Alcune vite sono sacrificabili

La storia di Mustapha Fannan.

di S.J. (*)

Ho recentemente assistito a un incontro in tema di diritti umani dove si diceva che nel nostro Paese “alcune vite sono sacrificabili”. Questa espressione mi ha colpito molto e trovo che si addica perfettamente alla storia di Mustapha Fannan.
Di nazionalità marocchina, Mustapha, detto Musty, è giunto in Italia giovanissimo a soli 23 anni con una valigia piena di sogni. Affinché potesse giungere qui regolarmente la famiglia ha dovuto contrarre un debito di 6000 euro.
La prospettiva di arrivare in Europa, lavorare, realizzare le proprie speranze, prima fra tutte quella di garantire la sicurezza economica dei genitori, una necessità che da noi sembra ormai di lontana memoria ma che in Marocco rimane invece ancora attuale.
Poi realizzare le ambizioni che hanno un po’ tutti come quella di sposarsi, avere dei figli, magari comprarsi una casa.

Nulla lasciava presagire che questo sogno si sarebbe potuto trasformare in un vero e proprio incubo. L’incubo di una malattia per certi versi non ancora riconosciuta come tale o quanto meno che non ha stessa dignità delle altre ma anzi genera paura, stigma, scherno, specialmente quando sei straniero “senza documenti” e non hai un familiare che si interessi delle tue sorti: il disagio psichico.
Possiamo dire che il motivo che ha portato a un vero e proprio accanimento nei confronti di questo sfortunato ragazzo sia stato proprio il suo disagio. Le sue urla disperate, il suo intossicarsi di alcool alla ricerca di una cura per la sua anima e la sua solitudine. L’incomprensione.
Numerosi sono i post reperibili in rete dove alcuni residenti del quartiere di Torpignattara si lamentavano di Musty sostenendo che disturbava, che molestava, sporcava e contribuiva al degrado del quartiere. Addirittura c’era chi proponeva di risolvere il problema “liquidandolo”, da soli o in gruppo, armati o a mani nude.
Ecco i sani contro i malati. I puliti contro gli sporchi, i decorosi contro gli indecorosi.

Normalmente una situazione del genere avrebbe determinato l’attivazione di un intervento socio-sanitario, quantomeno l’invio di un mediatore culturale. Ma non è avvenuto nel caso di Musty. Per lui si è provveduto in maniera più spiccia e meno complessa: un decreto di espulsione e il trattenimento in C.P.R.
Metodo applicato più volte. Ormai era diventata una vera e propria consuetudine e con una puntuale cadenza di 6 mesi circa si verificava l’arresto e il susseguente trattenimento in CPR (solo tra il 2019 e il 2022 ne ha subiti ben 4).

Non sappiamo esattamente come ha fatto il povero Mustafà ad essere ogni volta considerato idoneo, soprattutto dal punto di vista psichico, al trattenimento in questi centri. Sembra che purtroppo le visite di idoneità non siano poi così approfondite.
Fatto sta che lo scopo del trattenimento – il rimpatrio – per lui non si è mai realizzato. Una volta rilasciato pertanto tornava subito per le strade di Torpignattara dove comunque trovava una fitta rete di supporto, tra le proteste e il malcontento di “quelli del decoro”.
È molto difficile per noi capire cosa possa aver provato la mamma di questo ragazzo, sapendolo solo e in difficoltà in un paese lontano, un Paese tanto agognato, un simbolo di sviluppo e benessere. Deve essersi detta “qualcuno aiuterà il mio bambino, qualcuno lo aiuterà a stare bene, è in Europa, ha realizzato un sogno”.

In qualche modo se l’è sempre cavata Musty, fino a Settembre 2022, quando è stato sottoposto a un ulteriore trattenimento in CPR.
Allo scadere dei tre mesi però questa volta non era più lui. Non era il solito giocherellone che corre di qua e di là, fa le capriole, invoca Allah. Appariva spento e spossato, soprattutto gonfio. Era gonfio in viso e alle caviglie e qualcuno temeva non sarebbe arrivato neanche a Natale. Ed è stato proprio così. Musty ha trovato la morte il 19 Dicembre 2022 poco prima di compiere 39 anni.
Cosa ha subito? Un trattamento farmacologico troppo forte? Una negligenza rispetto al peggiorare delle sue condizioni di salute? Magari una malattia pregressa che la detenzione ha esacerbato?

Ricordiamo che per autorizzare il trattenimento di una persona in un CPR, questa ne deve essere ritenuta idonea sia rispetto alla sua salute fisica che psicologica. È incompatibile con la detenzione la condizione di salute di chi, a causa della permanenza nei centri di detenzione, rischia l’aggravamento di condizioni patologiche pregresse o sorte durante la detenzione stessa. (Fonte ASGI)
Dopo la sua morte, numerose inchieste giornalistiche hanno rivelato le condizioni durissime di vita a cui sono sottoposti gli “ospiti” in attesa di espulsione, in particolare l’uso sistematico, spesso eccessivo e immotivato, di sedativi finalizzati non tanto alla tutela della salute dell’ospite quanto a una maggiore facilità di gestione del centro stesso.

Il Paese dei sogni è diventato per Musty una tomba gelida e senza pietà, senza il minimo scrupolo ad attuare contro di lui qualsiasi misura repressiva a disposizione: espulsione, arresti, carcere, CPR, divieto di dimora.
Sulla morte di Mustapha Fannan si è aperta una indagine presso la Procura di Roma. Auspichiamo che venga fatta luce sulla sua vicenda che possa portare, per quanto possibile, chiarezza e conforto ai suoi famigliari in Marocco.
Nel frattempo per il quartiere di Torpignattara continua un inesorabile tormento: gli abitanti invasi dalla spazzatura, blatte e topi, afflitti da disagi di ogni tipo non si arrendono e hanno affidato a una avvocata la risoluzione dei molteplici disservizi.

(*) Tratto da Melitea.

Le foto:

Mustapha Fannan (Musty per gli amici di Tor Pignattara).
Musty, quasi irriconoscibile, poco prima di morire dopo l’ultimo rilascio dal CPR di Roma.
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alexik

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