Messico: Amlo riuscirà a riscrivere la storia?
In occasione delle presidenziali del 1° luglio Andrés Manuel López Obrador è indicato come principale favorito, ma dovrà guardarsi dall’ennesimo tentativo di frode elettorale e dal gioco sporco delle destre, Pri e Pan, che marciano divise per colpire unite
di David Lifodi
Il Messico che si appresta a scegliere il nuovo presidente è un paese che sta vivendo la sua peggior crisi a livello di sicurezza e di tutela dei diritti umani. Enrique Peña Nieto, l’inquilino uscente di Los Pinos, lascia nelle mani del suo successore un paese dove gli omicidi, la violenza e le sparizioni forzate sono in costante crescita, al pari dei cartelli del narcotraffico. Al tempo stesso, l’inutile militarizzazione della nazione, unita all’ingombrante presenza degli Stati uniti, che vogliono imporre ad ogni costo la costruzione del muro alla frontiera con il Messico, è servita soltanto ad accrescere le enormi disuguaglianze tra i pochi che hanno tutto e i molti che non hanno niente.
Era diretta a quell’ampia parte di Messico dimenticato non solo da Dio, ma anche da dalla politica, la campagna presidenziale di Marichuy, María de Jesús Patricio Martínez, la candidata zapatista rimasta esclusa dalla competizione elettorale per non essere riuscita a raccogliere il numero di firme necessarie per potersi presentare. Aldilà delle modalità piuttosto discutibili che hanno permesso a candidati presentatisi come “indipendenti” al pari di Marichuy di raggiungere il numero di firme necessarie tramite pratiche clientelari e fraudolente, a partire da Jaime Heliodoro Rodríguez Calderón “El Bronco” e dalla moglie dell’ex presidente Felipe Calderón, Margarita Zavala, la candidata zapatista ha percorso il paese denunciando le progressiva decomposizione dello stato messicano, la violenza contro le donne, la devastazione sociale ed ambientale delle comunità indigene e sottolineando il disinteresse per la vita pubblica di gran parte di una popolazione stufa della cosiddetta “narcocultura”, del machismo, del razzismo e del classismo.
Sono molti i sondaggi che indicano come favorito Andrés Manuel López Obrador (Amlo), candidato della coalizione Juntos Haremos Historia e fondatore del partito Morena (Movimiento Regeneración Nacional) che pure ha pagato in prima persona le frodi che lo hanno privato di Los Pinos e si è avvicinato sempre più ad una conciliazione di classe molto simile a quella della triade panista-priista-perredista. Di fonte ai dinosauri del Partido Revolucionario Institucional – Pri (da 89 anni presente nel paese) e del Partido de Acción Nacional – Pan (sulla scena da 79), Morena cerca di presentarsi come un partito nuovo, sfruttando il fatto che la sua fondazione risale a soli 4 anni fa. Può darsi che molti, nella sinistra, anche a seguito dell’esclusione di Marichuy, puntino su Amlo, se non altro perché ha cominciato ad esigere rispetto da Trump a differenza di Peña Nieto, che a proposito di muro e questione migratoria è stato preso a calci dalla Casa bianca. Tuttavia la questione non è così semplice. Ad esempio, Amlo ha promesso, in caso di elezione, di bloccare la costruzione del nuovo aeroporto internazionale di Città del Messico sul lago di Texcoco, contro il quale anni fa c’erano state grandi proteste dei movimenti sociali represse nel sangue, ma sarà comunque costretto a venire a patti con quelle elites imprenditoriali che hanno sostenuto e supportato il contestato e controverso Pacto por Mèxico ratificato da Pri, Pan e Prd.
Il patto sancisce le 14 riforme strutturali approvate durante i sei anni di presidenza di Peña Nieto, da quella energetica a quella del mondo del lavoro passando per l’istruzione e le telecomunicazioni. Inoltre, la triade Pan-Pri-Prd ha accolto con entusiasmo la pericolosissima Ley de Seguridad Interior, che ha ampliato i poteri d’intervento delle forze armate. È opinione largamente condivisa, all’interno delle organizzazioni popolari, che il Pacto por México, approvato alle spalle dei la maggioranza degli appartenenti ai movimenti sociali non si sente necessariamente lópezobradorista, ma sa che un eventuale affermazione di Amlo rappresenterebbe un fatto storico per un paese rimasto ancorato al dominio priista con qualche parentesi panista. I vari José Antonio Meade (candidato del Pri), Ricardo Anaya (canditato del Pan) e Margarita Zavala non farebbero altro che riaffermare sfruttamento, oppressione e apertura alle transnazionali, mentre López Obrador, pur con alcune contraddizioni e alcuni slittamenti interni di Morena verso il centro, potrebbe davvero provare a trasformare il Messico in un paese diverso da quello calpestato da decenni.
Il principale avversario di López Obrador dovrebbe essere Ricardo Anaya, giovane avvocato nato nel 1979 e tra i principali sostenitori del Pacto por Mèxico. La sua coalizione, capeggiata dal Pan ma composta anche dal Prd e dal Movimiento Ciudadano, si chiama Por Mèxico al Frente. Presidente del Pan, Anaya ha votato alcune delle riforme presentate come necessarie per “modernizzare” il paese, ma presto è finito sotto accusa per riciclaggio di denaro sporco attraverso l’impresa Juniserra. Pare che Anaya sia stato l’ideatore di uno schema che prevedeva la presenza di imprese fantasma necessarie per il cosiddetto lavado de dinero.
Il prossimo 1° luglio potrebbe segnare la fine del regime autoritario e oligarchico imperante in Messico. L’opposizione al Pacto por Mèxico e alle riforme strutturali di Peña Nieto potrebbe rappresentare il punto di forza di Amlo. Sull’altro fronte, le destre devono scegliere se utilizzare Anaya o Meade per sbarrargli la strada, ma Obrador è conscio che si potrebbe verificare di nuovo una frode pur di estrometterlo dalla presidenza del paese.