Ho accolto con entusiasmo l’invito ad andare a Malta, nei mesi scorsi proprio perché mi sento figlia del mare. Isolana. Il mare mi affascina, nuotare nelle acque del Mediterraneo mi suscita pensieri ed emozioni speciali… come se fossi sempre in attesa che quel mare raccontasse la biografia sua e delle terre che bagna.
Sono nata a Trapani, cresciuta e formata nei miti di quel mare. Nella storia di quei popoli che arrivavano dal mare e si fermavano nella più grande Isola del Mediterraneo, lasciando segni notevoli del loro soggiorno. Nell’arcipelago maltese invece mi ero recata, in passato, con un gruppo di femministe storiche già nel 1981 quando è stato aperto al grande pubblico l’ipogeo, ma adesso avevo aspettative diverse, certo sempre con la cultura della Grande Dea, nel cuore.
Andando con ordine. Le sorprese arrivano subito appena l’aereo decolla da Bologna: allegria nell’aria, musica pop, grande disponibilità degli assistenti di volo e un gruppetto di nove ragazze belle, anzi bellissime, bionde, vivacissime, molto allegre che ridono, scherzano, muovono armonicamente il loro corpo, non discostandosi dalle poltrone loro assegnate, inseguendo il ritmo che è in onda. Scherzano con l’unico uomo fra gli assistenti di volo, accettano consigli, indicazioni sul loro imminente soggiorno nell’isola e poi brindano con champagne alle prossime nozze di una di loro con un giovane napoletano. Praticamente era una festa di addio al celibato che sarebbe durata quattro giorni a Malta per ritornare subito a Bologna.
L’evento ormai non sembra eccezionale fra i giovani che sono in procinto di sposarsi, ma lo cito perché in molti luoghi dell’isola poi, ho incontrato altri gruppi di giovani maschi e separatamente di giovani donne, anche velate, in giro con la stessa motivazione
Ma io ero in cerca della “sorellanza” con la Sicilia e delle parole-racconti delle pietre da ascoltare con grande raccoglimento. Mi aiutano nel tour amici siciliani che da alcuni anni da Vittoria si sono trasferiti nel più piccolo Stato d’Europa. Mi sembrano molto soddisfatti della loro scelta, del loro lavoro autonomo tra boutique di alta moda nel cuore della Valletta e impresa per l’architettura del verde in ville padronali. Hanno capito subito le dinamiche socio-politiche, quale classe dominante il liberismo imperante, la sorta di sovranismo psicologico individuale, quella severa forma di “legittima difesa” con legale possesso di armi da fuoco, come da qualche tempo ne sentiamo parlare anche in Italia. La piccola criminalità sembra scomparsa. Furti rapine scippi: azzerati. Per donne e ragazze sole nessun pericolo. Sicurezza garantita anche di notte. Nessuna invasione o rifiuto migranti. Nessun migrante a bighellonare per le strade. Chi viene accolto è subito inserito nel mondo del lavoro. In rapporto ai 500 mila abitanti Malta ha 5 immigrati per ogni persona residente. Le carceri sono quasi “in disuso”. Chi commette reato non viene neppure arrestato ma spedito subito – senza attenuanti – al Paese di provenienza.
La proprietà privata è sacra. Niente tasse sugli immobili né sui conti in banca. La superficie calpestabile sottratta all’edilizia è poca, come sono poche, lontane dalla costa, le aree rimaste verdi per l’agricoltura, indispensabili per il nutrimento degli autoctoni.
A parte la stessa origine geologica con la Sicilia, le dominazioni straniere di Fenici, Greci, Cartaginesi, Romani, Arabi, Normanni, Aragonesi, le hanno legate allo stesso destino e cultura fino ad un certo punto della Storia, poi anche per diverse logiche politiche decise fuori dalle due isole, il loro ruolo anche internazionale è diventato altro. Malta è rimasta a lungo sotto l’influenza francese e poi dominio britannico, la Sicilia regione italiana “autonoma”. Apparentemente libera.
A Malta l’architettura visibile è ancora in ottimo stato di conservazione, la fisionomia dei quartieri periferici e dei piccoli paesi limitrofi, la nomenclatura delle vie, le innumerevoli chiese, le sculture adiacenti e quelle collocate nei parchi, la struttura delle abitazioni non propriamente recenti, danno il segno della non breve presenza nel tempo di molti popoli: greci, arabi inglesi, in buona parte simile alla Sicilia, anche se l’impasto culturale complessivo sembra avere una sintesi meno significativa. Meno rinomata. Meno di riferimento anche accademico. Ancora ibrida nell’identità nonostante la decolonizzazione: né araba né europea
All’occhio del turista anche il più distratto, l’isola appare come un grande cantiere edile aperto con lavori in corso. Quartieri da risanare, case pericolanti da abbattere, ruderi saraceni e centinaia di gru in movimento. Ci sono notevoli investimenti stranieri, progetti sulla costruzione di strade, finanziati dalla Comunità europea, molte possibilità lavorative in settori specialistici. Si “importano” manovali edili, informatici, ingegneri, biologi marini, architetti, ma anche bassa manovalanza da inserire nella ristorazione o in strutture alberghiere, ovviamente con bassi salari inferiori al salario minimo europeo È consolidata da anni ormai l’Italia come grande partner commerciale nella logistica integrata, nel settore navale, della componentistica industriale, cantieristica e settore tessile
Molte le attività commerciali con i marchi delle più prestigiose multinazionali, concessionarie di grandi case automobilistiche, e paradossalmente in strade non molto spaziose (l’architettura delle strade poco spaziose ricorda quella araba, adatte per difendersi dal sole) si possono incontrare scoppiettanti Jaguar e Ferrari. Sembra che qualche magnate locale addirittura le collezioni tanto per vantarsi della sua scuderia con il cavallino rosso. E poi l’acqua non potabile, si de-salina quella del mare ma non è possibile berla. Quindi viene importata con le tonnellate di plastica che è uno dei principali settori inquinanti.
Casinò in gran voga con apertura H 24 per 364 giorni l’anno, con chiusura soltanto al Venerdì santo. Del resto credo sia la terra dove la fede cattolica venga praticata in modo esteso e sentito. E tanto riesce anche a dare il senso di come la Chiesa cattolica debba avere un gran potere decisionale come forza politico-religiosa.
Nella zona più turistica, sulla costa ovviamente, sono collocati alberghi e ristoranti, con cibi etnici e personale proveniente dai Paesi degli investitori. Così couscous, humus, harira si possono mangiare dai marocchini o al ristorante libico, il sushi al ristorante giapponese e poi sapori e odori del Meridione con il variegato mondo della cucina napoletana, pugliese, calabrese fino alla dolce Sicilia che penso proprio abbia piccole catene di ristoranti, rosticcerie e pasticcerie. Insomma, sembra che nessuno voglia perdere un suo posto o meglio opportunità commerciali-imprenditoriali sull’isola. Ma le sensazioni e i sentimenti che tutto questo provoca sono strani e contrastanti: mentre da un lato Malta sembra Las Vegas con turisti a sciami’, luci, colori, casinò, benessere sollievo-rifugio dallo stress, dall’altro appare come una inquietante programmazione. Monotonia. Quasi ad indicare che l’asse economico-finanziario e gli interessi di molti Stati stanno passando per Malta e ne programmano e dirigono la vita.
Ne ho incontrati, giovani e anziani. Diversissimi anche nelle caratteristiche somatiche. Un vero meticciato di popoli. Un po’ come in Sicilia anche se i siciliani mi sembrano avere connotazioni somatiche più autentiche e riconoscibili, meno “contaminate” dalle mescolanze di popoli, ormai da tempo.
Gli anziani, pescatori o contadini, parlavano il maltese puro, a volte anche l’italiano, ma capivano meglio il mio dialetto trapanese più che l’inglese, ormai lingua ufficiale dello Stato, mentre i giovani nati da matrimoni misti, magari tra siciliani e britannici, conoscono molto bene l’inglese, il francese, l’italiano e masticano qualche parola di lingua maltese. Ovviamente si tratta di giovani che hanno frequentato quelle scuole locali di formazione britannica, che hanno prodotto operatori turistici e chef di ottimo livello da immettere sul mercato per l’apertura di rinomati ristoranti di cucina maltese.
Dal 2004, dopo l’ingresso di Malta nell’Unione Europea molti prodotti tipici sono stati riconosciuti come Prodotti Alimentari Protetti. I ristoranti vengono proposti come cucina casalinga maltese, in trattorie che nella struttura architettonica ricordano le vecchie osterie di paese, ma sono più eleganti, con arredamento essenziale ma funzionale. Tanto da ricordare la famiglia di una volta. Non stento a credere che cucina casalinga – con pesce fresco o carne di coniglio, olio di olive vero, olive locali e il famoso morbido ossigenato pane maltese – abbiano molto successo, in una fase storica in cui non sappiamo più cosa mettiamo nel piatto e soprattutto nel tempo in cui, per motivi oggettivi, nelle famiglia spesso il pasto di mezzogiorno non viene più consumato a casa.
Il capo chef di un ristorante maltese nella località di S.Giulien mi ha raccontato che, liberati dalla dominazione britannica, anche per superare il senso di inferiorità che i dominatori avevano lasciato nei maltesi, costoro che fino a quel momento avevano relegato i loro piatti locali alla cucina domestica, tentano di recuperarla anche con le notizie storiche, attingendo alle loro tradizioni, legandola alle produzioni locali sia vegetali che animali: così accade per il formaggio pecorino che esalta il sapore dei cibi assieme all’uso delle profumatissime erbe aromatiche locali e ai capperi. Non trascurando di eliminare quei pochi piatti, non graditi al loro palato, lasciati dai britannici.
Non ci vuole molto a capire – come ormai si dice da molte parti che se l’Italia non è degli Italiani anche Malta non sia dei maltesi, però questi ultimi non sembrano darsi molto da fare. Avranno pure un loro equilibrio nell’accettare lo stato delle cose e mantenerlo.
Da quando il Paese è diventato indipendente dal Regno Unito nel 1964, ci sono due partiti politici che si contendono il governo: il Partito Nazionalista (“Partit Nazzjonalista” in maltese – PN), di centrodestra, e il Partito Laburista (Partit Laburista – PL) di centrosinistra. Attualmente i laburisti governano da soli. Tutto in ordine. Tutto tranquillo. Nessuna scritta antagonista sui muri, nessun segno di dissenso, soltanto qualche siciliano amico e consapevole mi parla dell’informazione, della libertà di stampa controllata, della corruzione, mi mostra il monumento per non dimenticare la giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, che nel 2017 rimase uccisa dall’esplosione della sua auto dopo che aveva pubblicato una serie di inchieste sui Panama Papers che coinvolgevano due alti funzionari molto vicini al governo del primo ministro Muscat. Prima di morire, nell’aprile del 2017 Caruana Galizia aveva pubblicato anche una serie di articoli che accusavano la moglie di Muscat di possedere una società off shore, attraverso la quale avrebbe ricevuto un milione di dollari dalla figlia del presidente dell’Azerbaijan. Le inchieste avevano costretto il primo ministro a indire le elezioni anticipate a giugno di quello stesso anno, che però era riuscito comunque a vincere.
L’omicidio di Caruana Galizia aveva suscitato molte proteste a livello nazionale ed europeo contro il governo maltese e, nonostante tre uomini siano stati accusati, non è ancora stato trovato il mandante del suo omicidio. La corruzione e l’omicidio di una giornalista che stava indagando proprio su quello hanno evidenziato i problemi strutturali di Malta, anche per quanto riguarda la separazione dei poteri (al momento il potere esecutivo è per lo più concentrato nelle mani del primo ministro), lo stato di diritto e la debole attuazione delle norme antiriciclaggio europee, nonché la tutela della libertà di espressione.
Tutto questo fa venire in mente come la colonizzazione non si sia mai conclusa – che l’imperialismo moderno mimetizzato nel fenomeno della globalizzazione passa attraverso il capitale transnazionale, l’immigrazione voluta e pilotata, la pauperizzazione dell’Africa, il massacro di esseri umani, il continuo attacco alla unità europea.
Ma sopravvive la speranza di un’altra cultura del vivere e del con-vivere – senza ostilità continua ad esistere, assieme all’Ipogeo-labirinto della dea Fertilità sotto il grande ventre di Malta alla Valletta o nell’isola di Gozo fra le rovine dei Grandi templi che risalgono alla Dea Madre che da sole dovrebbero bastare ad illuminare la conoscenza sulla storia degli esseri umani, a ritrovare la potenza che pure nell’isola c’è del principio femminile terribile e immenso. Voci di un passato che attraverso l’energia che ancora le pietre sprigionano stimolano l’anima, la mente ad aprirsi a nuove visioni, a nuove relazioni. Senza uccidere l’essere e il rimanere umani, tale percezione della cultura non sembra interessare o appartenere a chi si incontra per Malta. Forse è riservato soltanto a turisti di èlite.
(*) dalla rivista «Dialoghi Mediterranei» numero 38, luglio 2019
Lella Di Marco, laureata in filosofia all’Università di Palermo, emigrata a Bologna dove vive, per insegnare nella scuola secondaria. Da sempre attiva nel movimento degli insegnanti, è fra le fondatrici delle riviste Eco-Ecole e dell’associazione “Scholefuturo”. Si occupa di problemi legati all’immigrazione, ai diritti umani, all’ambiente, al genere. È fra le fondatrici dell’associazione Annassim.
RIFLESSIONE A POSTERIORI
Alla luce di quanto continua ad accadere, credo che tutti i numeri dati “ufficialmente” sull’accoglienza dei migranti siano da prendere con cautela. Alcuni sono vere e proprie bufale da usare in campagna elettorale ma intanto circolano … Nel caso di Malta penso che loro contino come “accolti” tutti gli sbarcati negli anni, non significa però che sono rimasti a calpestare il suolo del minuscolo arcipelago maltese. Se per necessità sbarcano 5 migranti, Malta ne restituisce 5-6.
Poi se sono clandestini li rispedisce al Paese di provenienza e molti altri – anche clandestini – vengono mandati negli USA per accordi presi con quel governo prima dell’era Trump.
Comunque siano le cose, è certo che Malta in percentuale ha accolto un numero di migranti maggiore che l’Italia.
Come è vero che gli stessi migranti non vogliono rimanere in quell’isola. E’ anche vero che ha molti “immigrati” residenti provengono dal Regno Unito. Fenomeno spiegabile forse con la crisi economica, con i problemi che la Gran Bretagna continua ad avere, al suo interno, con neri, pakistani e indiani. Tempi non proprio felici per quel popolo che sembra aver risvegliato una coscienza da potenza colonialista – sconfitta storicamente e che oggi rilancia una forma di neo colonialismo anche nel linguaggio, sintomo questo di una mutazione antropologica e non solo nella comunicazione.