Alain Mabanckou e Achille Mbembe rispondono a Macron
tempi duri per il francese?
…Durante la sua campagna elettorale, Macron ha dichiarato che la Guyana, dipartimento francese d’Oltremare, è un’isola, cosa che naturalmente non è. L’errore è stato abbondantemente sottolineato, e lui si è difeso dicendo che, certo, lo sa che la Guyana non è un’isola, ma che essendo incastrata tra l’Oceano e l’Amazzonia è una specie di isola, più un’isola che una non-isola. Ho potuto sperimentare in diretta questo aplomb da giocatore di poker, questo orrore nell’essere colto in fallo, quando l’ho brevemente rivisto alla Fiera del libro di Francoforte. La Francia era l’invitata d’onore, e lui ha tenuto un discorso d’apertura brillante e pieno di guizzi, seguito da quello della cancelliera tedesca Angela Merkel, che si tiene su un registro molto più semplice. Poi è partito, in mezzo a un fiume di persone, a stringere le mani di autori ed editori. Tutto fila liscio finché lo scrittore franco-congolese Alain Mabanckou non attraversa la folla per dirgli che ha ascoltato il suo discorso e che ha una cosa da rimproverargli. “Sì?”, chiede Marcon, prendendogli la mano. Il rimprovero di Mabanckou è che non ha parlato della “francophonie” — cioè di tutto ciò che si esprime in lingua francese nel mondo, e in particolare nelle ex colonie. Sarebbe facile rispondere che, nel momento in cui si celebrano le relazioni franco-tedesche, la francofonia non è il cuore del dibattito, ma Macron risponde un’altra cosa, occhi negli occhi: «Parlare della francofonia? Non faccio altro». Mabanckou, un po’ esasperato, insiste: «Lei non ha citato nemmeno uno dei grandi autori della francofonia, avrei voluto sentire almeno quello di Léopold Sédar Senghor». «Non mi ha ascoltato bene. Ne ho parlato!», risponde Macron. La situazione diventa imbarazzante, sono presenti centinaia di persone, che non hanno sentito — come me e come Mabanckou — il nome del grande poeta e uomo di Stato senegalese. A questo punto è chiaro che l’incidente potrebbe diventare gigantesco, e virale: Macron capisce che è bene fare un passo indietro, e il suo modo di farlo è di dire che, certo, non ha pronunciato letteralmente il nome di Senghor, ma che questo nome è sottinteso quando si parla di francofonia — se si parla di “francofonia” tutti sanno che si sta parlando anche di Senghor (come ha detto un suo ex professore di matematica, intervistato per un documentario: «Nella mia materia le cose sono semplici: o sai la risposta o non la sai. Ma ho scoperto che c’è una terza possibilità, e questa terza possibilità è lo studente Macron»)…
da qui (da un reportage di Emmanuel Carrère)
Intellettuali africani condannano l’approccio imperialista di Macron
Rendere la Francia di nuovo grande. Parafrasando il famoso slogan coniato da Donald Trump in occasione delle passate presidenziali statunitensi che hanno portato il tycoon ad insediarsi alla Casa Bianca, potremmo definire così le intenzioni di Emmanuel Macron.
Il giovane presidente francese vuole sfruttare il momento di stallo europeo con Angela Merkel impantanata da mesi nella formazione del nuovo governo di coalizione per ricollocare la Francia al centro della scena europea e mondiale.
A questo scopo ha pensato di utilizzare anche la lingua francese, come affermato dallo stesso Macron in occasione del discorso tenuto all’università di Ouagadougou in Burkina Faso. Così Parigi ha intrapreso una ‘crociata’ contro l’utilizzo invasivo e inutile di termini inglesi.
Alain Mabanckou, romanziere congolese salutato come uno dei migliori scrittori del mondo in francese, ha accusato Macron di avere un approccio imperialista, sostenendo che sia ormai indispensabile rivedere l’Organizzazione Internazionale della Francofonia.
«Non è – e non è mai stato – un grande melting pot comune che assicurerebbe libertà culturale e scambi. Oggi è uno degli ultimi strumenti che permettono alla Francia di affermare che può ancora dominare il mondo, avere ancora una presa sulle sue ex colonie», ha dichiarato Mabanckou al quotidiano britannico Guardian.
In risposta al discorso dal sapore neo-imperialista di Macron, lo scrittore congolese Mabanckou ha scritto una lettera aperta in cui afferma il proprio rifiuto a dare sostegno al progetto del presidente francese. Altre figure di spicco, come Achille Mbembe, un filosofo camerunense, hanno deciso di unirsi a Mabanckou per criticare aspramente l’approccio «imperialista» della Francia sulla questione.
«Non si può parlare del mondo di lingua francese se non si pone la questione della democrazia in Africa», ha infine denunciato l’intellettuale congolese.
Francophonie, langue française : lettre ouverte à Emmanuel Macron di Alain Mabanckou
Dans votre discours du 28 novembre à l’université de Ouagadougou, puis dans un courrier officiel que vous m’avez adressé le 13 décembre, vous m’avez proposé de «contribuer aux travaux de réflexion que vous souhaitez engager autour de la langue française et de la Francophonie.»
Au XIXème siècle, lorsque le mot «francophonie» avait été conçu par le géographe Onésime Reclus, il s’agissait alors, dans son esprit, de créer un ensemble plus vaste, pour ne pas dire de se lancer dans une véritable expansion coloniale. D’ailleurs, dans son ouvrage «Lâchons l’Asie, prenons l’Afrique» (1904), dans le dessein de «pérenniser» la grandeur de la France il se posait deux questions fondamentales: «Où renaître ? Comment durer ?»
Qu’est-ce qui a changé de nos jours ? La Francophonie est malheureusement encore perçue comme la continuation de la politique étrangère de la France dans ses anciennes colonies. Repenser la Francophonie ce n’est pas seulement «protéger» la langue française qui, du reste n’est pas du tout menacée comme on a tendance à le proclamer dans un élan d’auto-flagellation propre à la France. La culture et la langue françaises gardent leur prestige sur le plan mondial.
Les meilleurs spécialistes de la littérature française du Moyen-Âge sont américains. Les étudiants d’Amérique du Nord sont plus sensibilisés aux lettres francophones que leurs camarades français. La plupart des universités américaines créent et financent sans l’aide de la France des départements de littérature française et d’études francophones. Les écrivains qui ne sont pas nés en France et qui écrivent en français sont pour la plupart traduits en anglais: Ahmadou Kourouma, Anna Moï, Boualem Sansal, Tierno Monénembo, Abdourahman Waberi, Ken Bugul, Véronique Tadjo, Tahar Ben Jelloun, Aminata Sow Fall, Mariama Bâ, etc. La littérature française ne peut plus se contenter de la définition étriquée qui, à la longue, a fini par la marginaliser alors même que ses tentacules ne cessent de croître grâce à l’émergence d’un imaginaire-monde en français.
Tous les deux, nous avions eu à cet effet un échange à la Foire du livre de Francfort en octobre dernier, et je vous avais signifié publiquement mon désaccord quant à votre discours d’ouverture dans lequel vous n’aviez cité aucun auteur d’expression française venu d’ailleurs, vous contentant de porter au pinacle Goethe et Gérard de Nerval et d’affirmer que «l’Allemagne accueillait la France et la Francophonie», comme si la France n’était pas un pays francophone!
Dois-je rappeler aussi que le grand reproche qu’on adresse à la Francophonie «institutionnelle» est qu’elle n’a jamais pointé du doigt en Afrique les régimes autocratiques, les élections truquées, le manque de liberté d’expression, tout cela orchestré par des monarques qui s’expriment et assujettissent leurs populations en français? Ces despotes s’accrochent au pouvoir en bidouillant les constitutions (rédigées en français) sans pour autant susciter l’indignation de tous les gouvernements qui ont précédé votre arrivée à la tête de l’Etat.
Il est certes louable de faire un discours à Ouagadougou à la jeunesse africaine, mais il serait utile, Monsieur le Président, que vous prouviez à ces jeunes gens que vous êtes d’une autre génération, que vous avez tourné la page et qu’ils ont droit, ici et maintenant, à ce que la langue française couve de plus beau, de plus noble et d’inaliénable: la liberté.
Par conséquent, et en raison de ces tares que charrie la Francophonie actuelle – en particulier les accointances avec les dirigeants des républiques bananières qui décapitent les rêves de la jeunesse africaine –, j’ai le regret, tout en vous priant d’agréer l’expression de ma haute considération, de vous signifier, Monsieur le Président, que je ne participerai pas à ce projet.
Alain Mabanckou
Santa Monica, le 15 janvier 2018
QUI un intervento di Achille Mbembe
QUI un articolo di Achille Mbembe e Alain Mabanckou
Quando hai la faccia come il culo puoi avere anche gli occhi azzurri, ma la faccia rimane quella.