«A volte sono oggetto»: poesie di Silvia Borghi
db alle prese con parole e immagini «sui petali delle cose»
«Stringo pugni di sabbia / dietro al muro / mentre invento la luce. // L’alba invecchia / sui petali / delle cose». Così la quarta di copertina di «A volte sono oggetto» con le poesie di Silvia Borghi arricchite da prefazione e opere di Santa Spanò; edizioni Artestampa (settembre 2023: 130 pagine con molte illustrazioni per 18 euro).
«A volte sono / oggetto»: il libro si apre così; e sarebbe un vile “spoiler” dirvi come finisce. Si può anche essere «uragano», «goccia d’assenzio», «sfacelo», «Sole opaco» e «ombra aliena» (come in una delle poesie più lunghe).
Le più brevi sono di 2, 3 o 4 righe: per i miei gusti di non poetante (intendo persona che sualtuariamente legge poesie) sono avvincenti. Pensate all’haiku giapponese? Sì per la brevità però mi pare siano più ambiziose e complete, non solo un bel frammento all’improvviso.
Il poemetto «L’anima e la luccciola» – 8 pagine – a me ha fatto l’effetto del migliore sax: voce umana sempre, ora dolcissima, adesso rabbiosa, a tratti irriconoscibile, con un «Urlo addormentato» o stelle che stridono «sul vetro del cielo». Musicalità estrema dunque e proprio in apertura del libro una frase di Pessoa conferma come in molte persone che cercano arte c’è un atteggiamento“multiforme” e “poli-strumentista”: «La mia anima è una misteriosa orchestra: non so quali strumenti suoni o strida dentro di me corde e arpe, timballi e tamburi. Mi conosco come una sinfonia». Avviso ai naviganti: se vi viene il dubbio come a me che i timballi si mangino e basta, verificate i registri dell’organo. C’è anche nelle pagine il rumore di una goccia come quello che teneva sveglio da bambino Charles Mingus: basta poco per reinventare i suoni. O le parole. Per ricontestualizzarle. Come nelle citazioni (sono dichiarate in fondo) di Leopardi, Alda Merini, i fratelli Grimm e Majakovskij.
Le “opere” di Santa Spanò – non a caso in altre occasioni si firma «la Santa furiosa» – svariano tra foto, disegni e grafica al computer. Molti specchi, qualche Morgana o Alice, strane strade d’acqua, spine dolci, piante insafferrabili. C’è anche una breve nota sull’uso della schwa – Ə (minuscolo ə) – che merita attenzione. Nella prefazione Santa Spanò racconta della necessità di «annullare ogni forza di gravità» per fare poesia vera. Tutto ruota «intorno all’amore che lei non pronuncia» (questa parola si trova solo una volta nel libro e con ironia memorabile) ma appare di continuo «con altri linguaggi, codici, simboli».
Un libro che mi ha costretto a più piacevoli letture, a distanza di tempo. Per me il miglior jazz e certa poesia si amano così: dimenticando subito quel che ami per avere la gioia di ritrovarlo poi come nuovissimo.
DUE NOTICINE PERSONALI
1. Mi piacerebbe essere oggi pomeriggio alla presentazione del libro a Modena ma un perfido mix (freddo, treni scomodi, stanchezza mia…) lo impedisce. Beh, certo mi lega una vecchia/giovane amicizia con Santà Spanò – chi frequenta la “bottega” di certo ha letto i suoi scritti “grint-ironici” – ma ero curioso anche di ascoltare Silvia Borghi. Ritenterò.
2. A s/proposito l’abbreviazione Silvia B mi ricorda qualcosa… Ah no, scusate: quello era Silvio B. Un grand’uomo che ha fatto il bene dell’Italia, rammentate vero?