Aiutare chi è in pericolo, una costante nella storia

Tre esempi: due appartenenti al passato e uno attualissimo

di Anna Polo (*)

(foto di David Andersson)

Nei momenti più drammatici e violenti della storia dell’umanità c’è sempre stato qualcuno che ha fatto la scelta coraggiosa di ascoltare la propria coscienza e di aiutare chi era perseguitato e in pericolo. Questo significava sfidare leggi spietate e occupazioni militari ed esporsi alla possibilità di rappresaglie feroci, eppure in tanti hanno accettato questo rischio.

Gli esempi sono innumerevoli, ma tre in particolare – due appartenenti al passato e uno attualissimo – dimostrano che c’è sempre una luce anche nei momenti più bui.

Negli Stati Uniti dello schiavismo, tra la fine del Settecento e il 1861, anno d’inizio della Guerra di Secessione, una rete di itinerari segreti e rifugi sicuri aiutò migliaia di schiavi a fuggire dalle piantagioni del sud per raggiungere gli stati del nord e il Canada. Soprattutto dopo l’approvazione, nel 1850, della Fugitive Slave Law, che imponeva anche negli stati del nord l’arresto di chiunque fosse sospettato di essere uno schiavo fuggitivo e la sua restituzione al padrone, i rischi erano enormi.  Come viene descritto nel bellissimo e crudo romanzo di Colson Whitehead “The Underground Railaway”,  la punizione per chi aiutava i neri spesso andava ben oltre le pesanti multe e i mesi di prigione previsti dalla legge: case bruciate e linciaggi erano all’ordine del giorno. Una società che considerava gli schiavi oggetti di cui disporre a piacimento non tollerava chi li considerava esseri umani da aiutare e si vendicava in modo atroce per ristabilire l’ordine costituito.

Come racconta Ercole Ongaro nel suo libro “Resistenza nonviolenta”, dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943, nell’Italia occupata dai nazisti, centinaia di migliaia di persone rischiarono la deportazione e la vita per aiutare le categorie in maggiore pericolo: i soldati in servizio attivo l’8 settembre, gli ebrei e gli ex prigionieri alleati. I risultati di questi incredibili atti di coraggio e solidarietà sono poco conosciuti, ma ugualmente straordinari: settecentomila soldati riuscirono a tornare alle loro case (su un milione e mezzo), trentacinquemila ebrei (su quarantatremila) e quarantamila ex prigionieri alleati (su ottantamila) si salvarono.

E il terribile termine “deportazione” torna oggi negli Stati Uniti di Trump, dove si sta organizzando la resistenza e l’aiuto agli immigrati senza documenti che rischiano l’espulsione. Oltre alle continue manifestazioni di appoggio e solidarietà a immigrati e profughi, l’ACLU (American Civil Liberties Union) sta creando delle “squadre di pronto intervento” con avvocati e gruppi locali per fornire assistenza legale a chi rischia la deportazione. Diverse città, tra cui New York, Boston e San Francisco e Stati come l’Oregon si stanno muovendo per contrastare le misure di Trump contro i migranti e le città rifugio decise ad accoglierli. “Farò tutto ciò che è lecito e in mio potere per proteggere chi si sente minacciato e vulnerabile” ha dichiarato il sindaco di Boston Marty Walsh. “Se necessariouserò il Municipio come rifugio per proteggere chiunque sia preso di mira ingiustamente”.

In California esponenti di diverse religioni si sono uniti per formare una rete, anch’essa definita di “pronto intervento”, per accogliere in rifugi sicuri (non solo chiese ed edifici religiosi, ma anche case private) centinaia e possibilmente migliaia di immigrati senza documenti. L’utilizzo di abitazioni offre una maggiore protezione costituzionale, visto che gli agenti federali non possono entrarvi senza un mandato di perquisizione. La sinagoga di Hollywood Temple Israel è sommersa di volontari pronti ad accompagnare gli immigrati ai colloqui con le autorità, a offrire assistenza legale gratuita e a rifornire le case rifugio di cibo e vestiario.

Nascondere un immigrato senza documenti è un reato punibile con il carcere e chi è pronto a farlo lo sa. Come in tutte le altre situazioni simili nel corso della storia, la motivazione è semplice: fare ciò che si ritiene giusto indipendentemente dalle conseguenze.

(*) ripreso da www.pressenza.com

IN BOTTEGA

A inventare «la ferrovia sotterranea» contro la schiavitù, citata qui sopra, fu Araminta Ross, nota con lo pseudonimo di Harriet Tubman o come «generalessa Tubman» e «il Mosè» – in realtà “la Mosè” – degli afroamericani. In “bottega” ne abbiamo parlato più volte: a esempio qui Scor-data: 10 marzo 1913 e qui Prima donna nera su una banconota: Harriet Tubman… con una storia di Alessandro Ghebreigziabiher. [db]

 

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