Monga/Baldi e Nicola Galli
di Susanna Sinigaglia
Una piacevole scoperta e una grossa delusione
Duetto in ascolto
Camilla Monga e Zeno Baldi
Interessante e singolare nella sua semplicità il lavoro della danzatrice Camilla Monga e del compositore Zeno Baldi. Il corpo che danza, nel serrato dialogo con il suono, dà vita a forme che si rispecchiano su 4 pannelli leggermente concavi situati lungo la scena, restituendo così sia immagini dilatate dall’effetto anamorfosi sia la loro moltiplicazione come in un labirinto di specchi.
Il tutto è rischiarato da piccoli lampioni che costituiscono altrettanti stimoli luminosi sul percorso della performer da un estremo all’altro dello spazio scenico.
Camilla Monga fa parte dell’ormai numerosa schiera di giovani che si sono formati all’Accademia di Belle Arti e, mettendo a frutto le proprie conoscenze, creano coreografie originali lungo le coordinate di un nuovo linguaggio che si sta aprendo la strada nella danza già da qualche anno, e continua a riservarci gradite sorprese. D’altro canto Zeno Baldi che, oltre al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, ha frequentato la KunstUniversität di Graz – di musica e arti sceniche – si pone al fianco della performer come collaboratore ideale.
https://www.triennale.org/eventi/la-giovane-coreografa-italiana-camilla-mongacollabora/
Deserto digitale
Nicola Galli
con
Alessandra Fabbri e Paolo Soloperto
Avevo visto Nicola Galli qualche anno fa a Brescia, nell’ambito della NidPlatform, e ne ero rimasta molto felicemente colpita; per la freschezza e originalità della sua proposta, la grazia del suo corpo ancora quasi adolescente. Voglio ricordare uno stralcio della recensione che ne feci allora: “Nicola Galli … inserisce nel suo lavoro … molti elementi: oggetti fungibili in legno che racchiudono a loro volta altri oggetti, per esempio palline da biliardino, ma anche rimandi pittorici illustri (nel caso specifico, a Piero della Francesca) come l’uovo sospeso a un filo … E mentre volteggia fra i vari elementi manipolandoli, giocandoci, a tratti addenta una mela”.
In questo spettacolo presentato a “Fog” la freschezza e inventiva dell’artista restano soffocate da elementi che gli sono estranei. Ardua la scelta dei brani musicali, tratti da Edgar Varèse, in particolare Déserts, cui s’ispira il titolo della performance. Altrettanto impegnativo il testo – ispirato liberamente nientemeno che a scritti dello stesso Varèse, Alice Miller, Gilles Clément, Marcel Proust – recitato da Alessandra Fabbri.
L’inizio sembra promettente: sul palco campeggia un disco che avrà volta per volta funzione di specchio, schermo dietro cui celarsi o su cui effettuare proiezioni. L’attrice si rivolge al pubblico chiedendogli che cosa gli evochi la parola “deserto” e poi elenca i vari deserti possibili concludendo con il deserto interiore degli esseri umani. Indica con una lunga bacchetta su vari pannelli immagini del corpo umano che sembrano riprese da un libro di anatomia. Entra in scena Paolo Soloperto, nudo, e lei si avventa su di lui cercando di toccarne il corpo in diversi punti con la bacchetta.
Qui cominciamo a chiederci: che cosa c’entra tutto ciò con i deserti e in particolare con il deserto interiore degli esseri umani?
Nella performance si alternano pezzi recitati dall’attrice e brevi coreografie dove finalmente entra in scena Nicola Galli, che dovrebbe essere l’interprete principale e appare invece come comprimario.
Indossa un bel costume blu a strisce rosse, bianche e gialle, impegnandosi in un assolo. In seguito, interpretando un’impetuosa coreografia, insieme al partner maschile indossa una tuta blu con macchia rossa. Queste irruzioni della danza, quest’esibizione di colori, sembrano però avere vita a sé.
Ne deriva un lavoro frammentario, in cui bei momenti coreografici e belle immagini s’inseriscono fra altre e più lunghe sequenze incongrue perché stilisticamente fuori registro. Vedi, per esempio, la scena piuttosto gratuita già citata del nudo di Paolo Soloperto o, in seguito, quella più pudica di Nicola Galli che si mostra solo di spalle. O la comparsa dell’astronauta, che si potrebbe pensare vaghi in uno dei tanti deserti di cui si parlava all’inizio risultando, tuttavia, troppo estemporanea e insieme scontata.
In particolare piuttosto raccapricciante è la visione di Alessandra Fabbri, nuda ma non troppo perché ricoperta da un costume a pelle color carne, che seduta su una sedia viene sottoposta dall’astronauta – Paolo Soloperto? forse per vendicarsi? – a una sorta di visita odontoiatrica mentre sul disco-schermo appare proiettato l’interno della sua bocca, un antro veramente spaventoso: era quello il deserto interiore cui accennava all’inizio?
https://www.triennale.org/eventi/nicola-galli/