Alieno è… (quinta e ultima parte)
Alieno è razziale, sessuale, sociale, mentale, antropologico, politico, biologico, funzionale, religioso… Un saggio pubblicato sull’ultimo numero di «HP-Accaparlante»(*)
L’alienità totale (ovvero del pensare non accettato).
Come abbiamo visto la parola alienità si riferisce anche alle (vere o presunte) alterazioni della “salute” mentale. Dunque questo percorso si avventura in una doppia direzione: come la letteratura di fantascienza ha affrontato i nostri “matti” ma anche come noi terrestri potremmo essere “folli” per chi ha una logica davvero altra.
Per entrare in argomento tuffiamoci direttamente dentro una storia.
In ogni posto di lavoro, per strada o a casa, incontrate i sanity-meters ovvero gli «alienometri» prodotti dalla Cahill Thomas Manufacturing: li vedete intorno a voi, non troppo dissimili dai parchimetri ma funzionano senza monete o tessere. Misurano il disadattamento – “la pazzia” – di ogni cittadino. Se si supera la norma (fra 0 e 3) si è sottoposti a sorveglianza; quando si arriva al livello 10 obbligatoriamente si sottostà alla “correzione chirurgica” oppure si entra (per sempre o fino a guarigione?) nella misteriosa Accademia. E per l’appunto «Accademia» s’intitola un racconto-profezia scritto nel 1954 da Robert Sheckley.
Mi è capitato – nelle vesti di attore che ogni tanto, con sfacciataggine, indosso – di leggerne alcuni brani in una sede particolare come è quella dell’associazione dei familiari di degenti negli (ex, dopo la legge che tutti conoscono come “Basaglia”) ospedali psichiatrici e mi ha molto colpito il commento di alcune persone che più o meno suonava così: è fantascienza sino a un certo punto perché anche senza «alienometri» in questa società c’è chi (più o meno “autorizzato”) misura il nostro livello – da 1 a 10 – di “normalità”.
Ovviamente lo spunto iniziale di Sheckley è la tipica ossessione statunitense per “l’igiene” mentale e la conseguente diffidenza verso tutto ciò che si discosta da una presunta norma. Non abbiamo gli «alienometri» fra noi però negli ultimi anni il tentativo di psichiatrizzare tutto si è allargato dagli Usa al resto del mondo, trovando ostacoli ma anche vincendo battaglie importanti. Come sempre la buona sfi ci può aiutare a muoverci nei sentieri del presente e dei possibili futuri prossimi.
Proviamo allora tuffarci in uno dei mondi inventati dal già citato Dick. Nel complesso ed efficacissimo «Follia per 7 clan» ha addirittura disegnato un intero sistema sociale basato su diversi tipi di malattie mentali in “guerra” fra loro. C’è forse un solo «Norm» in mezzo ai «Mani» (la loro capitale è è definita – notate la perfidia – «Grande Da Vinci»), ai «Para» (nella città di «Adolf-ville»), agli «Schizo», ai «Poli» maniaci, agli «Eb» (i troppo buoni e dunque ebeti che si ritrovano – questa è ancora più provocatoria – in un luogo chiamato «Gandhitown»), ai «Dep» (depressi, con ogni evidenza) e infine agli «Os-com» cioè gli ossessivi-compulsivi. Come sempre accade in Dick anche qui ci sono paraventi (tre almeno ma evidentemente questa non è la sede per approfondire) che nascondono altre verità.
Questa provocazione definitoria in Dick ha evidenti radici nel nostro mondo. La mania di classificare ogni minima “deviazione” continua a tradursi in statistiche che urlano vertiginosi aumenti di vecchie/nuove forme del malessere psichico. Di continuo i massmedia rilanciano allarmi su “epidemie” che, lungi dall’essere indagate e/o verificate, servono invece a lanciare altri farmaci, cure, psicoterapie ma anche ad allargare il controllo sulla vita privata. Bambini compresi, che vengono curati in sostanza perché “troppo vivaci”. Istituti definiti autorevoli – e magari lo sono ma hanno finanziamenti assai loffii, cioè di chi poi venderà i rimedi contro le presunte sindromi – possono periodicamente e tranquillamente sostenere che in Occidente un bimbo su quattro si può classificare “malato di mente”. Persino l’Oms, cioè l’Organizzazione mondiale della sanità delle Nazioni Unite, aveva annunciato – per il 2005 – mezzo miliardo di “picchiatelli” in circolazione sul pianeta: per la precisione (ma chi fa i conti?) 413 milioni nelle società sviluppate e 122 nei Paesi “pezzenti”. E se vivere in effetti è sempre più difficile appare improbabile che l’abuso di farmaci risolva tutte le difficoltà esistenziali.
Ancora Dick ha previsto l’arrivo degli «psichiatri portatili» (ben prima di programmi computerizzati come Eliza). Vale aggiungere per coloro che hanno visto il (bruttino) Minority Report di Steven Spieberg – tratto dall’omonimo racconto di Philip Dick, sempre lui – che nel sistema giuridico statunitense esiste già la possibilità che sulla base di una «precognizione» (di uno psichiatra, guarda un po’) scatti condanna, persino la pena di morte.
Si potrebbe continuare ritornando a Sturgeon. Nel lontano 1956 «Ultime notizie», un altro suo racconto, da una parte conduceva in un labirinto psichiatrico che (almeno per l’epoca) era dotto quanto sconvolgente ma dall’altra poneva una questione che sempre più risulta attuale e angosciosa: di fronte alla quantità di dolore, impotenza e rabbia che i massmedia – le “ultime notizie” appunto – ci riversano addosso cosa possiamo fare per non soffrire? E se quando decidiamo di nasconderci (di “rimuovere” o “regredire” per usare termini tecnici) qualcuno ci viene a snidare… ma senza offrire alcuna soluzione per quelle sofferenze, cosa potrebbe accaderci?
Due vicende esemplari hanno al centro – non per caso – donne. La prima è la protagonista di «Sinthajoy» dell’inglese David Compton sospesa tra le false vite dei “nastri” che le scorrono nel cervello e il puzzolente mondo reale dove scopre che «solo adesso che sono “ufficialmente” psicotica posso fissare la gente senza provare imbarazzo». L’altra donna è invece una chicana – cioè un’immigrata latina negli Usa – di mezza età, Connie Ramos, che viene classificata folle ma in realtà è solo un’emarginata: dalla sua “gabbia” Connie può però sintonizzarsi su un futuro (ahi-noi lontano) comunitario, ecologista, non sessista e libertario. C’è in questo romanzo di Marge Piercy, «Sul filo del tempo» una frase chiave che, mi scuserete la digressione personale, ho scelto come sottotitolo del mio blog: «Per conquistare il futuro bisogna prima sognarlo».
In via degli Aceri o su Cephes 5
Bisogna sognare anche un’altra psichiatria (meglio: una non psichiatria) che neghi l’esistenza di due diversi universi per i “folli” e per i “sani”. La ricorrente idea di un controllo sociale totale ha già storicamente prodotto l’internamento psichiatrico dei dissidenti nell’ex Urss e la lobotomia di massa negli Usa. Altre tragedie porterà se dimenticheremo quel che aveva urlato Erasmo: «non è vero che ogni illusione o vaneggiamento debba chiamarsi follia». Anzi. Sempre più in una società di orrenda e socialmente iniqua “normalità”, di pensiero unico e di guerra preventiva/permanente chi vaneggia può essere maggiormente saggio di quelli che pretendono essere questo il migliore dei mondi possibile. Forse la nostra follia è più saggia della nostra saggezza, ci hanno ammonito Erasmo e Montaigne. Ma, con ogni evidenza, qui bisogna interrompere il discorso che andrebbe ben oltre il senso di questa specifica ricerca.
Accennando però a un altro paio di storie. La prima è in un telefilm – che forse i meno giovani ricorderanno – «Arrivano i mostri in via degli Aceri», esemplare racconto di paranoia collettiva: siamo all’interno della celebre serie «Ai confini della realtà» (dal 1959 al 1964) e sono significative le frasi di chiusura dell’episodio: «I pensieri, le opinioni, i pregiudizi possono essere armi, armi che esistono solo nella mente degli uomini … I pregiudizi possono uccidere e il sospetto può distruggere, la ricerca di un capro espiatorio contamina, come l’Atomica, i figli già nati e i nascituri». Gli alieni – di loro si parla nel telefilm – spingono gli umani a farsi guerra fra di loro.
«In cima alla collina due individui nascosti stavano accanto al portello di una nave spaziale e osservavano via degli Aceri.
[…] Lo schema è sempre lo stesso?
Sì, con poche variazioni. – fu la risposta – Scelgono il nemico più pericoloso che c’è e lo trovano in loro stessi».
La seconda storia è «Cephes 5», un racconto (del 1973) di Howard Fast.
A bordo della «grande nave interstellare» un ufficiale sente crescere il malessere mentale. Ne parla con «il Consigliere» dell’equipaggio che gli domanda se ha sentito parlare di «delitto» cioè di una «azione che sopprime una vita umana e che come idea ha origine in sentimenti anormali di odio e di aggressione».
Lo stupefatto ufficiale quasi non capisce di cosa parli il Consigliere:
«Volete dire che c’è gente che ammazza altra gente?».
Purtroppo sì, spiega il Consigliere: anche se accade in pochissimi dei «33.472 pianeti abitati della galassia».
Cosa si fa con gli assassini?
«Li isoliamo» spiega il Consigliere «sul pianeta Cephes 5». La nave interstellare è diretta lì: quel senso di malessere avvertito dall’ufficiale nasce dalle «cattive vibrazioni» dei 500 assassini «di tutte le razze della galassia».
Il racconto è pieno di interrogativi ma uno – il più choccante – si scioglie nelle ultime righe.
«Noi chiamiamo questo pianeta Cephes 5 – disse l’ufficiale – ma tutti i pianeti hanno un loro nome, dato dagli abitanti. Come chiama quella gente il suo pianeta?
– Lo chiama Terra – rispose il vecchio Consigliere»
E in sintonia con la provocazione di Fast, per questo segmento l’ultima parola si potrebbe dare a un esponente del “realismo magico” latino-americano, quel Manuel Scorza che nel romanzo «La danza immobile» (del 1983) ci illuminò: «Lenin aveva torto… non è l’imperialismo la fase suprema del capitalismo, è la schizofrenia di massa».
Di alieni mentali ce ne sono parecchi in giro, anzi come diceva quella vecchia frase (che è anche su molte t-shirt) «visto da vicino nessuno è normale». Che poi siano tutti pericolosi è tutto da dimostrare. Dipende, al solito, da chi ha il potere di guardare e decidere. Abitare in via degli Aceri e rendere migliore Cephes 5 come sempre almeno in parte dipende da noi.
Un discorso non concluso
«Abbiamo incontrato gli alieni e gli alieni siamo noi» suggerisce Paul Press nel romanzo (del 1984) «Le porte dei cieli» sulla scia di Fredric Brown. Ma questa consapevolezza purtroppo non appartiene a tutte/i neppure nei mondi delle fanta-scienze.
Restano aperte grandi questioni che qui non possono essere approfondite come meriterebbero. Soprattutto a partire dalla stessa definizione di «essere umano» – si vedano le provocazioni di Philip Dick – rispetto alla quale confrontarsi (o rifiutare, come i razzisti vorrebbero) l’incontro con l’alieno che a sua volta è difficile da definire.
Accenniamo ad alcuni fra i dubbi possibili filosofico-etici.
In primo luogo l’intreccio fra biologico e artificiale. Confrontiamoci a esempio con il concetto di «formutazione» elaborato da Charles Sheffield nel romanzo «Progetto Proteo» (del 1978). Così all’inizio del libro:
«Erano entrambi troppo giovani per ricordare i dibattiti sull’umanità. Che cos’è un essere umano? […] Un’entità può dirsi umana se, e solo se, è in grado di realizzare formutazioni intenzionali usando i sistemi di biorigenerazione».
E poi, poco prima della fine:
«Se il confine tra mondo animato e inanimato è puramente teorico, la formutazione non ha limiti. Si può cominciare a concepire un essere pensante e cosciente grande quanto un pianeta o una stella […] Se i nostri test di umanità sono validi, ogni combinazione tra essere umano, o alieno, e macchina che coinvolga formutazioni intenzionali apparterrebbe di diritto al genere umano. Secondo me la questione è filosofica e non è così facile dare una risposta».
Fu soprattutto lo sfrenato talento di Philip Dick a spalancare porte (dietro ognuna c’erano problemi in serie, come fossero scatole cinesi) sull’incerto confine fra naturale e artificiale, fra vita e non-vita. Siamo alla difficile – sempre più? – attribuzione di un senso alla nostra umanità.
Da romanziere, Dick si muoveva nei territori (disprezzati da certe elites) della letteratura “di genere”; eppure l’impressione per quel che scriveva fu tale che gli venne chiesto di tenere conferenze per approfondire la sua filosofia. Lasciamogli dunque la parola in questa veste insolita dove non perde in efficacia. Anzi.
«Il più grande cambiamento al quale assistiamo nel nostro mondo è probabilmente la quantità di moto del vivente verso la reificazione e allo stesso tempo del meccanico nell’animazione. … Un giorno forse vedremo un uomo sparare a un androide appena uscito da una fabbrica di creature artificiali della General Electrics: l’androide, con grande sorpresa dell’uomo, prenderà a sanguinare. L’androide sparerà, di rimando, e con grande sorpresa vedrà una voluta di fumo levarsi dalla pompa elettrica che si trova al posto del cuore dell’uomo. Sarà un grande momento di verità per entrambi».
Siamo ben oltre la metafora, anche perché dagli anni ’70 a oggi la commistione e/o confusione fra artificiale e biologico ha continuato a camminare. Come commenta Patricia Warrick:
«L’analogia fra uomo e macchina è stata sfruttata sino in fondo. L’uomo è programmato dalla società perché funzioni come una macchina; l’uomo è un robot dall’aspetto umano che però si comporta come una macchina».
Forse tradire
Con ogni evidenza una conclusione è impossibile. Accettare l’alieno (quale che sia) venuto dall’esterno o scoperto dentro di noi è per molti tradimento. Del resto una definizione ristretta del concetto di umanità significa già, per molti, che riconoscere eguali diritti a «negri, froci e giudei» (tanto per citare il provocatorio titolo di un recente libro di Giantantonio Stella), sorridere a chi viene definito turco, gay, islamico, handicappato… è tradire. Ma per altri il vero pericolo – se si vuole l’unico mostro – è uccidere gli alieni, le diversità fra noi e/o che ci portiamo dentro e/o gli extraterrestri, se mai li incontreremo.
Solo per caso
Così il mio piccolo suggerimento è guardare a qualsiasi alieno (presente e futuro, terrestre o extra) ripensando a una canzone – «There But For Fortune» – di Phil Ochs; eccola nella traduzione italiana di Riccardo Venturi:
«Fammi vedere una prigione, fammi vedere una galera,
Fammi vedere un prigioniero con la faccia impallidita
E io ti farò vedere un ragazzo, e ci son molte ragioni
Che, solo per caso, quel ragazzo non sia io o te, io e te.
Fammi vedere il vicolo, fammi vedere il treno,
Fammi vedere il vagabondo che dorme fuori, sotto la pioggia,
E io ti farò vedere un ragazzo, e ci son molte ragioni
Che, solo per caso, quel ragazzo non sia io o te, io e te.
Fammi vedere le macchie di whisky sul pavimento,
Fammi vedere l’ubriaco che inciampa fuori dalla porta,
E io ti farò vedere un ragazzo, e ci son molte ragioni
Che, solo per caso, quel ragazzo non sia io o te, io e te.
Fammi vedere la carestia, fammi vedere la debolezza,
Occhi senza futuro che mostrano i nostri fallimenti,
E io ti farò vedere dei bambini, e ci son molte ragioni
Che, solo per caso, quei bambini non siamo io o te, io e te.
Fammi vedere il Paese dove son dovute cadere le bombe,
Fammi vedere le rovine degli edifici una volta tanto alti,
E io ti farò vedere un giovane Paese, e ci son molte ragioni
Che, solo per caso, quel Paese non siamo io o te, io e te».
Evidentemente molte persone sono sconvolte da quest’idea che «solo per caso»… Ma invece c’è chi lo crede vero; chi lo sente dentro di sé anche senza conoscere Phil Ochs; chi vorrebbe che questo fosse l’atteggiamento per guardare il mondo, anzi i mondi. Philip Dick, nel presentare alcuni suoi racconti, scriveva così:
«La premessa fondamentale di tutte le mie storie è che se dovessi incontrare un essere intelligente extraterrestre (più comunemente definito “una creatura dello spazio esterno”) mi accorgerei di avere più cose da dire a lui che al mio vicino di casa».
Solo per caso non siamo alieni. O più probabilmente in qualche modo lo siamo.
ED ECCO LE TRE RIGHE FINALI DI «SENTINELLA».
«Molti, con il passare del tempo, si erano abituati, non ci facevano più caso: ma lui no. Erano creature troppo schifose, con solo due braccia e due gambe, quella pelle d’un bianco nauseante, e senza squame».
BOX 1 – la fantascienza: cos’è, perché
Secondo Bradbury «la fantascienza migliore è quella scritta da chi, vedendo cose o fatti che gli riescono sgraditi nella nostra società, ha la capacità di demolirli, seduta stante… fantascienza è libertà».
Per Sturgeon «lo scopo della fantascienza è svegliare il mondo sull’orlo dell’impossibile e quindi, nel bel mezzo della storia, studiare e cercare di scoprire qualcosa di nuovo, con la passione dello scienziato che esamina il suo esperimento o di un amante che guarda la donna amata»
BOX 2 – Sawyer e c.
Morti Asimov, Bradbury e Clarke, che qualcuno definì a ragione «l’Abc della fantascienza» c’è chi sostiene che la fantascienza sia morta o comunque confluita in un calderone dove si miscelano tutti i generi. Se la seconda tesi non è priva di riscontri, la prima è del tutto destituita di fondamento perché ci sono in giro un mucchio di scrittori-scrittrici che continuano quell’utile “alfabeto”: dalla R di Robert Reed alla S di Lucius Shepard o del citato Robert Sawyer, dalla K di Nancy Kress per risalire alla C di Ted Chiang o alla M (Ken MacLeod, a esempio) e per fare un paio di nomi italiani dalla E di Valerio Evangelisti alla F della giovane Clelia Farris.
BOX 3 – Aspettando l’incontro ravvicinato
Se volete sapere a che punto sono i viaggi spaziali e/o avere notizie su Seti e altri programmi di ricerca sulle «intelligenze extraterrestri» dovete rivolgervi a libri o siti
appositi. La situazione però non è molto mutata da quanto scriveva Asimov nella prefazione all’antologia, rivolta a ragazze/i dai 10 anni in su, «Storie per giovani alieni» che contiene almeno due storie bellissime con giovanissimi per protagonisti:
«Esistono gli alieni? Non lo sappiamo. […] Per quanto riguarda il nostro sistema solare ogni ricerca in tal senso ci ha riservato solo delusioni. […] Ma il Sole non è altro che una singola stella in una galassia che ne contiene qualcosa come 200-300 miliardi: e la nostra galassia è solo una delle tante galassie che popolano l’universo, calcolate in circa 100 miliardi. […] Le stelle sono così lontane da noi che è virtualmente impossibile studiarle nei dettagli. […] Gli ottimisti ritengono che tutte, o quasi tutte, le stelle possiedano un proprio sistema planetario. […] Pertanto solo nella nostra galassia potrebbero esistere miliardi di pianeti portatori di vita. […] Gli astronomi ottimisti pensano che lo sviluppo dell’intelligenza sia un fatto inevitabile. […] Dal loro canto gli astronomi pessimisti contestano l’ipotesi di partenza:non sono affatto sicuri che ogni stella possieda un suo sistema planetario. […] Inoltre, aggiungono, per essere adatto alla vita, un pianeta deve possedere una così cospicua serie di proprietà e condizioni “giuste” che una tale eventualità appare altamente improbabile».
Detto in 5 parole: per ora non lo sappiamo.
TUTTI (O QUASI) I LIBRI E I FILM CITATI IN ORDINE DI APPARIZIONE
Franco Ferrini, «La musa stupefatta o della fantascienza», D’anna editrice.
Guido Ferraro e Isabella Brugo, «Comunque umani», Meltemi.
Fabio Giovannini, «Mostri», Castelvecchi.
Tommaso Pincio, «Gli alieni», Fazi.
Michel Bishop, «Il segreto degli Asadi», Nord.
Guido Barbujani e Pietro Cheli, «Sono razzista ma sto cercando di smettere», Laterza.
Genevieve Makaping, «Traiettorie di sguardi», Rubbettino.
Mary Shelley, «Frankenstein», varie (quasi infinite) edizioni.
H. G. Wells «L’uomo invisibile», idem.
H. G. Wells, «La guerra dei mondi», idem.
H. G. Wells, «Nel paese dei ciechi», idem.
H. G. Wells, «La macchina del tempo», idem.
Sven Lindqvist, «Sei morto!», Ponte alle grazie.
Stanley Winbaum, «Odissea marziana», varie edizioni.
Olaf Stapledon, «Il costruttore di mondi», Longanesi.
Tuiavii di Tiavea, «Papalagi», varie edizioni Stampa alternativa e Nuovi equilibri.
Isaac Asimov, «Homo Sol»: in varie edizioni dell’antologia «Asimov Story».
Fredric Brown, «Sentinella» in molte edizioni (anche scolastiche).
Fredric Brown, «Il vecchio, il mostro spaziale e l’asino», varie antologie.
Fredric Brown, «Marziani, andate a casa», Fanucci.
«L’uomo che cadde sulla terra» regia di Nicholas Roeg.
Walter Tevis, «L’uomo che cadde sulla terra», Mondadori e poi Minimum Fax.
Joseph Green, «Chi è intelligente?», Urania.
«Star Trek» (l’intera serie).
Orson Scott Card, «Il gioco di Ender», Nord.
Fred Hoyle, «La nuvola nera», Feltrinelli.
Stanislaw Lem, «Solaris», Mondadori (anche in e-book).
Stanislaw Lem «L’invincibile», Oscar Mondadori.
Isaac Asimov, «Nemesis», Urania.
Octavia Butler, «Ultima genesi», Urania.
Octavia Butler, «Ritorno alla Terra», Urania.
Arthur C. Clarke, «Le guide del tramonto», Urania.
Ursula K. Le Guin, «Il linguaggio della notte», Editori Riuniti.
Walter Miller jr, «Benedizione oscura» in varie antologie.
Ray Bradbury, «Cronache marziane», Mondadori.
Henry Slesar, «Gli emigranti dal volto azzurro» in varie antologie.
Leigh Brackett, «I negri verdi», idem.
Philip Dick, «Vedere un altro orizzonte», Bompiani; ripubblicato come «Svegliatevi dormienti» da Fanucci.
Robert Sawyer, «La genesi della specie», Fanucci e Urania.
Robert Sawyer, «Fuga dal pianeta degli umani», Urania.
Robert Sawyer, «Origine dell’ibrido», Urania.
L. Sprague de Camp e Peter Schuyler Miller, «Gorilla Sapiens», Urania.
Pierre Boulle,«Il pianeta delle scimmie», Mondadori.
Gianluca Casseri, «La chiave del caos», Punto d’incontro editore.
Sydney Van Scyoc, «Un mondo da salvare», Urania.
Philip Josè Farmer «Un amore a Siddo» (anche con il titolo «Gli amanti di Siddo»): ultime edizioni Nord e Urania.
Philip K. Dick, «Umano è» in molte antologie.
Philip K. Dick, «I nostri amici di Frolix 8», Fanucci.
Philip Dick, «Le pre-persone» in varie antologie.
Theodore Sturgeon, «Un mondo ben perduto» in varie antologie.
Theodore Sturgeon, «Venere più X», Urania.
Naomi Mitchison, «Memorie di un’astronauta», La tartaruga e poi Urania.
James Tiptree junior (Alice Sheldon), «Le donne invisibili»: pubblicato nella rivista «Robot» ma oggi introvabile in italiano.
Ursula K. Le Guin, «La mano sinistra delle tenebre», varie edizioni.
Daniele Barbieri e Riccardo Mancini «Di futuri ce n’è tanti», Avverbi.
Theodore Sturgeon, «Cristalli sognanti», varie edizioni.
Theodore Sturgeon, «Nascita del superuomo», idem.
Leo Szilard, «La voce dei delfini», Feltrinelli poi Ancora del Mediterraneo.
Robert Sheckley, «Mai toccato da mani umane», Urania.
Arkadij e Boris Strugackij, «Picnic sul ciglio della strada», Urania e poi Marcos Y Marcos.
Arthur C. Clarke, «Incontro con Rama», Urania.
Andrè Gorz, «Addio al proletariato», Edizioni Lavoro (esaurito).
Isaac Asimov, «Crumiro», in varie antologie.
Clifford Simak, «Oltre l’invisibile», Urania.
Isaac Asimov «L’uomo bi-centenario», in molte antologie.
Philip Dick, «L’impostore», in varie antologie.
Lester Del Rey e Raymond Jones, «Alieno in croce», Urania.
James Blish, «Guerra al grande nulla», Urania.
John Wyndham, «I trasfigurati», Urania.
Robert Sheckley, «Accademia», in varie antologie (la più recente è «La settima vittima», Nottetempo).
Philip Dick, «Follia per 7 clan», Fanucci.
Minority Report film di Steven Spieberg.
Theodore Sturgeon, «Ultime notizie» in varie antologie.
David Compton, «Sinthajoy», oggi introvabile.
Marge Piercy, «Sul filo del tempo», Eleuthera.
La sceneggiatura del telefilm è nell’antologia «L’umanità è scomparsa», Urania, curata da Rod Serling.
Howard Fast, «Cephes 5» nell’antologia «La mano», Urania.
Manuel Scorza,«La danza immobile», Feltrinelli.
Paul Press, «Le porte dei cieli», Nord.
Charles Sheffield, «Progetto Proteo», Nord.
Patricia Warrick, «Il romanzo del futuro», Dedalo.
Gianantonio Stella, «Negri, froci e giudei», Rizzoli.
Isaac Asimov (prefazione), «Storie per giovani alieni», Bur.
(*) «HP-Accaparlante» è la rivista del Centro Documentazione Handicap di Bologna, edita dal Centro Studi Erickson di Trento. Esiste ormai da quasi 30 anni, ed è un riferimento essenziale per chiunque si muova intorno agli intrecci e alle trappole della normalità e della diversità. Già una dozzina di anni fa avevo avuto il piacere di scrivere per loro, in pratica raccontando il rovescio questo di «Alieno è…» che infatti si intitolava (alla Philip Dick) «Umano è…». Aggiungo che mi farebbe molto piacere presentare in giro questo saggetto – biblioteche? librerie? associazioni? centri sociali? cunicoli e gallerie? – e dunque chi è interessata/o mi contatti. (db)
Immenso e imprescindibile. Da stampare e studiare…