Amarsi: più folle del previsto, del già visto, del pur vasto (mondo)

se db incontra «Confessioni di uno zero» di Giovanni Di Iacovo e stenta a capire perché lo ha così affascinato

Che leggere «Confessioni di uno zero» – 170 pagine per euri 16,50 – sarebbe stato divertente ma insolito l’ho capito aprendolo. La copertina infatti “diverge” dal testo che è a rovescio o meglio sottosopra: si legge da destra verso sinistra con i numeri pari delle pagine dove di solito – almeno in Occidente – si trovano i dispari. Ignoro se questo accade solo nella mia copia (se sì… vuol dire che sono un “ragazzo” fortunato?) o se editore (Castelvecchi) e autore (il Giovanni Di Iacovo che poi in breve “biograferò”) si siano così accordati.

Terminato il romanzo – per me il primo così tipograficamente a rovescio – stento a contenere il mio entusiasmo (mi è proprio piaciuto) ma anche la mia perplessità (perché sono stato così preso da un romanzo che mi è tanto estraneo?). Mi blocco. Lo schermo mi fissa arcigno… direi che mi scher/nisce se non rischiassi il giochino di parole. Dopo un ragionevole lasso di tempo, seguo il consiglio che mi dava sempre Riccardo Mancini: “se non ti sblocchi raccontando (un po’ ma senza svelare tutto) la trama, allora vai a farti un giro, gioca a boccette, ascolta jazz e poi ricomincia dall’inizio cioè dalla trama”. Niente boccette oggi, però un giro sì e buon jazz pure. E dopo la pausa, riparto annodando i fili della trama.

Nel “prologo” Sebastiano Zerrolli – che poi si saprà essere lo Zero del titolo – inizia così: «brano consigliato: «Walk on the Wild Side» di Lou Reed»; a capo «2 febbraio 1996»; prime due righe: «Quando la più assoluta normalità ti sembra così strana vuol dire che hai davvero passato una vita del cazzo».

Siamo a Pescara dove «l’officina Nirvana Gomme» è – o appare – «tipo l’Oracolo di Delfi» e la domanda ansiogena di Zerrolli è: «Vienna Colantonio è guarita?».

Su ogni pagina soffierà, grandinerà, erutterà il grande amore fra Vienna e Zero. Che vi prenderà, scuoterà, spesso picchiando sotto la cintura anche se – come me – poco vi appassionano i moderni mondi “della notte” ovvero «horror, porno, punk, fetish, roba del genere» e dove ci si veste (leggi in particolare pagina 99 e 117) con modalità che indurrebbero i nemici della legge Basaglia a moltiplicare le manifestazioni per la riapertura dei manicomi; e io ovviamente sarei al “contro-corteo”.  Eppure… reazionari a parte, anche se non conoscete (come me) il mondo lgbt e/o le più estreme subculture dark, pulp, cosplay, splatter ecc io credo, anzi assai spero, che leggendo «Confessioni di uno zero» vi capiterà (come a me) di fare il tifo e la ola per Vienna e Sebastiano-Zero. Perché gli amori impossibili, conditi da infami congiure e sfighe universali, con baci e/o amplessi rimasti in sospeso per anni commuovono quasi tutte/tutti. O almeno io mi struggo e lo stesso spero per voi.

C’è poi che Di Iacovo scrive proprio bene anche d’amore: se fra le righe non vi immaginerete Zero come Romeo però pensate a che magnifico Mercuzio sarebbe, pieno di ironia ma pronto a maledire tutti. L’altro polo, cioè Giulietta-Vienna, è forse poco romantica («ho capito che la morte è semplicemente lo scomodo clistere della realtà») rispetto al modello ma trasuda una voglia infinita d’amore non banale. Se vi par poco, se vi par poco, se vi par poco…

Restando dalle parti di Capuleti e Montecchi: memorabili le sentenze del padre di Zero sui divani ecc; terrificanti le congiure ordite da Laura Colantonio per evitare che la figlia precipiti nel male assoluto, che secondo lei è la povertà o meglio non nuotare nella ricchezza.

Forse vi chiederete: perché questa recensione esce di Marte-dì? In effetti non saprei: persino la misteriosa «Sindrome» – della quale saprete il vero nome solo a pagina 90 – non appartiene all’albero del fantastico. E persino/persino il trucido e improbabile Stephen Morgenstern, autore (secondo il giovin Zero) di «Ogni donna nel tuo letto: il Metodo Seduttore Super-Volpe» ha qualche appiglio – mi assicura una veloce ricerca in rete – con un quasi omonimo autore di bestseller per pezzenti quanto analfabeti sessuomani.

Forse questo romanzo (mi) finisce di Marte-dì per abitudine e pigrizia: ero abituato ai precedenti libri dell’autore più nel versante fantastico. Foooooorse perchè l’ironia è sempre un poco aliena. Ma soprattutto… in fondo al mio cuoricino ancora non riesco a credere che Giovanni Di Iacovo appartenga al mondo reale, almeno a quello pescarese del terzo pianeta di codesto sistema solare. Eppure l’ho incontrato e, pur sbigottito, ho constatato che è davveeeeeeero anche assessore alla Cultura del suo Comune, il quale – indovinate? – risulta Pescara.

Frasi memorabili? A decine. Il mio podio potrebbe essere questo. Medaglia d’oro per «era talmente magra che o era malata o era molto ricca». Secondo posto per: «Katy aveva paura dei pedofili, dei terroristi, dei clown , dello zucchero raffinato, dei raggi ultravioletti, dei balconi con ringhiera bassa e della pasta troppo lunga che fa strozzare». Medaglia di bronzo a: «gli pareva di respirare aria usata». Quarto posto, cioè appena giù dal podio (in gergo: medaglia di legno) a pari merito per «giurando che non avremmo più frequentato chi beve solo Coca Cola» e per «gli occhi di Pietro sono buchi di piscio nella neve».

Vedo adesso che se ne farà (si sta facendo? si è fatto?) un film. Mmmmmm. Anzi: mmmmmmmmmm. Ci vorrebbe un redivivo Luis Bunuel o il vecchio Alejandro Jodorowsky ma i/le fans di Zero e Vienna foooooooooorse si potrebbero accontentare di “tipo” Jaco Van Dormael versione «Dio esiste e vive a Pescara».

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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