A due passi dalla fabbrica fallita
di Natalino Piras
Arrivati a Sa Mossicrosa furono quasi subito, dopo qualche metro di sterrato che collegava la tanca con la strada asfaltata, nella scena del crimine. C’era già parecchia gente, i curiosi al di qua del muro a secco che separava Sa Mossicrosa da altre proprietà dell’altipiano. Il cancello, fil di ferro e filo spinato intrecciato a pali di legno e rami d’albero, rimaneva aperto. La fabbrica fallita era a due passi e faceva un certo effetto vedere, dentro un recinto di blocchetti e eternit, i quattro capannoni dismessi, Alfa, Beta, Gamma, Delta tex. Sembravano orchi abbattuti.
Solinas disse a Mikali di aspettare e si avviò con la macchina fotografica a tracolla. Si avvicinò con fare naturale allo spiazzo dove il cadavere di Antonio Partes non era stato ancora ricoperto e con fare tra il professionale e il dilettante iniziò a scattare fotografie. Durò poco. Il capitano Vittore reagì da bestia. Con un balzo si staccò dal pm e fu sopra Solinas. Lo spinse e il cronista cadde a terra. Si rialzò e subito Vittore riprese a strattonarlo. Lo riempì di pugni dopo avergli strappato di mano la macchina fotografica. «Che cazzo fai brutto coglione!» A palmo largo, il capitano dei carabinieri mise una mano in faccia al cronista e con l’altra, come un rozzo prestigiatore, aprì la macchina fotografica e la buttò a terra, mirando a un pezzo di granito che affiorava nell’erba. Quasi in simultanea, il capitano premette sulla faccia di Francesco Solinas che cadde a terra. Il cronista sentì su di sé l’erba bagnata che gli entrava nei pantaloni e li inumidiva a larghe chiazze d’acqua, sembrava che se l’avesse fatta addosso. Dentro la 500, seduto davanti, al posto del passeggero, Mikali assisteva impotente, terrorizzato. Furioso, Vittore raccolse il rullino caduto a terra e perché non ci fosse alcuna possibilità di recupero strappò con i denti quanto fuoriusciva della pellicola. Poi, sadico, pestava con gli scarponi da militare sporchi di fango sopra quanto rimaneva della macchina fotografica. A paradosso, a Mikali tornò in mente quando bambino nella campagna di Iskiozza vide per la prima volta com’è che si pigiava l’uva per farla diventare vino. Ma il muoversi di Maureddu era come un ballare lieto, le mani sui fianchi, ritmico, prima un piede e poi l’altro, scalzo, il liquido di rosso intenso che correva sopra il sughero apposta scorticato prima di precipitare nel paiolo di rame sottostante, poggiato su una roccia di granito. Ai bambini fecero assaggiare il mosto. Era dolce, gradevole.
Vittore invece era una furia. Francesco Solinas restava a terra mentre il capitano urlava e inveiva contro i carabinieri in mimetica: Il magistrato Florit era come se non si fosse accorto di nulla, come avvolto da indi
fferenza. Continuava a monologare: «La regola è stata rispettata. Tutto si è svolto secondo il normale iter della morte come usa da queste parti. L’alfa come tendenza all’omega, un percorso logico, ben definito: il nulla che genera il sempre. Eppure questi non ammazzano per fame».
La scena gradualmente si ricompose. Di malo modo, strattonandolo, prendendolo per le ascelle come un corpo ubriaco, i carabinieri rialzarono da terra Francesco Solinas e con la gentilezza cui erano adusi in queste circostanze gli chiesero i documenti nel mentre che lo frugavano come un criminale di guerra. Francesco Solinas riuscì a mostrare loro il tesserino da giornalista pubblicista. Ma quelli non lo considerarono. Uno, un bestione rosso di faccia, capelli rossi, barba folta, rossastra anche questa, disse in sardo di un paese del Goceano: «Isticchidilu in culu» .
Poi intimarono a Francesco Solinas di allontanarsi, restando però sempre a tiro, gli avrebbero detto loro quando poteva andar via. Magari lo avrebbero riportato in paese ammanettato con ferri da campagna, pronta la camionetta per buttarcelo dentro, «comente si faghede chin sal belveghes baddinosas» , disse a faccia feroce il rossastro.
In tutto quel trambusto non si erano accorti di Mikali. Ripresosi dall’impanicamento, uscito quasi carponi dalla 500, Mikali si era confuso nella piccola folla di curiosi. Calcolò che da un rialzo di rocca a nemmeno cento metri di distanza dal punto dove Antonio Partes continuava a restare scoperto, avrebbe potuto vedere e pure sentire.
Natalino Piras, Barbaricinorum libri –
1. Il Condaghe di Santu Andria Rebek. Morte di Antonio Partes
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Immagini: Nico Orunesu