Algeria: i funerali di Abbassi Madani e…

… la questione dell’islamismo oggi

di KARIM  METREF

E’ deceduto il 24 aprile scorso a Doha, nel Qatar, dove era residente, il vecchio leader islamista algerino Abbassi Madani. In piena ondata di proteste per la democrazia in Algeria, la morte del vecchio «cheikh» risveglia i fantasmi del decennio nero. E i suoi funerali celebrati il 27 ad Algeri a suon di slogan  pro Stato teocratico ripongono sul tavolo con forza la questione del posto dell’Islamismo politico nell’Algeria post Bouteflika.

La strada verso la leadership

Abbassi Madani (per l’esattezza: Madani ABBASSI) era un uomo politico che ha lasciato un triste segno nella storia contemporanea dell’Algeria.

E’ nato il 28 febbraio 1931 a Sidi Oqba (Provincia di Biskra, a circa 400 km a sudest di Algeri). Figlio di Imam, sin da piccolo riceve una educazione religiosa ma frequenta anche la scuola pubblica (francese). Da giovane adulto, nel 1950, aderisce al movimento nazionale algerino nelle fila del Movimento per il trionfo delle libertà democratiche (MTLD) di Messali Hadj.

Il 1° novembre 1954, partecipa alle prime azioni armate della guerra di Liberazione Nazionale, ma viene presto arrestato e passa in carcere tutta la durata del conflitto. Esce nel 1962.

Dopo l’indipendenza si iscrive all’Università di Algeri per studiare filosofia, poi si specializza in psicologia educativa e nello stesso tempo milita nel partito-stato del Fronte di Liberazione Nazionale (Fln) e fonda l’associazione Qiyam Islamya (valori islamici) per l’istituzione della legge tradizionale islamica. Associazione che sarà bandita nel 1970 dal presidente Houari Boumediene.

Tra il 1975 e il 1978 studia a Londra dove prepara un dottorato  in psicopedagogia. Al suo ritorno insegna all’università di Algeri e nello stesso tempo comincia a frequentare gli ambienti dell’opposizione islamista.

Il 27 novembre 1982, alla testa di migliaia di persone, Abbassi Madani in compagnia di altri leader islamisti, organizza una preghiera collettiva sulla piazza centrale di Algeri: viene resa pubblica una piattaforma di rivendicazioni per il passaggio a uno «Stato Islamico, l’applicazione della Sharia, l’epurazione degli elementi anti-islamici dalle istituzioni dello stato e la separazione tra maschi e femmine in tutti i luoghi pubblici di lavoro, studio, trasporto, svago e sport».

Dopo quell’azione i leader di quella protesta vengono arrestati e il nostro Madani, che ha ormai mollato il titolo di dottore per quello di Sceicco, rimane in carcere fino al 1984.

1989, Nascita del FIS

Il 5 ottobre 1988, il paese entra in insurrezione generale contro il partito unico. La repressione è dura: centinaia i morti e migliaia sono arrestati e in maggioranza umiliati e torturati. L’allora governo di Chadli Bendjedid e i suoi apparati di sicurezza fanno di tutto per far apparire i leader islamisti come portavoce della rabbia dei giovani algerini e in qualche modo ci riescono.

Abassi in compagnia di Ali Benhadj. Gli anni del FIS trionfante

Ma alla fine il regime annuncia la fine del sistema del Partito unico, cambia la Costituzione e apre il campo alla pluralità politica e culturale. Ne consegue una stagione straordinaria di libertà e speranze, che però durerà solo fino al 1992.

Il 18 febbraio 1989, i due sceicchi più in vista dal 5 ottobre 1988 cioè Abbassi Madani e Ali Benhadj (la star del nascente movimento salafita) annunciano ufficialmente la creazione di un partito politico noto come Fronte islamico della salvezza (FIS).

Nel caos del giovane multipartitismo algerino il Fis è l’unico partito che cresce veramente e si organizza con velocità notevole. I soldi arrivano dalle solite monarchie del Golfo e i militanti molto attivi fanno un lavoro straordinario nei quartieri poveri di tutto il Paese. Oltre all’occupazione delle moschee, organizzano aiuti economici, sostegno scolastico, e attività culturali. Si sostituiscono allo Stato nella lotta alla povertà e colmano il vuoto culturale con la loro propaganda. Il fronte si allarga e comprende quasi tutte le tendenze islamiste: Dagli estremisti djihadisti del «Hijra wal Takfir» (Esilio e apostasia) fino alla corrente Djaz’ara (Fratelli musulmani versione algerina).

Nel 1990 il Fis vince nel 70% dei Comuni e fa pressione per l’organizzazione immediata delle elezioni legislative. Sanno di avere i numeri e puntano all’occupazione del parlamento e al cambiamento della Costituzione.

Un anno dopo vincono la maggioranza relativa del parlamento al primo turno delle elezioni politiche e rimangono in ballottaggio in molti altri. E’ chiaro a tutti che da soli stavano per prendere la maggioranza assoluta del parlamento, potendo così riscrivere la Costituzione e i codici istituzionali a loro piacimento. Ali Behhadj avverte gli Algerini: «preparatevi a cambiare comportamenti, vestiti e abitudini alimentari».

Il decennio nero

L’11 gennaio 1992, il Presidente Chadli Bendjedid è costretto a presentare le sue dimissioni dai generali dell’esercito che prendono il potere e fermano il processo elettorale.

Comincia una escalation di proteste e azioni e controazioni violente che porteranno il Paese al caos e alla guerra civile, che durerà fino ai primi anni 2000.

Quello che in Algeria chiamiamo il decennio nero (1992 -2002) è stata una guerra spietata di vari gruppi islamisti armati fra i quali l’Esercito Islamico della Salvezza (AIS), braccio armato del Fis, contro l’esercito regolare e le forze dell’ordine algerini. Dieci anni di attentati, scontri, imboscate, rapimenti, uccisioni extragiudiziali, torture e massacri veri e propri delle popolazioni di alcune località. Il bilancio sarà pesantissimo: fra i 200 e 300 mila vittime. La maggioranza civili inermi.

I leader del Fis sono tutti agli arresti o in esilio all’estero. Abbassi Madani già in carcere prima del golpe è processato da un tribunale militare che lo condanna a 12 anni di carcere. In detenzione rimarrà fino al 2 luglio 2003. Quando esce ormai la guerra tirava alla fine e il processo avanzato di negoziati porterà presto all’amnistia generale.

Alcuni giorni dopo la sua liberazione, Abbassi Madani lasciò il Paese per l’Arabia Saudita, poi verso la Malesia prima di trasferirsi in Qatar, sua dimora fino al decesso avvenuto pochi giorni fa.

Vittima o carnefice?

L’opinione algerina rimane ancora divisa tra chi considera il Fis il solo responsabile della morte delle oltre 200.000 vittime del conflitto armato degli anni 90, mentre un’altra parte considera che il Fis è stato vittima del Colpo di Stato e i militari sono gli unici responsabili del bagno di sangue che è seguito.

La realtà è che in quel decennio nero, i due campi si sono macchiati di crimini gravi e entrambi hanno responsabilità chiare nell’inizio e nell’inasprimento delle violenze. E se non si può considerare Abbassi Madani come unico e nemmeno come principale responsabile della guerra, il fatto è che il movimento da lui co-fondato ha preso attivamente parte alla guerra tramite l’AIS e lui non ha mai preso le distanze e nemmeno condannato l’uccisione di intellettuali, giornalisti e rivali politici inermi.

Oggi dopo la sua morte, ci si chiede come un personaggio così insignificante, che sembrava quasi timido e timoroso, ha potuto arrivare alla testa di un movimento così forte, popolare e violento. Con i suoi modi discreti e falsamente affabili, era sicuramente considerato come la faccia presentabile di una nebulosa islamista algerina altrimenti rappresentata solo da predicatori «sputafuoco». In quanto tale ha beneficiato di appoggi interni e esterni, riuscendo così a intrufolarsi da qualche porta posteriore della storia tormentata del Paese. E sempre da una porta posteriore è uscito in questi giorni.

La questione dell’Islamismo politico si pone di nuovo

La morte del vecchio leader riporta sulla scena politica di oggi i fantasmi degli anni 90. Le proteste di strada ogni venerdì da 10 settimane continuano a essere imponenti e il popolo saldamente unito intorno alla volontà di vedere la fine del regno del clan mafioso al potere. Ma le idee sul dopo Bouteflika rimangono poco chiare.

Immagine dei funerali di Abbassi Madani ad Algeri

Ai funerali del vecchio sceicco migliaia di militanti islamisti gridavano quello stesso slogan che fu all’origine della guerra civile: «Alayha nahia alayha namut», Per lui viviamo, per lui moriamo. Dove «lui» indica lo Stato teocratico della Sharia. Questi funerali grandiosi mostrano chiaramente che l’elemento islamista non è scomparso magicamente dalla scena politica algerina. C’è. E’ presente con forza in tutto il Paese.

Non ha probabilmente più la forza che aveva negli anni 90. Sarà per quello che, nella fase attuale di contestazione del potere, non è intervenuto in piazza. Ma sta aspettando il momento giusto per entrare in gioco.

Quella folla impressionante che ha accompagnato il vecchio sceicco alla sua ultima dimora – nel cimitero del suo quartiere feudo di Belouizdad nel centro della capitale Algeri – ricorda alle forze democratiche che lottano per la caduta del sistema attuale che quella che si gioca attualmente è solo una semifinale e che se passano questa fase, la finale sarà da giocare contro quelli che vogliono scambiare lo Stato poliziesco con una dittatura teocratica.

Karim Metref
Sono nato sul fianco nord della catena del Giurgiura, nel nord dell’Algeria.

30 anni di vita spesi a cercare di affermare una identità culturale (quella della maggioranza minorizzata dei berberi in Nord Africa) mi ha portato a non capire più chi sono. E mi va benissimo.

A 30 anni ho mollato le mie montagne per sbarcare a Rapallo in Liguria. Passare dalla montagna al mare fu un grande spaesamento. Attraversare il mediterraneo da sud verso nord invece no.

Lavoro (quando ci riesco), passeggio tanto, leggo tanto, cerco di scrivere. Mi impiccio di tutto. Sopra tutto di ciò che non mi riguarda e/o che non capisco bene.

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