ed approvata ripetutamente dal Parlamento Europeo, di costituire Corpi civili di Pace ben formati e addestrati alla mediazione e alla trasformazione nonviolenta dei conflitti, che intervengano appena emerso il rischio di un conflitto armato e siano stati fatti, rapidamente, gli studi preliminari su come evitarlo (vedi Soccio, a cura di, «La prevenzione dei conflitti armati ed la formazione dei corpi civili di pace»).
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4) Si deve anche migliorare la legislazione internazionale che, malgrado quanto detto nella dichiarazione di fondazione delle Nazioni Unite, mantiene agli Stati il diritto di fare la guerra (vedi U. Allegretti, «Costituzione e politica estera. Punti preliminari»).
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5) Si deve però anche superare l’attuale modello di sviluppo che sta arricchendo sempre più pochi (sia Paesi che persone) e impoverendo tutti gli altri, e che detiene il quasi monopolio della costruzione e vendita di armi per difendersi dalla naturale rivolta, quasi sicuramente armata, degli oppressi. Si deve dar vita invece a uno sviluppo economico equilibrato tra Nord e Sud, che investa in energie dolci e in solidarietà, anziché in competizione e sfruttamento, in prodotti locali anziché importati, naturali anziché sofisticati e adulterati. Vedi su questo: J. Friedmann, «Empowerment, verso il potere di tutti. Una politica per lo sviluppo alternativo») vedi anche i vari grafici che mostrano concretamente gli effetti nefasti di questo modello di sviluppo, con il concentramento delle ricchezze a livello mondiale, in mano a pochissime persone, anche durante durante la crisi – grafici 3, 4, 5 qui sotto
grafico 3 – Calice della Ricchezza
grafico 4 – Ricchezza e povertà nel mondo, nel color rosso scuro i Paesi a massima variazione
grafico 5 – Numero di miliardari necessari per raggiungere lo stesso volume di ricchezza posseduto dal 50% più povero della popolazione mondiale
grafico 6 – ci fa vedere le conseguenze di questo andamento sull’impoverimento delle masse e l’ enorme incremento delle persone che soffrono la fame malgrado i tentativi dei Developments Goals delle Nazioni Unite che molti Paesi, e il nostro soprattutto, non prendono sul serio.
I grafici seguenti, sull’Italia, mostrano un quadro ancora peggiore: il nostro è al sesto posto nel mondo per l’ampiezza del divario tra ricchi e poveri
grafico 7–
grafico 8 – queste disuguaglianze sono dovute anche al diffuso utilizzo della delocalizzazione delle nostre industrie che fa arricchire enormemente gli industriali (gli operai, senza sindacati, vengono retribuiti anche 20 volte meno che in Italia), ma incrementa il numero dei nostri disoccupati (secondo i calcoli di uno storico italiano 2,6 milioni di posti di lavori persi).
grafico 9 – L’Italia, inoltre, vuole primeggiare nel mondo per le sue scelte militari, tanto che, nel 2012, risultava la quinta, nel mondo occidentale, per spesa militare pro-capite
grafico 10 – L’Italia, sfruttando le guerre, cerca di rialzare la propria economia in crisi con la vendita delle proprie armi in aumento negli ultimi anni
grafico 11 – Ma mentre è così solerte per le guerre e le armi, non lo è altrettanto riguardo alle spese per la cultura e l’istruzione trovandosi, per queste, agli ultimissimi posti in Europa
grafico 12 – Siamo tra gli ultimi al mondo anche per gli scarsissimi fondi dati per raggiungimento degli obiettivi del “Millennium” delle Nazioni Unite che pure sono forse l’unica speranza di superare quegli altissimi, e crescenti, squilibri economici e sociali che portano, necessariamente, a ribellioni, guerre civili, guerre internazionali, e morti.
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6) Lavorare a tale riequilibrio richiede un grandissimo lavoro per far prendere coscienza dello stato attuale delle cose a tutti coloro che subiscono i danni di questo sviluppo e della guerra (la grande maggioranza della popolazione mondiale), aiutandoli anche ad organizzarsi tra loro, ad imparare l’uso della nonviolenza, con le sue due gambe (azione diretta e progetto costruttivo) per il cambiamento reale della società nella quale viviamo.
Per capire bene l’interconnessione fra azione diretta nonviolenta e progetto costruttivo è utile analizzare il grafico successivo di Johan Galtung sulle strategie di pace. Galtung è uno dei fondatori degli studi mondiali per la pace, per i quali ha ricevuto il cosiddetto premio Nobel alternativo per la Pace, ha anche fondato e dirige una “Università per la teoria e la pratica della pace” con sede in un piccolo paese a Sud della Germania, accanto a Basilea (Svizzera).
grafico 13 – Strategie di pace di Johan Galtung. Al di sopra della riga orizzontale ci sono le strategie “dissociative”, al di sotto quelle “associative”
Dal grafico risulta che nei conflitti equilibrati, in cui la forza degli avversari è simile – la parte in basso del grafico, – è possibile cercare soluzioni “associative”, e cioè concordate con l’avversario, mentre in quelli altamente squilibrati, addirittura spesso nemmeno visibili, come la “violenza strutturale”, è necessaria una prima fase che Galtung definisce “dissociativa”, nella quale coloro che subiscono la violenza, spesso senza rendersene del tutto conto (vedi parte in alto a destra del grafico) hanno bisogno di aiuto: 1) per prendere coscienza (vedi il processo di “coscientizzazione” previsto da Freire per la liberazione degli oppressi); 2) per aiutarli a superare la disorganizzazione in cui spesso sono infognati, e questo di solito richiede anche una attività di formazione alla nonviolenza, ed all’azione diretta nonviolenta, che di solito non conoscono; 3) e 4) solo a quel punto questi gruppi sono di solito pronti al confronto e a lottare contro il dominio che li opprime; 5) e se ciò va a buon fine, permette loro di avere fiducia in se stessi e farli sentire pronti a passare alla fase “associativa”; 6) cercando di trovare con l’avversario i punti comuni e i cosiddetti obbiettivi sovraordinati, che non li vede più nemici ma collaboratori nella ricerca delle giuste soluzioni (equità); seguono poi tutte le altre fasi che aiutano in questo processo di superamento delle ragioni del conflitto attraverso la ricerca in comune dei problemi che hanno portato al conflitto originario, dando vita anche a strutture stabili (11) che si occupino di prevenzione e risoluzione dei conflitti.
grafico 14 – di un quacchero inglese Adam Curle, che ha lavorato tutta la vita a mediare conflitti in varie parti del mondo.
Curle ha anche fondato una università inglese specializzata in questo campo (Bradfoord). Egli conferma le tesi di Galtung e le integra con altre informazioni. Le conferme riguardano la necessità, nei conflitti squilibrati, di iniziare aiutando la parte più debole con 1) “varie forme di educazione per far crescere la coscienza fino al punto del confronto”; subito dopo 2) viene la formazione a varie tecniche di confronto, e fra queste la lotta nonviolenta è fondamentale, per ridurre gli squilibri e iniziare la negoziazione. E’ solo quando queste due fasi sono completate, e gli squilibri superati, che si può passare 3) a trattative per porre fine al conflitto e concordare uno sviluppo positivo dei rapporti. Ma la novità del grafico è nei due quadrati successivi: il 4) è quello dello “sviluppo e ristrutturazione dei rapporti in precedenza non pacifici”. Ma molte volte, ci insegna Curle, l’interlocutore inizialmente più potente può accettare qualche richiesta secondaria dell’altro interlocutore e così, se questo accetta, riesce a svuotare le sue richieste principali e a rimetterlo in basso, nel quadrato dei conflitti squilibrati. E’ questo un insegnamento utile e da tenere presente perché spesso i contendenti più deboli si accontentano di quelle offerte e cadono in questa trappola, dalla quale è poi difficile venir fuori.
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7) Occorre mettere in moto un processo che porti l’umanità dalla globalizzazione del Capitale alla globalizzazione dei popoli del mondo che, dal basso, portino avanti quella che è stata definita “la rivoluzione dell’amore”, insegnando alle persone che è necessario passare dal “pessimismo della ragione ed ottimismo della volontà” insegnatoci da Gramsci, all’ “ottimismo della ragione e della volontà” di padre Balducci con il suo “uomo planetario”
vedi grafici successivi (15, 16, 17, 18, 19) che dimostrano la concreta possibilità di cambiare:
grafico 15 – che si può definire “l’unione fa la forza” in quanto, con una poesia di un poeta cinese, fa vedere come i pesci piccoli, prima costretti a fuggire per non essere mangiati da quello grande, poi, quando riescono a mettersi insieme, costringono quello grande a fuggire.
Grafico 16 – riguarda una delle più importanti campagne portate avanti, a livello internazionale, e cioè la “Campagna Internazionale contro le Mine Antiuomo”, che unendo prima molte Organizzazioni Non Governative e poi convincendo anche un certo numero di Stati, è riuscita, in pochissimi anni (al 1992 al 1999) a far mettere al bando questi strumenti micidiali.
grafico 17 – riguarda il nostro Paese, e cioè i referendum del 2011 contro la privatizzazione dell’acqua, contro la riapertura di una politica a favore delle fonti energetiche nucleari e contro la richiesta di Berlusconi del legittimo impedimento.
Malgrado il fatto che il governo Berlusconi-Lega avesse fatto di tutto per farlo fallire affinché non si arrivasse al quorum (rifiutando di unirlo ad altre elezioni e facendolo fare d’estate, in un giorno festivo in cui la gente va di solito al mare) esso è riuscito a raggiungere il quorum vincendo alla grande riguardo a tutti i quesiti posti.
Altri tre grafici confermano questo andamento positivo.
Grafico 18 – Ripreso da un testo di Antonino Drago, fisico e noto studioso di problemi della pace della nonviolenza.
Drago, citando ricerche nord-americane, fa vedere come fra tutte le rivoluzioni sociali e politiche degli ultimi 100 anni nel mondo quelle che hanno avuto un carattere nonviolento hanno avuto successo nel 53 % dei casi, mentre quelle violente l’hanno avuto solo nel 26% dei casi. E questo smentisce la tesi che per fare una vera rivoluzione bisogna necessariamente usare la forza della violenza. C’è da dire però che spesso queste rivoluzioni nonviolente, se non sono unite ad un programma costruttivo che aiuti a dar vita ad un modello di società diverso da quello precedente e invece si accontenti del raggiungimento della cosiddetta “democrazia”, non durano molto tempo e vengono facilmente rimangiate (si veda la mia amichevole discussione con Gene Sharp, ispiratore di queste rivoluzioni, in un capitolo del mio libro «Per un Futuro senza guerre», pp. 321-356).
grafico 19 – Importanza dell’obiezione di coscienza e dell’azione diretta nonviolenta per l’approvazione, da parte del nostro Parlamento, di leggi che riguardano la pace e la nonviolenza. Da questo grafico emerge il ruolo fondamentale, per il mutamento sociale, dell’azione secondo coscienza, se questa non resta chiusa in se stessa, ma stimola la comunità a prendere atto di questi cambiamenti necessari.
Vedi grafico:
Questi risultati, ed altri ugualmente importanti – come la legge 185/1990, per la limitazione e il controllo dell’esportazione delle nostre armi, che prevede anche un fondo per la riconversione delle nostre industrie belliche (purtroppo poco o per niente utilizzato), oppure la legge 109/1996, che prevede la confisca dei beni mafiosi, ottenute non con l’obiezione di coscienza ma con una grande organizzazione di base di associazioni, soprattutto cattoliche (Mani Tese, Libera, ecc.) – dimostrano che si può cambiare ma che, per questo, ci vogliono: 1) impegno e coraggio personale; 2) organizzazione di base.
grafico 20 – Importanti anche i risultati di lunghe ricerche da me fatte sull’alienazione giovanile nel nostro Paese.
Queste sono state stimolate dall’osservazione di un poliziotto che a Comiso, il 23 settembre 1983, aveva avuto l’ordine di gettare contro di noi, che bloccavamo l’entrata principale del Magliocco, 20.000 litri di acqua con getti fortissimi, e che, più tardi, aveva avuto l’incarico di tenermi sotto scorta, in uno sgabuzzino della base militare, dove mi avevano portato dopo il mio arresto. Questi, ammirato dal nostro coraggio nell’affrontare tante difficoltà, e anche botte, per non far mettere i missili in quella base, esclamò: «E’ bello quello che fate, peccato che non serva a niente!». Questo è l’atteggiamento di “alienazione”, che abbiamo considerato come indice di pessimismo (sono cose al di sopra di noi, noi non possiamo fare nulla per cambiarle) e che noi, con l’aiuto di una esperta statistica, abbiamo tradotto in un “indice di impegno”. Sulla base delle nostre ricerche sui giovani è venuta fuori questa tabella che mostra come gli alienati veri e propri sono solo il 16% dei giovani intervistati, mentre invece i giovani già impegnati (in parrocchie, sindacati, associazioni umanitarie, partiti politici e altro) sono il 24 %, e cioè quasi un giovane su quattro. Ma questo aspetto ottimistico viene corretto dal fatto che la stragrande maggioranza dei giovani, complessivamente il 59%, fa parte di quella che si può chiamare “la maggioranza silenziosa” (noi li abbiamo definiti anche “zavorra”, quella che si mette da una parte per riequilibrare il peso, o si getta via per toglierne; questo anche perché sono di solito persone che cambiano facilmente opinione se bombardate da mezzi di comunicazione di massa). Dividendo questa “massa” a seconda delle loro risposte abbiamo visto che quelli che sono dal lato positivo, sopra la media dell’indice complessivo di impegno, vicini agli impegnati, sono il 33%, e li abbiamo perciò definiti i “tiepidi”; mentre quelli che sono dal lato dell’alienazione, gli “scettici”, sono solo il 26%. E questo fa tornare l’ottimismo: infatti basta che ognuno degli impegnati riesca a convincere (nel nostro linguaggio a “riscaldare”) uno o due fra i tiepidi e si riesce a raggiungere facilmente la maggioranza. Ciò è possibile sia attraverso la comunicazione diretta, che risulta in realtà più efficace nel convincere le persone rispetto ai mezzi di comunicazione di massa, sia – ancora di più – attraverso l’esempio che è lo strumento più efficace di educazione, in particolare per la pace e la nonviolenza.
8) Speranza o illusione? Non vorrei, però, che questi ultimi grafici facessero credere che quello che proponiamo sia facile e facilmente raggiungibile. Non è così, e ciò ci obbliga a riflettere sull’importanza della speranza, ma anche sulla necessità di non confonderla con l’illusione. Come ci ha insegnato Ernst Bloch (Il principio Speranza) la speranza è quella che apre la porta verso l’ “utopia possibile”, che ci indica la strada da percorrere per raggiungere un obbiettivo lontano ma conseguibile. Speranza quindi come creatrice della storia, anticipatrice di questa, ma soggetta al rischio, all’incertezza, perché deve continuamente lottare per un futuro “nuovo” e sempre stare “al fronte” basata, come è, sull’ “ottimismo militante”. Questa speranza non dobbiamo mai perderla, senza cadere nell’illusione che il compito da portare avanti sia facile.
Dal grafico 18, e dal libro di A. Drago, abbiamo visto l’importanza avuta dalle rivoluzioni nonviolente, nel mondo, negli ultimi cento anni. Ed effettivamente una analisi più approfondita sulle lotte nonviolente nel mondo (per sei di queste lotte si vedano i DVD, distribuiti dal giornale Azione Nonviolenta, «La forza più potente») fa vedere che le lotte nonviolente stanno cambiando il volto della Terra e hanno avuto successo, per superare gravi discriminazioni razziali (Usa, Sud Africa), per sconfiggere dittature (Polonia, Filippine, Egitto, Tunisia), per raggiungere l’indipendenza di un Paese (India), per difendere e salvare una minoranza perseguitata, gli ebrei (Danimarca), per ristabilire un sistema democratico (Cile) e per annullare progetti di militarizzazione di territori (Larzac, in Francia; Comiso, in Italia) .
Malgrado queste vittorie la situazione del mondo è lungi dall’essere positiva. Nonostante che le Nazioni Unite siano nate con lo scopo precipuo di eliminare la guerra, come è scritto nel loro atto costitutivo, il Consiglio di Sicurezza ristretto di questo organismo, è formato in realtà dai cinque Paesi del mondo (Usa, Russia, Cina, Inghilterra, Francia) che costruiscono e vendono circa l’80% delle armi pesanti del mondo. Sono interessate al mantenimento della pace o alla vendita delle proprie armi?
Inoltre questi Paesi hanno il diritto di veto che può impedire l’approvazione o anche l’attuazione di risoluzioni votate a maggioranza dall’Onu come ad esempio quelle su Israele, facendo emergere il vizio dei “due pesi e due misure” che mina alla base il patto di convivenza fra i popoli .
Se si va a vedere la situazione del nostro Paese, malgrado le vittorie ottenute, e segnalate dai grafici 17-19, la situazione è per lo meno incerta. I dati sull’importanza della spesa militare e della vendita delle armi nella nostra economia – a scapito di altre spese sicuramente molto più valide per lo sviluppo economico e sociale, e per il futuro del nostro Paese (spese per cultura ed istruzione) ed anche del mondo (vedi i nostri scarsissimi contributi ai programmi delle Nazioni Unite per riequilibrare le sorti del mondo) – fanno dubitare sinceramente sul ruolo avuto dalle nostre forze armate su tutta la politica del nostro Paese. Tre esempi possono bastare a mettere in dubbio l’autonomia del nostro Parlamento rispetto alle nostre “Forze Armate” che, non dimentichiamolo, hanno come loro capo lo stesso presidente della Repubblica. Nel 1992, malgrado il Parlamento avesse approvato un nuovo testo di legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare, meno punitivo della legge del 1972, l’allora Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, sicuramente per pressione delle Forze Armate, con motivazioni pretestuose (sospetto di incostituzionalità) e con una serie di perplessità sul fenomeno OdC, la rinviò al Parlamento senza che questo potesse ridiscuterla dato che il giorno dopo sciolse le Camere. La legge tornò perciò in alto mare. Un secondo episodio di esautoramento del Parlamento, per iniziativa delle Forze Armate, con l’allora presidente Napolitano, si è avuto anni dopo a proposito dell’acquisto degli F35. Il 18 luglio 2013, dopo una discussione in Parlamento nella quale erano emersi molti dubbi sull’acquisto da parte del nostro Paese degli aerei F35 (poco sicuri, con molti problemi tecnici irrisolti e con costi sempre crescenti) venne deciso di sospendere gli ordini di acquisto per procedere a un’analisi più approfondita sulla validità e necessità di questi strumenti di guerra. Ma malgrado questa decisione risultano esser stati acquistati dopo almeno altri 14 aerei di questo tipo: e il Consiglio Supremo della Difesa, presieduto dal presidente della repubblica Napolitano, riunitosi in fretta ha annullato di fatto la votazione dichiarando che il Parlamento non aveva alcun diritto di veto sui programmi di ammodernamento delle Forze Armate e che sull’acquisto degli F35 doveva decidere il governo. Il terzo episodio, ancora più grave, è avvenuto per l’entrata del nostro Paese nella guerra per il Kossovo: in questo caso però per interessi militari non nazionali ma internazionali, ed in particolare della Nato. Questo ce lo racconta, con le sue stesse parole, l’allora presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, intervistato da Federico Rampini («Kosovo: gli italiani e la guerra», pp. 37-38). Alla domanda del giornalista sulla limitazione della sovranità nazionale che ha fatto coinvolgere il nostro Paese nella guerra jugoslava, risponde: «Nella difesa e nella politica estera la sfera decisionale è ormai particolarmente complessa. Si combinano elementi sovranazionali e meccanismi formali intergovernativi. Chi rappresenta l’Italia decide insieme ad altri, può essere messo in minoranza ed io credo debba con responsabilità accettarla» ma aggiunge, a parziale correzione di quanto detto: «a condizione, naturalmente, che ciò non pregiudichi gli interessi ultimi del nostro Paese». Ma incalzato dal giornalista – che gli chiede se tutto ciò non pregiudichi le regole democratiche – risponde: «Il rischio peggiore è stare in un Paese che non conta niente, espulso dai luoghi dove si decide. Questo è un caso in cui l’eccesso di democrazia apparente ti preclude la democrazia vera, perché ti emargina dalle sedi dove si decide anche per te». Questo conferma che di fronte ai problemi della guerra e della pace la cosiddetta democrazia è ormai una parola vuota, come conferma anche D’Alema, con la frase seguente: «La delega a pochi è una condizione di funzionamento della democrazia moderna. Viviamo in un’epoca in cui il circuito delle decisioni non è più nazionale».
Un altro segno dello strapotere militare nel nostro Paese viene anche dal fatto che la «Commissione ministeriale per la sperimentazione di forme di Difesa Civile, Non-armata, Nonviolenta» – che è stata la grande conquista della lotta degli Osm, obiettori di coscienza alle spese militari (vedi grafico 19) e che è stata presieduta all’inizio proprio da Antonino Drago (noto esperto di difesa popolare nonviolenta, vedi il suo libro, in bibliografia, e di cui abbiamo citato uno studio) – è di fatto sospesa da svariati anni, e non è stata ricostituita. A chi dobbiamo questa sospensione? E’ un “regalo” dei militari o dei tanti politici a loro compiacenti?
Malgrado questo ci sono anche segnali positivi a livello sia internazionale che nazionale.
A livello internazionale – grazie anche alla crescente pressione delle ong, che si stanno organizzando e riescono ad ottenere l’appoggio di molti Stati (vedi Campagna contro le mine), anche “periferici” che stanno prendendo coscienza dell’assurdità dello stato attuale del mondo e chiedono di poter dire la loro parola per le sorti dell’umanità – stanno emergendo risoluzioni importanti che possono, se attuate, migliorare il futuro del nostro pianeta: fra queste la risoluzione di Barcellona, promossa dall’Unione Europea, nel 1995, che prevede la cooperazione dei Paesi del Mediterraneo, nell’ambito di un mercato comune su base paritaria, poi sviluppatasi nel progetto di Unione del Mediterraneo; o i risultati della Conferenza Internazionale sul Clima di Parigi (dal 30 novembre all’11 dicembre 2015) cui hanno partecipato 195 Paesi del mondo e che hanno concordato, a stragrande maggioranza, i modi per ridurre le emissioni nocive per l’ambiente, al fine di rallentare il riscaldamento globale; e anche la raccomandazione finale dell’«Open Ended Working Group» alle Nazioni Unite di Ginevra, votata il 19 agosto 2016 a larghissima maggioranza (107 voti contro 24) che prevede di far partire, nel 2017, una Conferenza dell’ONU che negozi l’interdizione delle armi nucleari.
A livello nazionale, è un segnale positivo la resistenza di tanti – sia a livello istituzionale, che a livello di base – contro i tentativi di manomettere la nostra Costituzione (eventualmente eliminando l’articolo 11 che proibisce al nostro Paese di entrare in guerre offensive, anche se sappiamo che in questo settore la manipolazione è immensa, tanto che le guerre, così definite, non esistono più e diventano “umanitarie”, “per la democrazia”, “contro il terrorismo” ecc.) come probabilmente molti dei nostri militari vorrebbero, e come del resto hanno votato molti politici del nostro Paese, di partiti anche sedicentemente di sinistra (a grande maggioranza, con pochissimi voti contrari, moltissimi astenuti o assenti) che hanno accettato il cosiddetto “nuovo modello di difesa” che è in realtà di offesa perché considera “difesa del Paese” la tutela, anche con le armi, dei nostri “interessi nazionali” (vedi petrolio, altre fonti energetiche dure, mercato ecc.) ovunque questo sia necessario.
Infatti molte persone del nostro Paese, per fortuna, seguono ancora la lezione del grande maestro Piero Calamandrei il quale ci ha insegnato che non bisogna modificare la nostra Costituzione, tra le migliori d’Europa e del mondo, ma attuarla concretamente, portando avanti in particolare tutto quello che è necessario per realizzare i diritti fondamentali da questa previsti: diritto al lavoro dignitoso, all’accoglienza dei profughi, alla cultura e istruzione, rifiuto delle guerre offensive, limitazione degli interessi della proprietà privata se questa contrasta con quelli dell’intera comunità ecc.
Fra queste iniziative è stata molto importante a livello istituzionale l’approvazione dell’emendamento del senatore Giulio Marcon, di Sel, alla finanziaria del 2014 (vedi «Gazzetta Ufficiale» del 20 maggio 2015) che prevede uno stanziamento di 9 milioni di euro per l’istituzione di un contingente di 500 giovani in servizio civile, per la sperimentazione di azioni non-governative di pace in situazioni di conflitto o di pre-conflitto, secondo le indicazioni di Alex Langer, approvate ripetutamente dal Parlamento Europeo. Ma a causa delle tante difficoltà apposte alla presentazione dei progetti, al 4 agosto 2016 risulta approvato solo l’impiego di 106 giovani volontari (rispetto ai 500 previsti dalla legge). Speriamo che la sperimentazione di questo primo contingente apra le porte alla piena attuazione della legge.
A livello della Regione Sicilia è molto importante anche l’approvazione (che ci auguriamo più rapida possibile) della proposta di legge per una cultura di pace che possa essere utilizzata anche per il lancio delle iniziative previste a Comiso, nella comproprietà (bene comune) della “Verde Vigna”.
Inoltre una iniziativa molto valida, a livello di base, è la proposta di legge di iniziativa popolare (annunciata, di fronte a circa 12.000 persone ivi convenute, all’Arena per la Pace del 2014 a Verona) promossa dal Movimento Nonviolento e dalle altre associazioni della Rete per la Pace per richiedere l’istituzione ufficiale di “Corpi Civili di Pace” (formati non da volontari di servizio civile, come quelli approvati ma da professionisti e adulti, bene addestrati in questo settore) che operino per la prevenzione dei conflitti armati, la loro mediazione e la riconciliazione dopo la fine dei conflitti. Altre richieste sono anche l’istituzione ministeriale di un “Dipartimento per la Difesa Civile, Non Armata e Nonviolenta”, e di un “Istituto di Ricerche per la Pace e il Disarmo”. La legge prevedeva la raccolta di 50.000 firme, ne sono state raccolte 53.000, consegnate a Roma il 22 maggio 2015. Ci auguriamo che cavilli burocratici o lentezze volute nella discussione parlamentare non impediscano a questa coraggiosa iniziativa di base di essere discussa; e, speriamo, approvata.
grafico 21 – Concludiamo con una frase del grande scrittore brasiliano Coelho:
Questa frase, che esalta il ruolo dei sogni, ci ricorda anche un detto siciliano anarchico: «Se un sogno è solo tuo, non è altro che un sogno; se un sogno è di molti, è già l’inizio di una nuova realtà». Mi auguro che la lettura di questo scritto, e la visione di questi grafici, aiutino molti a sognare, con noi, un futuro più pacifico e nonviolento ma mi auguro anche che i sogni non restino nel cassetto e si trasformino in una speranza che ci porti verso quella “utopia concreta” di cui ci ha parlato Ernst Bloch, e che auspichiamo con questa relazione-appello.
per adesioni e commenti scrivere a <labate.alberto@gmail.com>
Bibliografia citata e/o utilizzata
Allegretti U., «Costituzione e politica estera. Punti preliminari», in “Pace, Diritti dell’uomo, Diritti dei Popoli”, 3/1990.
Balducci E., «L’uomo planetario», Giunti Ed., Firenze, 2005.
Bloch E., «Il Principio Speranza», Garzanti, Milano, 2005, 2a ed.
Cereghini M., Saltarelli S., a cura di, «Corpi Civili di Pace – giornate di studio», pubblicato, in lingua italiana e tedesca, a cura della Provincia di Bolzano-Alto Adige, dalla Casa editrice Praxis III, Bolzano, 2011.
Curle A., «Making Peace», Tavistock Publications, London, 1971. Il grafico n.14 presentato in questo saggio si trova a pag 186 di questo libro. E’ riportato in un mio libro, «Consenso, conflitto e mutamento sociale. Introduzione ad una sociologia della nonviolenza», Angeli Ed., Milano, 1990, a p. 269.
D’Alema M., «Kosovo. Gli italiani e la guerra», Mondadori, Milano, 1990.
Drago A., «La Difesa Popolare Nonviolenta», Ediz. Gruppo Abele, Torino, 2006.
Drago A., «Le rivoluzioni nonviolente dell’ultimo secolo: i fatti e le interpretazioni», Ed. Nuova Cultura, Roma, 2010: i dati del grafico 18 sono a pag 52.
Freire P., «Pedagogia degli oppressi», Mondadori , Milano, 1971.
Friedmann J., «Empowerment, verso il potere di tutti. Una politica per lo sviluppo alternativo», Ediz. Quale Vita, Torre dei Nolfi (Aq.), 2004, con un aggiornamento dell’autore del 2005.
Galtung J. , “Peace thinking”, in Lepansky ed altri, a cura di, «The search for world order», Appleton Century Crofts, New York, 1971, p. 253. Il grafico 13 presentato in questo saggio è la mia semplificazione di uno più complesso di Galtung da lui pubblicato nel libro su indicato, e da me tradotto e riportato a pag 76 del mio libro «Consenso, conflitto e mutamento sociale. Introduzione ad una sociologia della nonviolenza», citato.
L’Abate A., a cura di, «Giovani e Pace. Ricerche e formazione per un futuro meno violento», Pangea Ediz., Torino, 2001 – Il grafico di Lecocq, si trova alla pag 104. In questo libro ci sono anche le ricerche sull’alienazione giovanile di cui viene proiettato il grafico 19. Il grafico è a pag. 93, e il suo commento si trova dalla pagina 91 alla 94, con una nota (12) a pag 98. Per la messa a punto dell’ “indice di impegno” si veda anche il testo della esperta di statistica che ci ha aiutato a costruirlo: Filomena Maggino, «Ricerca ed analisi di tipologie. Tecniche esplorative a confronto. Analisi dei dati della ricerca “i giovani e la pace” su un campione di studenti delle scuole fiorentine», ciclostilato a cura del Laboratorio di Statistica dell’università di Firenze.
L’Abate A., «Per un Futuro senza guerre. Dalle esperienze personali ad una teoria sociologica per la pace», Liguori Editore, Napoli, 2008. La discussione con G. Sharp è nel capitolo 4 della IV parte, intitolato: «Sulla strategia della nonviolenza, ovvero sui limiti delle rivoluzioni cosiddette “nonviolente” dei Paesi dell’Est Europa», pp. 321-356.
L’Abate A., «L’Arte della Pace», Centro Gandhi Ediz., Pisa, 2015.
Lecocq J. F., “Aggressivitè et nonviolence”, capitolo del libro, Universitè de la Paix, «Education a la Paix», Namur, Belgio, 1981. Il grafico utilizzato è riportato nel libro curato da A. L’Abate, «Giovani e Pace», citato, alla p. 104.
Soccio M., a cura di, «La prevenzione dei conflitti armati e la formazione dei corpi civili di pace», Casa per la Pace, Vicenza, 2012 (ordinabile presso la redazione della rivista «Azione Nonviolenta», Verona).
(*) Il convegno si terrà il 23 settembre 2016 al Noviziato dei Crociferi di Palermo, dalle 14.30 alle 19.30: introduce Alberto L’Abate; relazioni di Luigi Mosca, Giovanna Pagani, Francesco Lo Cascio, Antonio Mazzeo, Roberto Cotti, Giulio Marcon, Maurizio Simoncelli, Enrico Piovesana; contributi video di Olivier Turquet, Ermete Ferraro, Alex Zanotelli; conclude: Alfonso Navarra.
LA VIGNETTA IN EVIDENZA, scelta dalla redazione della “bottega”, è di BANSKY