Lumignano: piccola (ma ignobile) strage di chirotteri
Ennesimo “effetto collaterale” delle attività del Free Climbing
di Gianni Sartori
Saxifraga berica (da https://www.biosphaera.it)
Le notizie di rilievo sono almeno due. A chi legge la responsabilità di saperne cogliere gli eventuali collegamenti (causa-effetto).
Per la prima notizia riprendo quanto era stato denunciato – ancora in marzo – da alcuni ricercatori del CERC, il Centro Educazione e Ricerca Chirotteri.
«SCEMPIO alla GROTTA DELLA GUERRA a LUMIGNANO, questi sono i risultati del FREE CLIMBING: pareti deturpate tagliando e sradicando la vegetazione (ad esempio la bella Saxifraga berica) di fianco all’apertura di una delle più importanti colonie di riproduzione di pipistrelli del Veneto e ZONA ROSSA cioè INTERDETTA all’arrampicata. Sembra che alcuni arrampicatori NON sappiano né leggere né analizzare le mappe. Sarebbe meglio rendere obbligatori dei corsi per insegnare gli elementi fondamentali dell’arrampicata in sintonia con la natura e del buon vivere. Altrimenti ci sono le palestre artificiali dove potete fare quello che volete».
Questo l’indignato j’accuse, scritto a marzo – sicuramente d’impeto – dopo la scoperta dell’opera vandalica. A diffonderlo sono stati appunto alcuni giovani studiosi, profondi conoscitori del mondo dei chirotteri (oltre che esperti speleologi) del CERC.
E dato che non c’è limite al peggio, dopo qualche giorno è arrivato un aggiornamento che suonava come ulteriore allarme:
«Dopo un accurato sopralluogo (02.04.2018) con alcuni componenti della Commissione Scientifica FSV (Federazione Speleologica Veneta nda) abbiamo scoperto che non sono stati ripuliti – qui mi inserisco per suggerire l’uso di qualche termine più appropriato: deturpati, devastati, vandalizzati, violentati, saccheggiati… il termine “pulizia” quando viene estirpata la vegetazione (rupicola e non) ne evoca fatalmente un’altra: quella etnica di chiara marca franchista, la limpieza – solamente 40 metri lineari di parete per altrettanti e più in altezza, ma il lavoro è proseguito per alcune centinaia di metri (in totale circa 200 nda) oltre la Grotta della Mura tagliando alla base piante anche di una certa dimensione per favorire il disseccamento. Risultato: la falesia non tornerà più al suo stato naturale poiché la mancanza di vegetazione arborea favorirà il dilavamento delle pareti e quindi il non attecchimento della vegetazione erbacea. Complimenti a quella FETTA di arrampicatori che vedono la parete rocciosa e l’arrampicata NON come un confronto rispettoso con la natura e se stessi ma SOLO come una esternazione del proprio ego superiore chissà a cosa, in maniera irrispettosa sia dell’ambiente circostante sia degli altri frequentatori, umani e non umani (non escludendo che anche altri “frequentatori umani” producano danni, ma questo e’ un capitolo a parte). Comunque si ipotizza, e quasi si conferma, IRRIMEDIABILE il danno fatto a tutta la falesia della parete nord del Monte Castellaro. Il vecchio motto “vado in montagna/grotta/arrampico e lascio l’ambiente come l’ho trovato … non vale più?”».
Aggiungo una mia osservazione sul fatto di aver voluto stroncare sistematicamente, oltre agli alberi, tutte le grandi edere (alcune pluridecennali, rifugio e luogo di nidificazione per varie specie di volatili, merli sengiari in particolare) che rivestivano le pareti.
E’ lo stesso metodo (una coincidenza?) già sperimentato da un paio di noti sciagurati sulle minuscole pareti sovrastanti il sentiero che dalla stradina proveniente dalla Fontana di Trene risale verso la vecchia casa di Leonardi. Fino a quattro-cinque anni fa, probabilmente l’ultimo sito di nidificazione della rondine rossiccia, in precedenza già scacciata dai covoli sopra Castegnero. Chiarisco per chi non è di queste zone che con il termine «covoli» vengono chiamate, in tutto il Veneto, le doline e le grotte carsiche. E segnalo che entrambe le località ormai sono divenute una sorta di parco-giochi per adulti (“mini-palestra”…ma si può?).
D’altra parte non è che la ripetizione di quanto è già avvenuto negli ultimi 15-20 anni (e su larga scala) lungo tutte le pareti della zona, dalle Priare al Broion. In passato – esiste documentazione fotografica – la vegetazione sulle “rupi beriche soleggiate” (quelle dove imperversano i maleducati FC, non negli “anfratti umidi”) era costituita oltre che da cespugli, arbusti, alberi (siliquastro, fico, orniello, bagolaro… c’è chi ricorda quelli abbattuti o sradicati in prossimità della “Scacciapuffi”qualche anno fa) da una grande varietà di specie a rischio o comunque elemento costitutivo dell’ecosistema. Cito da S. Tasinazzo: «Adiantum capillus-veneris, Amelanchier ovalis, Allium sphaerocephalon, Athamanta turbith, Bromus condensatus, Blackstonia perfoliata, Campanula carnica, Eucladium verticillatum, Pistacia terebinthus,Galium lucidum, Gnaphalium luteo-album, Lythrum hyssopifolia, Parietaria diffusa, Polypogon monspeliensis, Saxifraga berica…».
Questi “elementi floristici” ricoprivano abbondantemente il margine inferiore, così come i solchi e le fessure, delle pareti e anche in parte l’interno dei covoli. Si abbarbicavano alla roccia rendendo quanto mai vario e variegato un ambiente naturale complesso e diversificato, ricco di biodiversità. Ridurlo a nuda e sterile parete (ricoperta di ferraglia oltretutto) rendendo – tra l’altro – alquanto incerta la sopravvivenza della saxifraga berica – vive di luce indiretta, quindi in periodo estivo gradisce l’ombra del fogliame . è stata un’opera sostanzialmente colonizzatrice e vandalica.
Anche quest’anno, ai primi tepori primaverili (in marzo), i fanatici del decespugliatore sono intervenuti ai Covoli di Castegnero e Nanto dove hanno divelto, sradicato ogni residuo cespuglio e alberello miracolosamente scampato (o tenacemente rispuntato) alle precedenti campagne di deforestazione. Invece l’anno passato, sul percorso che sale alla Croce, qualcuno aveva esageratamente allargato il sentiero, già ben percorribile, eliminando – già che c’era – anche una dozzina di roverelle di trenta-quaranta centimetri (ritenendole presumibilmente anonimi e insignificanti arbusti o “erbacce”). Ricordo che le querce in genere sono di crescita piuttosto lenta – rispetto per esempio agli olmi – per cui solo per raggiungere quella modesta altezza di neanche mezzo metro potevano averci impiegato quattro o cinque anni.
Per la cronaca: erano i giorni immediatamente precedenti alla competizione di arrampicata a coppie, la famigerata marathon climbing (da notare: tutto in inglese, forse per coinvolgere gli statunitensi delle basi Ederle e Dal Molin?) con cui è stata innescata la definitiva trasformazione di Lumignano in alienante divertimentificio. Vista la coincidenza, mi ero chiesto se l’indecorosa devastazione non servisse ad accelerare la discesa dei concorrenti fra una risalita e l’altra (vinceva, credo, chi accumulava il maggior numero di vie). O era forse per incrementare la partecipazione contemplativa, di un maggior numero di “spettatori”? Altrimenti che “spettacolo” (leggi: “merce”, consumismo…) sarebbe?
Almeno stavolta, alla grotta della Guerra, grazie alla pronta reazione del CERC la notizia dell’ennesimo ecocidio è trapelata. Costringendo – visto che da soli non ci sarebbero mai arrivati (anche se in teoria si erano assunti il compito di “vigilare”, autogovernarsi – perfino alcuni esponenti dell’alpinismo istituzionalizzato a prendere posizione. Personaggi che dopo aver inchiodato, crocifisso ogni angolo possibile di parete, forse temendo le giuste sanzioni (ossia l’auspicabile interdizione per l’arrampicata “sportiva” su tutte le cosiddette falesie dei Colli Berici), hanno preso le distanze da questi loro emuli, seguaci o epigoni.
Ovviamente tergiversando e minimizzando con commenti del tipo «saranno stati dei ragazzotti del paese». In realtà la “professionalità” dello scempio ambientale operato sulle pareti in questione rende legittimo dedurre che si tratti di FC esperti. E presumibilmente noti, così come erano ben noti – ma coperti dall’omertà di gruppo – i responsabili dell’abbattimento delle grandi stalattiti del Broion qualche anno fa.
Va comunque sottolineato un aspetto paradossale – molto ambiguo – della faccenda:
il modo in cui il CAI si è appropriato della denuncia («segnalazione di danni ambientali a Lumignano in area SIC zona rossa»). Infatti la discutibile classificazione a colori era stata inventata di sana pianta, funzionale solo alle esigenze dei FC e senza alcuna valenza di protezione ambientale, tanto meno una qualsivoglia seria valutazione di impatto sull’habitat. Vedi appunto la bufala della saxifraga berica che crescerebbe – secondo qualche presunto “addetto ai lavori” – solo nei famosi «anfratti umidi».
Quanto alle zone (l’arancione?) dove l’arrampicata sarebbe consentita a partire da luglio basta controllare sulla destra del Broion dove gli scanzonati edonisti arrampicano anche in gennaio. E se nella “zona rossa” non si arrampica (o almeno non si arrampicava) è soltanto per ragioni climatiche o per il divieto dei proprietari (vedi Eremo san Cassiano) non certo per il senso civico dei FC e delle associazioni – di chiara ispirazione neoliberista – costituite dai medesimi. Associazioni che oggi magari inalberano l’assurda (intrinsecamente contraddittoria) pretesa di poter “valorizzare in modo sostenibile il territorio”. Tranquilli, si valorizza da solo purché la finiate di sfruttarlo in vario modo.
Ma è l’altra notizia quella che veramente mi riempie di mestizia spingendomi a dubitare di anni di lotte, impegno, denunce in difesa della Madre Terra e delle sue creature. Almeno due dozzine di chirotteri (Miniopterus schreibersii – nella foto qui sopra, ripresa da Wikipedia) sono stati trovati morti nell’antro iniziale (Sala della Colonna). In prossimità delle pareti ricoperte di spit – “sputi “ appunto – o di fittoni inox resinati (non me ne intendo). Comunque uno schifo.
Una moria del tutto anomala e imprevista, in sospetta sincronicità con l’allestimento di due-tre “vie” (nell’ambiente chiamano così la riduzione a cantiere edile delle pareti) realizzate a colpi di trapano o chiodatrice che dir si voglia.
L’ipotesi? E’ probabile che siano stati il fracasso prodotto dai “boscaioli” dilettanti e soprattutto le vibrazioni e il rimbombo provocati dal trapano nella roccia esterna della cavità a causare un prematuro risveglio (notoriamente pericoloso per i chirotteri) dal letargo invernale. Con il conseguente decesso.
I ricercatori avevano verificato la presenza dei chirotteri (in vita) ai primi di febbraio, quando le pareti esterne erano ancora integre.
A marzo, contemporaneamente all’amara scoperta delle pareti “diserbate” e chiodate, rinvenivano anche i cadaveri (ancora ben conservati, morti di recente e in maniera presumibilmente repentina). Evento documentato anche da esponenti della Commissione Scientifica della Federazione Speleologica Veneta. In sostanza «i pipistrelli si trovavano posizionati sulla parete interna della sala che dà verso l’esterno ed in asse con la corrispondente porzione di roccia interessata dai lavori di chiodatura» (dalla relazione del dottor. Andrea Pereswiet-Soltan e della dottoressa Sofia Rizzi). Ricordo che la chiodatura consiste nella realizzazioni di fori nella roccia – con uso di trapano – per posizionare i bulloni su cui vengono fissate le placchette di assicurazione. Un buon lavoro di carpenteria, ma forse più congeniale ai piloni dell’autostrada (o al pretenzioso ponte sul Bacchiglione della A31) che alle antiche pareti calcaree.
Sempre dalla relazione citata: «Il periodo invernale rappresenta una fase estremamente delicata per la vita dei pipistrelli, in quanto questi quando sono in fase di ibernazione utilizzano le riserve di grasso accumulate durante l’estate. Se vengono disturbati escono momentaneamente dall’ibernazione consumando energie in modo anomalo e andando quindi incontro alla morte non potendo reintegrarle (durante l’inverno non sono presenti le prede naturali di questa specie)».
A questo punto cosa dire? Evidentemente non bastava aver definitivamente allontanato dai loro siti di nidificazione falco pellegrino, passero solitario, rondine rossiccia e dall’anno scorso anche corvo imperiale. A quando la prevedibile estinzione della saxifraga berica?
Onore al merito quindi ca va sans dire ai membri del CERC con soltanto una piccola riserva. Mi spiego. Per quanto sia comprensibile l’esigenza di agire tempestivamente mi rimane qualche perplessità sul coinvolgimento nelle riunioni indette dai ricercatori di personaggi come l’autore di una guida su Lumignano con tutte le vie e varianti possibili del “cantiere berico a cielo aperto” infestato da spit come un cadavere dai vermi. Parliamo di gente che concludeva i suoi interventi (vedi sul sito di Sandro Gogna) con «buona chiodatura a tutti». Tanto per capirci.
Concludo anch’io. Probabilmente per gran parte dei FC vale ancora la massima evangelica: «perdona loro, non sanno quello che fanno». Li considero vittime consenzienti del sistema merce-spettacolo-merce, criceti inconsapevoli – per quanto nocivi – dentro la loro ruota..
Ma comunque qualche conseguenza bisognerà pur trarla dalla incresciosa vicenda, prova ulteriore della totale incapacità delle varie associazioni nel gestire la sbandierata “autoregolamentazione”. A mio parere è ormai fuori discussione l’assoluta incompatibilità fra la pratica dell’arrampicata “sportiva” e la conservazione della biodiversità (almeno di quella ancora presente fino a qualche anno fa…) in un’area fragile e circoscritta come quella di Lumignano e dintorni (covoli di Castegnero, covoli di Nanto, Rupe di Barbarano, San Donato..).
Il grado etno-storico di attenzione relazionale (con “l’altro”, umano e non) del maschio veneto si epitaffia nel noto detto: “Maria (v)oltete che te doparo”
Ogni altro commento e/o traduzione mi pare superfluo .