Appunti dal confine africano d’Europa

Profughi, cocaina, uranio e una massiccia impresa militare neocoloniale

di VIJAY PRASHAD

I rifugiati non si materializzano nel Mar Mediterraneo per caso. Fino al momento in cui salgono a bordo delle loro fragili imbarcazioni sulla costa libica hanno vissuto molte, molte vite pericolose. Chi ha lasciato i suoi campi, sempre più improduttivi, nell’Africa occidentale e orientale, chi è fuggito dalle guerre nel Corno d’Africa, in Sudan e in luoghi che vanno fino all’Afghanistan, e chi ha viaggiato grandi distanze per arrivare a quella che vedevano come la tappa finale del loro viaggio.

Il loro scopo è riuscire ad arrivare in Europa, che sin dagli albori del colonialismo è stata vista come la terra del latte e del miele. Le vecchie idee coloniali e la ricchezza dell’Europa costruita con il lavoro delle colonie attraggono. È una sirena per i miserabili della terra. Per molti africani è finito tutto nei campi di concentramento virtuali in Libia, dove ora vengono trattenuti i rifugiati che l’Europa non vuole, alcuni vengono venduti in schiavitù.

Per raggiungere la Libia, i migranti e i rifugiati devono attraversare il deserto del Sahara, che in arabo è noto, giustamente, come il Grande Deserto (al-Sahara al-Kubra). È vasto, caldo e pericoloso. Le vecchie carovane di sale, le cosiddette azalai, gestite per la maggior parte dai popoli Tuareg, percorrevano il Mali, così come il Niger e la Libia. Trasportavano oro, sale, armi ed esseri umani che venivano catturati come merce di scambio.

Quelle vecchie carovane fanno ancora il loro viaggio, passando da una fonte d’acqua all’altra, i cammelli esausti come i Tuareg. Ma le nuove carovane hanno soppiantato quelle più vecchie. I cammelli non sono il loro mezzo di trasporto. Vengono preferiti autobus, pickup e jeep per traghettare esseri umani e cocaina verso l’Europa, mentre armi e denaro vanno in direzione Sud. Queste nuove carovane percorrono sentieri non segnati, tra le dune di sabbia, alla ricerca di vecchie tracce di pneumatici che sono state sepolte in disorientanti tempeste di sabbia.

Sopravvivere alla sabbia

Il Sahara è pericoloso. Il viaggio in un pickup potrebbe richiedere tre giorni, nel migliore dei casi, oppure i rifugiati e i muli di cocaina potrebbero ritrovarsi a morire di disidratazione, per mano di estremisti, contrabbandieri o delle forze di sicurezza della regione.

Ci sono molte persone pronte a catturare i viaggiatori e i contrabbandieri, le cui macchine vengono regolarmente rubate. Non esiste un conteggio definitivo dei profughi morti. A giugno, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati ha denunciato la morte di 44 migranti per disidratazione e colpo di calore quando il loro camion si è rotto tra le città nigeriane di Agadez e Dirkou.

Le Nazioni Unite hanno salvato almeno 600 migranti tra aprile e giugno. “Salvare vite nel deserto sta diventando più urgente che mai”, ha detto Giuseppe Loprete, il capo della missione in Niger per l’Organizzazione internazionale dei migranti.

Per impedire ai migranti di raggiungere il Mediterraneo, la Francia ha chiesto a cinque paesi africani (Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger) di aderire alla sua inziativa, il G5 Sahel. Il Sahel è la cintura che attraversa l’Africa sotto il deserto del Sahara.

Anche l’Unione Europea ha contribuito a questo progetto. Gli europei vogliono spostare il loro confine meridionale dal margine settentrionale del Mar Mediterraneo al margine meridionale del deserto del Sahara. Le basi militari francesi attraversano il Sahel, mentre gli Stati Uniti costruiscono un’enorme base ad Agadez (Niger) da dove verranno fatti volare dei droni per fornire supporto aereo. I militari sono arrivati ​​nel Sahel per fermare il flusso di migranti.

Il sentiero della cocaina

Agadez, dove l’esercito statunitense sta spendendo 100 milioni di dollari per costruire la sua base di droni, si trova al crocevia delle nostre crisi contemporanee. I rifugiati la raggiungono in preda alla disperazione, la loro terra resa miserabile dalle politiche commerciali che discriminano i piccoli agricoltori e dalla desertificazione causata dal capitalismo del carbone. Dal momento che il governo degli Stati Uniti ha reso difficile l’entrata della cocaina nel Paese dall’America Centrale, la mafia della droga ha trasferito le sue operazioni in questa cintura centrale dell’Africa. Un politico di primo piano in Niger, Cherif Ould Abidine, morto nel 2016, era noto come Mr. Cocaine. Miliardi di dollari di cocaina ora passano attraverso il Sahel, nel Sahara e arrivano fino in Europa. I pickup che trasportano rifugiati e cocaina attraversano la città di Arlit, dove le multinazionali francesi stanno raccogliendo l’uranio (nel 2013 Oxfam ha osservato che “una lampadina su tre in Francia è accesa grazie all’uranio nigeriano”). Quindi eccoci qui: profughi, cocaina, uranio e una massiccia impresa militare.

Alcuni uomini dal Gambia e dal Mali aspettano fuori dal complesso di un contrabbandiere. La sua Toyota Hilux, il cammello di questo nuovo commercio, è parcheggiata vicino al cancello. Gli uomini indossano occhiali da sole. Questa è la loro difesa una volta che entrano nel deserto. Sono in apprensione. Il loro futuro, per quanto triste, deve essere migliore del loro presente. Questi sono giocatori d’azzardo. Sono disposti a cogliere l’occasione. Il motore si accende. Gli uomini gettano i loro modesti effetti personali sul camion. È giunto il momento del loro azalai.

Questo articolo è originariamente apparso in India su “The Hindu”. Il libro più recente di Vijay Prashad è “No Free Left: The Futures of Indian Communism” (New Delhi: LeftWord Books, 2015).

RIPRESO – con l’immagine – da http://www.rifondazione.it;  traduzione di Chiara Pavan – brigata traduttori.

Probabilmente quell’«uranio nigeriano» che leggete nel testo è un refuso (o un errore di traduzione) per «uranio nigerino».

 

 

Redazione
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Un commento

  • E’ un refuso anche “le città nigeriane di Agadez e Dirkou”… che sono città nigerine.
    Per il resto… non ci sono parole

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