Adam Zagajewski: «Di mia madre nulla saprei dire»
Diciannovesimo appuntamento con “la cicala del sabato” (*)
Di mia madre nulla saprei dire –
come ripeteva rimpiangerai un giorno,
quando non ci sarò più, e come non credevo
né nel “più”, né nel “non ci sarò”,
come mi piaceva guardare, quando leggeva
un romanzo alla moda,
sbirciando subito l’ultimo capitolo,
come in cucina, reputando che questo non è per lei
il luogo adeguato, prepara il caffè domenicale,
oppure, ancora peggio, i filetti di merluzzo,
come attende l’arrivo degli ospiti e si guarda
allo specchio,
facendo quella faccia che la proteggeva
efficacemente dal
vedere realmente se stessa (cosa che, pare,
ho ereditato da lei, assieme ad alcune altre debolezze),
come poi disinvoltamente disserta di cose
che non erano il suo forte, e come io scioccamente
la stuzzicavo, come in quella occasione in cui si
paragonò a Beethoven facentesi sempre più sordo,
e io dissi, crudelmente, ma sai, egli
aveva talento, e come tutto mi perdonava
e come io lo ricordo, e come volavo da Houston
al suo funerale e in aereo veniva proiettato
un film comico e come piangevo di riso
e di rimpianto, e come non ero in grado di dire nulla
e continuo a non esserlo.
[traduzione di Marco Bruno, da «Poesia # 310»]
(*) Ricordo che qui regna “cicala”: libraia militante e molto altro, codesta cicala da tempo – per essere precisi: 14 anni – invia ad amiche/amici per 3 o 4 giorni alla settimana i versi che le piacciono; immaginate che gioia far tardi la sera oppure risvegliarsi al mattino trovando una poesia. Abbiamo raggiunto uno storico accordo: lei sceglie ogni settimana fra le ultime poesie che ha inviato quella da regalare alla “bottega” e io posto. Perciò ci rivediamo qui fra 7 giorni. (db)