Il pianeta Terra rischia di diventare una “Hothouse Earth”
di Umberto Mazzantini (*)
Possibile un effetto domino. Mantenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 – 2° C potrebbe essere più difficile di quanto si pensasse
Un team internazionale di scienziati ha pubblicato su Proceedings of National Academy of Sciences (PNAS) lo studio “Trajectories of the Earth System in the Anthropocene” che dimostra che «Anche se vengono rispettate le riduzioni delle emissioni di carbonio richieste nell’accordo di Parigi, c’è il rischio che la Terra entri in quello che gli scienziati chiamano “Hothouse Earth”. A lungo termine, il clima della “Hothouse Earth” si stabilizzerà a una media globale di 4 – 5° C superiore alle temperature preindustriali, con un livello del mare di 10 – 60 m superiore rispetto a oggi». Per questo, secondo gli scienziati, «è urgente accelerare notevolmente la transizione verso un’economia mondiale emission-free». Attualmente, le temperature medie globali sono di poco superiori a 1° C rispetto a quelle preindustriali e aumentano di 0,17° C per decennio.
Il principale autore dello studio, Will Steffen dello Stockholm Resilience Center e dell’Australian National University, spiega che «le emissioni antropiche di gas serra non sono l’unico fattore determinante della temperatura sulla Terra. Il nostro studio suggerisce che un riscaldamento globale di 2° C indotto dall’uomo potrebbe innescare altri processi del sistema terrestre, spesso chiamati “feedback”, che possono causare ulteriore riscaldamento, anche se smettiamo di emettere gas serra. Evitare questo scenario richiede un reindirizzamento delle azioni umane, dallo sfruttamento alla gestione del sistema terrestre».
Gli autori dello studio hanno preso in considerazione 10 processi di feedback naturale, alcuni dei quali sono “tipping elements” cioè soglie limite che portano a cambiamenti improvvisi se vengono superate e dicono che «questi feedback potrebbero trasformarsi da un “amico” che immagazzina carbonio in un “nemico” che lo emette in modo incontrollabile in un mondo più caldo». Si tratta di: scongelamento del permafrost, emissione di idrati di metano dal fondo dell’oceano, indebolimento dei pozzi di carbonio terrestri e oceanici, aumento della respirazione batterica negli oceani, morte della foresta pluviale amazzonica, deperimento della foresta boreale, riduzione del manto nevoso nell’emisfero settentrionale, scomparsa del ghiaccio estivo del Mare Artico e riduzione della banchisa ghiacciata marina antartica e delle calotte polari.
Un altro autore dello studio, Johan Rockström, ex direttore esecutivo dello Stockholm Resilience Centree co-direttore designato del Potsdam-Institut für Klimafolgenforschung (PIK), evidenzia che «questi punti di non ritorno possono potenzialmente comportarsi come una fila di tessere di un domino: una volta che una viene spinta, spinge la Terra verso l’altra, può essere molto difficile o impossibile fermare l’intera fila del domino. Se la “Hothouse Earth” diventerà realtà diversi luoghi sulla Terra diventeranno inabitabili».
Il difrettore del PIK, Hans Joachim Schellnhuber, dice che con questo studio «dimostriamo come le emissioni di gas serra dell’era industriale costringono il nostro clima e, in definitiva, il sistema terrestre a perdere equilibrio, in particolare, affrontiamo i tipping elements nel pianeta, meccanismi che potrebbero, una volta superato un determinato livello di stress, cambiarne uno in modo sostanziale, rapido e forse irreversibile. Questi eventi a cascata potrebbero far precipitare l’intero sistema terrestre in una nuova modalità operativa. Quello che non sappiamo ancora è se il sistema climatico possa essere “parcheggiato” tranquillamente vicino ai 2° C sopra i livelli preindustriali, come previsto dall’accordo di Parigi. O, se lo farà, una volta spintolo così lontano, scivolerà giù per il pendio verso un pianeta serra. La ricerca deve valutare questo rischio il prima possibile».
Quindi, tagliare le emissioni di gas serra potrebbe non essere sufficiente: «Massimizzare le possibilità di evitare una “Hothouse Earth” – si legge nello studio – richiede non solo la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e di altri gas serra, ma anche il miglioramento e/o la creazione di nuovi depositi biologici di carbonio, ad esempio attraverso una migliore gestione forestale, agricola e del suolo, la conservazione della biodiversità e tecnologie che rimuovono l’anidride carbonica dall’atmosfera e la stoccano sottoterra».
Ma lo studio fa anche notare «Queste misure devono essere sostenute da cambiamenti fondamentali della società che sono necessari per mantenere una “Stabilized Earth” dove le temperature siano ~ 2° C più calde di quelle preindustriali».
Un’autrice dello studio, Katherine Richardson del Center for Macroecology, Evolution and Climate dell’università di Copenhagen, conclude con una nota di speranza: «Il clima e altri cambiamenti globali ci dimostrano che noi esseri umani stiamo influenzando il sistema terrestre a livello globale, il che significa che noi come comunità globale possiamo anche gestire la nostra relazione con il sistema per influenzare le condizioni planetarie del futuro. Questo studio identifica alcune delle leve che possono essere usate per farlo».
(*) ripreso da http://www.greenreport.it/