Brasile: la sconfitta della democrazia – III parte
Terza ed ultima puntata dedicate ad analizzare il sorprendente, ma non troppo, trionfo di Jair Bolsonaro, che dal 1 gennaio è divenuto il nuovo presidente del Brasile. Al Planalto siede un uomo di ultradestra, razzista e pericoloso.
di Luigi Eusebi
“O Brasil acima de todos, Deus acima de tudo” (“il Brasile sopra tutti, Dio sopra tutto”), il mantra-progetto politico di Bolsonaro
Un sorprendente 64% di consenso popolare a inizio mandato semplifica la tradizionale luna di miele tra il governo entrante e la gente. In Brasile poi si ha l’impressione che ben poco di quanto viene denunciato a livello internazionale sui rischi democratici preoccupi realmente le persone, per non parlare dei media mainstream. Per non farsi mancare nulla è comunque già scoppiato uno scandalo che ha colpito Fabricio Queiroz, autista e consulente di Bolsonaro, che ha ricevuto una serie di bonifici sospetti per circa 1,2 milioni di reais (circa 300.000 euro) per spese in nero di campagna elettorale. Oltre a ciò, vi sono almeno altre cinque indagini per corruzione che coinvolgono ministri del nuovo governo. Alcuni, come già avvenuto nel governo Temer, sono degli “specialisti” nel farsi pescare in reati riguardanti il proprio settore di competenza: il super ministro dell’economia Guedes coinvolto in crimini contro il sistema finanziario, il ministro dell’ambiente Ricardo Salles, reo confesso per frodi nella falsificazione di mappe ambientali in qualità di assessore all’ambiente dello stato di San Paolo, la segretaria dei diritti umani, la pastora evangelica D. Alves, accusata di sfruttamento del personale domestico e dell’adozione illegale di una figlia indigena.
Tra le strategie ipotizzate in politica estera vi sono l’uscita dai Brics (un’istanza di tipo economico-politico riguardante Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, le principali potenze emergenti), in nome di una dichiarata fedeltà e sottomissione agli USA (come ai vecchi e gloriosi tempi della dittatura), la chiusura forzata e improvvisa della collaborazione di lunga data con migliaia di medici cubani, che operavano ad un eccellente livello professionale nelle aree più disagiate e meno assistite del paese, il confronto duro o il boicottaggio dei governi progressisti ancora superstiti in America Latina, a cominciare dal martoriato Venezuela, un’alleanza, anzi una vera fratellanza con Israele e le sue politiche di occupazione in Medio Oriente.
In politica interna come non menzionare il progetto “Bolsa estupro”, rivolto a regolamentare la materia in fatto di stupri: il violentatore dovrebbe pagare un mensile alla donna violentata che decida di tenere il figlio, mentre si cercherà di forzare la convivenza tra stupratore e vittima.
Come fatti già consumati vi sono l’estinzione degli storici ministeri del Lavoro, dei Diritti Umani, dello Sviluppo Agrario, della Cultura, soppressione o come minimo normalizzazione della Funai, l’ente deputato alla questione indigena, attualmente in forza al ministero della Giustizia, che già di suo era scarsamente influente nelle politiche pubbliche. E sospendere qualunque demarcazione di terre indigene, ubbidendo a pretese decennali delle violente lobbies rurali e minerarie.
In campo ambientale si segnala l’uscita dagli accordi di Parigi, copiando quanto già sancito dal governo Trump, dichiarando falsi e tendenziosi gli studi internazionali con indicatori drammatici sui cambiamenti climatici, con il conseguente ritorno allo sfruttamento intensivo delle risorse amazzoniche, oltre al rifiuto del Brasile di organizzare un prossimo evento in agenda sul tema. La teoria di Bolsonaro sul riscaldamento globale è che si tratti di un complotto marxista ideato ad arte per limitare il potere degli stati nazionali… In realtà inizialmente l’intenzione era di eliminare del tutto il Ministero dell’Ambiente, poi a fronte delle proteste interne ed estere Bolsonaro ha optato per la nomina provocatoria della già citata figura di Salles, pluricondannato per crimini ambientali. Alla recente conferenza ONU di Katovice in Polonia il Brasile ha “vinto” l’ironico premio di “fossile del giorno”, per il citato diniego di ospitare futuri eventi mondiali ambientali.
Chiosando un commento in sede di insediamento del governo, lo storico leader del Movimento Sem Terra, MST, Joao Pedro Stedile, ha commentato: “Il nuovo governo non ha nessun progetto di sviluppo, nemmeno di tipo liberista, ma sarà completamente succube di banche, multinazionali, privatizzazioni. Basti vedere la storia pregressa dei ministri e dei loro Chicago’s boys”
In termini più empatici, on the road, parrebbe che non sia possibile utilizzare argomenti “normali”, razionali e di buon senso, in discussioni informali su Bolsonaro. Le elezioni hanno visto prevalere, non da oggi e non solo in Brasile, elementi che toccano tutt’altre corde, emotive o di bisogni primari, con strategie di marketing che utilizzano profili catturati dai social network e con l’aiuto di sofisticati algoritmi fabbricano e “vendono” il prodotto candidato. Un interessante e scanzonato video ha circolato a lungo in Brasile in questi mesi su questo tema. Il titolo: “tua zia non è fascista”, sottolinea con linguaggio accessibile come persino nelle famiglie della gente più semplice o in gruppi sociali caratterizzati da tradizioni di solidarietà mutua nella vita quotidiana, il fenomeno Bolsonaro sia penetrato in profondità, facendo leva su emozioni e sentimenti non razionali. Io stesso, in loco, constato questo fenomeno ogni giorno, con la difficoltà, a volte l’impossibilità, se si vogliono mantenere relazioni di amicizia di lunga data, di scambiare opinioni politiche sulla situazione in modo lucido e ponderato…
E adesso che si fa?
Dopo un tentativo in campagna elettorale promosso da milioni di donne brasiliane, dal titolo “Ele nao!” (lui no!), che ha cercato di informare la popolazione sui rischi democratici e dei diritti civili relativi all’elezione di Bolsonaro e che, come spesso avviene, è stato più visibile all’estero che in patria, i principali movimenti sociali del paese sono scesi sul piede di guerra promuovendo marce, raccolte di firme, denunce internazionali, per arginare un governo considerato fascista. Il PT e il Psol (altra forza di sinistra) hanno boicottato la tradizionale simbolica presenza a Brasilia alla “posse” (insediamento) del nuovo presidente, anche per reiterare la denuncia della non regolarità del processo elettorale che ha impedito la partecipazione di Lula, tuttora in carcere a Curitiba.
Il dubbio è se tutto ciò possa effettivamente costituire un piano efficace di opposizione al nuovo governo ed agli interessi più o meno occulti che lo sostengono. Alcuni osservatori ritengono che la sinistra brasiliana non parli più la lingua delle periferie. I poveri, qui come ad altre latitudini, hanno votato per il progetto dei ricchi… Molti intellettuali e politici si riempiono la bocca di discorsi e linguaggi infarciti di espressioni come “popolo” e “diritti umani” ma non dedicano un minuto di tempo a visitare le favelas, gli slums periferici popolati di baracche precarie, le aree rurali o indigene isolate. Il contesto internazionale sicuramente non aiuta, come in Europa, negli USA, nel mondo si constata ogni giorno. Il PT dovrebbe rifondarsi, compiere una sana e purificatrice autocritica. Le forze popolari ritornare al lavoro di base che tanto importante è stato negli anni successivi alla dittatura militare. Il movimento progressista ridisegnare un progetto sociale e politico coerente e realizzabile, che tenga conto delle moderne tecnologie comunicative e che valorizzi e riproponga valori etici di inclusione sociale.
In caso contrario è probabile che in un Brasile che vuole uscire dai già edulcorati accordi sul clima di Parigi per la riduzione dell’inquinamento e della temperatura globale, si prospetti un’epoca di riscaldamento degli istinti più primitivi e dell’effetto serra dei diritti umani…
A proposito di Bolsonaro,
segnalo l’articolo pubblicato da Pressenza, “Appunti su Bolsonaro a Davos: la scala, la pista cifrata e una autostrada”: https://www.pressenza.com/it/2019/01/appunti-su-bolsonaro-a-davos-la-scala-la-pista-cifrata-e-una-autostrada/