A scuola di rivolta
di FRANCO BERARDI BIFO (looponline.info)
Il governo italiano, in questo perfettamente allineato con le direttive della Banca centrale Europea, sta distruggendo la scuola, e in particolare sta distruggendo l’accademia di Brera nella quale insegno precariamente sociologia della comunicazione. Questa nota è il mio intervento nell’ambito della discussione che si sta svolgendo fra gli insegnanti di quella scuola.
Dovendo iniziare il mio corso a Brera il 14 marzo voglio capire se vale la pena di prepararmi a fare lezione e a svolgere il mio compito, sia pure malissimo pagato e pochissimo rispettato. La risposta questa volta è: no. Sarò a Brera il 14 marzo, ma agli studenti che avranno la cortesia di venirmi ad ascoltare non parlerò, come avevo pianificato e promesso, di ciberculture, ma parlerò di come si organizza una insurrezione. Perché non vi è altro tema che valga la pena di discutere al momento. Non perché il lavoro dei docenti precari è minacciato a Brera. Questo è un problema, però è un problema che in sé non ha soluzione.
La riforma Gelmini comporta una riduzione di otto miliardi di euro nel primo anno e altrettanto nel secondo della sua applicazione. Gli effetti ormai si sentono e si vedono dovunque. E siamo solo all’inizio, perché negli anni a venire gli effetti di quell’atto criminale produrranno barbarie, ignoranza, violenza, miseria. E neppure è un problema solo italiano, dato che in Gran Bretagna decine di migliaia di studenti stanno già abbandonando gli studi a causa del fatto che le tasse di iscrizione all’università sono state triplicate, mentre mezzo milione di lavoratori pubblici attende il licenziamento nell’arco di tre anni, e i tagli preparano una devastazione della società. Non ho intenzione di fare una predica, voglio solo dire che il nostro problema non lo risolveremo contrattando con qualche burocrate. Lo risolveremo quando avremo abbattuto la dittatura finanziaria in Europa. E’ troppo per le nostre esili forze? Certo che è troppo per le nostre esili forze, ma il problema non è solo nostro. Sono milioni i lavoratori – nell’industria nella scuola nella ricerca, nei servizi – al limite della miseria e della catastrofe. Quando milioni di persone debbono scegliere tra la rivolta e la miseria, tra la lotta a oltranza e la depressione – è il momento di preparare l’insurrezione. E’ meglio saperlo, è meglio prepararsi. Dopo di che possiamo accettare l’idea che ciascuno di noi cercherà di cavarsela come può, magari ritirandosi in campagna a coltivare l’orto. Ma è meglio sapere che il nostro futuro, come quello dei nostri studenti non esiste più, a meno che non siamo disposti a rischiare (molto, anche la vita questa volta) per il diritto a insegnare e studiare, per il diritto a un salario decente, e per la dignità. Non serve parlare con i burocrati di Brera, penso che siano esecutori di un disegno di devastazione del quale non possono cambiare neppure i dettagli. Serve occupare una piazza, una stazione, un parlamento, e rimanere lì fin quando il governo della mafia se ne sarà andato, e fino a quando la dittatura Trichet-Sarkozy-Merkel sarà stata abbattuta. E’ chiedere troppo? Può darsi, ma chiedere di meno non ci porta più da nessuna parte. Il Knowledge liberation front, riunito a Paris Saint denis il 12 Febbraio ha indetto una giornata di teach in nelle banche delle grandi città europee per il 25 marzo. A Londra lo stanno già facendo da alcune settimane: si entra in una banca e la si occupa per fare lezione, per leggere poesie, per parlare di biologia molecolare per stendere i panni, per dormire.
Occupare le banche deve diventare una pratica comune. E’ pericoloso? Sì è pericoloso, ma è più pericoloso ancora aspettare che qualcuno risolva il problema. La guerra che il capitalismo finanziario ha dichiarato contro la società è giunta alla stretta finale. Naturalmente non nego che esista uno specifico della questione di Brera, ma la sola cosa da fare, se siamo capaci di farla, è occupare Brera e trasformarla in un centro per le azioni contro la dittatura finanziaria. Mi scuso per l’enfasi un po’ tragica. Ma stavolta la tragedia non è un effetto della mia immaginazione.
Franco Berardi Bifo
Fonte: www.looponline.info
Link: http://www.looponline.info/index.php/editoriali/485-a-scuola-di-rivolta
2.03.2011
Ecco, esatto..
Che belle proposte… molto bene, benissimo!
(…) E’ chiedere troppo? Può darsi, ma chiedere di meno non ci porta più da nessuna parte (…)
Mi piacciono molto le parole che cominciano per “in”. Incominciare per esempio. Poi anche incazzarsi, roba di tutti i giorni. Inps, che non mi avrà mai. Intimo, cosa di meglio? Informazione, cerco di viverci. Insano, è il mio stile di vita. Incivili, sono sempre quegli altri. Inane, che non uso ma ci sta. Indenne, ti ha detto bene. Innesto, un’operazione vitalizzante. Inoltre, decisivo nella scrittura. Inquadrato, non lo sarò mai nella vita ma può darsi sullo schermo. Intero, ancora adesso, evvai!
Quella che ho letto sopra è una parola che mi fa riflettere. Insurrezione. Comincia per in e potrebbe anche piacermi, ma è passato così tanto tempo dall’ultima volta che se n’è discusso che vederla riproposta col solo volontarismo, senza accompagnarla con un sintomo di esistenza in vita di un qualcosa che sia materialmente in grado di discutere, nemmeno movimentare, codesta possibilità, mi sembra un tantino sopra le righe.
L’autore d’altronde ha questo stile, che lo rende particolare, ma è proprio perchè con lui e altri di tante vite fa quella parola è stata usata in tanti e tanti modi, che si ha il diritto di chiedergli di specificare meglio il vocabolo e il concetto. Perchè ci si prendono responsabilità grandi quando si usano queste parole, la prima delle quali è quella di coprire con il dito la luna, di spostare l’attenzione dalla questione dei rapporti di forza allo scontro finale. Io credo invece che dovremmo provare a fare uno sforzo perdendo anche un po’ di tempo in più se necessario, per capire cosa abbiamo intorno, perchè la partita in gioco è quella antropologica, la curvatura che prenderà il sistema neuronale umano dopo la tempesta di particelle intossicanti degli ultimi anni, tossicità a cui Bifo pure ha contribuito come tutti noi, ma che non permette di ripresentarsi così, come se niente fosse accaduto, per dire: cazzo dai, facciamo la rivoluzione.
Non ha detto facciamo la rivoluzione, credo. Insurrezione è un altra cosa, che ha obiettivi meno sistemici, probabilmente. O forse no, forse intendeva proprio rivoluzione… cominciamo a fare entrambe le cose, cominciamo a preparare le coscienze, vecchio annoso problema, oggi più vivo che mai. E contemporaneamente a “fare” qualcosa, anche le azioni hanno valore di formazione di coscienza (di classe)… insomma cominciamo da qualcosa… boh!
sarà che ho un gran mal di schiena ma oggi punto alla brevità (anche se il discorso sarebbe luuuuuuungo): nello scambio fra Gino e Gianluca mi pare abbia ragione Gino cioè Bifo. Noi rane stiamo nel pentolone sempre più caldo, quando ci accorgeremo che fra poco siamo “morte”? Ho detto rane non ranocchi del bacio che ri(s)catta come nelle favole. Insorgere mi pare l’unica (db)
Sarò più esplicito e avrei piacere di ripetere queste cose dinanzi a Bifo che ho motivo di ritenere non se ne offenderebbe sul piano personale: era un cialtrone trent’anni fa e con questo breve scritto mostra di aver tenuto fede alla linea ancora adesso. Non una sola delle sue “predizioni” si è verificata, statisticamente ci prende di più il mago Zufus. Siccome il problema di una fetta di persone a cui appartengo non è il voler o meno rovesciare il mondo, ma cercare di rovesciarlo davvero, e siccome non c’è una sola condizione per poterlo fare, continuo a pensare che uno che mi dice che è il momento della rivoluzione è proprio adesso perchè gli hanno toccato il posticino, io penso che quel qualcuno non è credibile.
Sulla mancanza di condizioni non potrei essere più che d’accordo. io intendevo creamole, nel senso anche concreto. Alcune delle cose che dice, le occupazioni, per es., mi sembrano fattibili… io aggiungerei scioperi generali seri, come in Grecia… insomma cercare di praticare…
Certo Gino, mica tutto quello che dice Bifo è da buttare. Adesso però ti chiedo, nel tuo lavoro o nel gruppo di persone che frequenti quante persone di fronte a una palese ingiustizia sono pronte a “fare” qualcosa oltre che a dire o firmare qualcosa? Insomma se in questo paese ci sono dei rapporti di forza di un certo tipo non è per fare dispetto a Bifo.
Non molte, pochine. Per questo è buono l’invito a praticare, secondo me. Se la coscienza non c’è da qualche parte (da qualcheduno, anche pochini) bisogna cominciare. Se ci sono dei rapporti di forza che conosciamo, o meglio, se la gente non reagisce a determinati squilibri, è perché la manipolazione mediatica ha raggiunto da noi livelli sconosciuti nel mondo occidentale, a causa della concentrazione del “quinto potere” nelle mani di uno solo. Non possiamo esaurire qui un discorso non solo complesso ma anche doloroso, soprattutto quando ci confrontiamo con persone a noi vicine, miopi e chiuse nella autodifesa delle proprie minuscole sicurezze, su questo concordo. Partiamo dal piccolo, dagli ambienti di lavoro, anche solo parlare con i colleghi… non rinunciare alla fatica di un confronto che sembra inane… iniziative commisurate al numero delle persone coinvolte, boh… Insomma il 14 dicembre qualcosa è successo, qui da noi, non altrove; dobbiamo trovare la chiave per moltiplicare esperienze come quella. Vabbè, è tardi e sono stanco. Lascio a tutti i frequentatori del blog un piccolo aforisma beneaugurante, per quello che serve…
ciao
L’uomo ha sempre realizzato e riconosciuto il possibile cercando l’impossibile, mentre quanti si sono saggiamente limitati a quanto sembrava loro possibile non sono mai avanzati di un passo.
Bakunin