Althusser e il marxismo aleatorio, o dell’incontro
Althusser e il marxismo aleatorio, o dell’incontro
di Mauro Antonio Miglieruolo
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Louis Althusser: Sul Materialismo Aleatorio
Mimesis
vedi: http://www.mimesisedizioni.it/
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E’ molto che stavo pensando di presentare nel blog un pezzo su Althusser, filosofo e militante comunista che più di ogni altro, a livello teorico, ha contribuito a formare il mio pensiero di ex militante. Lo faccio ora ma con intenzioni più umili rispetto l’intento originale.
Ho scoperto tardi Althusser. Alla vigilia del mio ritiro dalla politica attiva. Un giorno mi è capitato per le mani “Leggere il Capitale” e sono stato folgorato sulla via del marxismo. Con mia sorpresa ho trovato in quel libro i presupposti teorici della mia pratica da militante. Il resto è stato poi tutta una scoperta, una piacevole scoperta, poiché il merito di Althusser risiede solo in parte (in gran parte) nel rigore teorico e nella capacità di sintesi con cui lo espone, ma anche nello stile relativamente semplice, molto amichevole con cui lo valorizza. Da “Per Marx” a “Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati” (testo che più ho visitato), a “Lenin e la Filosofia”, per finire nei lavori suoi postumi, pubblicati in Italia molto dopo la sua morte nel 1990, tra i quali sono da citare “Marx nei suoi limiti” (2004), “I marxisti non parlano mai al vento” (2005) e soprattutto quello che qui presento “Sul marxismo aleatorio” (anno 2000 e 2006, collana Althusseriana a cura di Maria Turchetto e Vittorio Morfino – Edizioni Mimesis, 17 euro), è stato tutto uno scavare nel marxismo e nella mia personale formazione teorica, fina a liberarla dagli ultimi residui del marxismo terzointernazionlista, con il quale ero stato, dal 1967 in poi (anno di battesimo politico), cresciuto e pasciuto.
Mi ero già addentrato indirettamente nell’impresa di dire qualcosa del grande teorico e militante comunista già un tre-quattro anni fa, commentando le stesi del libro di Poulantzas “Il declino della democrazia” libro che mi è spiaciuto alquanto, specialmente nei punti in cui prende le distanze dal “suo amico Althusser”; ma non per la presa di distanza, ma per averla introdotta e in qualche modo “levigata” premettendo un (polemico? adulatorio? accattivante? ipocrita?) “il mio amico Althusser”. Quegli appunti, iniziati con uno scopo, la critica delle posizioni di Poulantzas, mio ex amico (nel senso di: ex punto teorico di riferimento) ben presto sono mutati in un altro: la faticosa impresa di venire a capo di questo straordinario pensatore francese, del quale ammiro la capacità di rilettura di Marx, ammiro i concetti, ma (confesso) non ho ancora inquadrato “nei suoi limiti”. Il che equivale a dire che lo conosco solo imperfettamente.
Le numerose pagine di appunti presi allora sono ormai andate perdute, o quasi perduta, nel caos di quaderni, agende, fogli liberi sui quali fisso le mie idee. Sono costretto pertanto oggi a questa che è un mera limitata presentazione del libro; e non invece, come avrei voluto, riflessione sulle implicazioni politiche, oltre che teoriche, che l’assunzione delle tesi althusseriane comporta.
Mi adatterò dunque a compilare una semplice segnalazione: a segnalare ai lettori un testo che pur essendo di filosofia, non presenta le difficoltà solite di tali elaborati, scritti generalmente in un linguaggio che esclude i non addetti ai lavori. E a sottolineare l’importanza delle tesi in esso contenute che, insieme agli studi precedenti, forniscono gli elementi essenziali per dare inizio a un nuovo capitolo del marxismo, forse una intera nuova storia. Un marxismo la cui caratteristica principale è il suo grado di rifiuto del passato, dal quale pure sorge, ma dal quale cancella risolutamente, si spera una volta per tutte, l’inclinazione al determinismo, e errori teorici quali lo storicismo e l’economicismo.
Il testo in questione, introdotto da Vittorio Morfino e Luca Pinzolo, contiene scritti che vanno dal 1982 al 1986 e, nonostante l’autore dichiari “non ho la pretesa di recare qualcosa di nuovo”, tali sono: nuovi. Nuovi per la radicalità con la quale si rivolge a Marx, cui non risparmia critiche e sarcasmi; e per le caratteristiche dei concetti introdotti, alcuni dei quali non esito a definire intellettualmente eversivi: concetti che trascinano alla riflessione, non si limitano a suggerirla.
Concetti, a esempio, come “processo senza soggetto”, o la definizione dell’ideologia come “rappresentazione del rapporto immaginario degli individui con le proprie condizioni materiali di esistenza”, definizione che trovo ancora oggi difficile maneggiare (il testo “Sull’ideologia” risale al 1976; addì febbraio 2013 sono ancora fermo, nella spontaneità del pensiero, alla falsa coscienza: al complotto dei chierici); o la riflessione su gli atomi e Epicuro, il clinamen che non è libertà ma necessità e l’incontro tra lavoro e capitale che poteva essere e non essere, poteva durare e non durare, ma avrebbe dato luogo al capitalismo e a tutto il resto della storia.
Concetti non nuovi? Non ho le conoscenze adatte a stabilirlo. Ho però avuto l’occasione di effettuare una prova empirica, molti anni fa, quando ancora il concetto di “processo senza soggetto” quantunque tornasse a rigirarmi nella testa non mi era chiaro. Ho provato allora a chiedere nell’ambiente universitario sperando di averne lumi, senza cavarne un ragno dal buco. Da quelle parti (più d’una parte) neanche sapevano di cosa parlassi. Ho dovuto, emulo dell’Alfieri, legarmi davanti al testo in cui se ne ragionava e leggere e rileggere finché mi è parso (illusione?) di averne afferrato il senso.
Dunque, almeno nuovi come concetti, se non originali. Concetti sconvolgenti, per chi come me si era formato sui testi di Trotsky (i primi: tutti), Lenin, Mao, con qualche infarinatura di Gramsci, una spruzzata di Lukacks, Tronti, qualche filosofo “borghese” e poco altro. Concetti inaspettati e pure illuminanti: a posteriori mi permettevano di comprendere il perché delle prese di posizione giuste, quando si erano dimostrate giuste e delle prese di posizione sbagliate, quando si erano dimostrato sbagliate.
Non si tratta, purtroppo, di testi lavorati con la cura che utilizzava Althusser prima di licenziare i propri lavori. Le drammatiche vicende nelle quali è stato protagonista hanno probabilmente in qualche modo ostacolato che venissero definiti. In alcuni passi risulta evidente il carattere di studi preparatori (in altra quasi solo appunti); e tuttavia esaustivi per quello che è il loro scopo: delineare il marxismo del XXI secolo.
Preziosi per chiunque abbia come orizzonte il socialismo e non l’incubo che stiamo vivendo.
Mauro Antonio Miglieruolo
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Esiste una Associazione “Louis Althusser” che ha come finalità “lo studio e la diffusione del pensiero e dell’opera di Louis Althusser”
il cui indirizzo è:
http://www.mercatiesplosivi.com/althusser/
Chi sia interessato alle attività dell’Associazione, può iscriversi versando 25 euro sul CCP n. 10333565 intestato a Maria Turchetto – Pisa. L’iscrizione dà diritto a ricevere il Bollettino e i volumi della collana “Althusseriana”. Per informazioni e contatti: turchetto@interfree.it
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«Le drammatiche vicende nei quali è stato protagonista»: così scrive Mauro Antonio e – a parte il refuso (ah, la fretta) – mi colpisce la vaghezza. Anche perché su questa storia davvero tragica di Althusser vorrei innestare un riferimento personale.
I fatti anzitutto.
Dolorosi e difficili da ricostruire… però mi pare che Wikipedia sia, in questo caso, abbastanza precisa.
«[…] il 16 novembre 1980 uccide, strangolandola, sua moglie Hélène Rytmann, nel loro appartamento presso l’università; lui stesso annuncia la cosa, poi, al medico dell’ENS, il dr. Étienne, che contatta le autorità psichiatriche. Viene dichiarato (febbraio 1981) mentalmente infermo al momento dei fatti. La vicenda e la sentenza psichiatrica crea scalpore. Ad esempio, sul quotidiano Le Monde del 14 marzo 1985, un articolo di Claude Sarraute, scritto a proposito del successo di un libro dello scrittore giapponese Issei Sagawa, che raccontava un episodio simile, denunciava la compiacenza dell’opinione pubblica su un fatto così infamante. Alcuni amici suggeriscono ad Althusser di protestare; ma la critica di Sarraute aveva visto giusto, poiché Althusser ha davvero beneficato di un “non luogo a procedere” che lo ha preservato dal processo. Althusser decide, comunque, di intraprendere un’autobiografia, per spiegare a se stesso il suo gesto: uscirà col nome L’Avenir dure longtemps».
Una vicenda davvero tragica che divise – anche in italia – gli estimatori e le estimatrici di Althusser fra chi (schematizzo un poco) pensava che dovesse restare in libertà e chi chiedeva che fosse processato.
Se i rimossi hanno un senso, evidentemente l’assassinio di Hélène Rytmann ha colpito qualche mio punto debole… se è vero che, sino a pochi minuti fa, ero in dubbio su come si erano svolti i fatti: mi sembrava che Althusser avesse ucciso la moglie e poi si fosse suicidato (o avesse tentato di farlo). Poi, sollecitato da un amico e cercando in rete la ricostruzione, ho avuto un flash e mi sono ricordato: un mio (solo mio?) rimosso, appunto.
Mi sembrava opportuno raccontarlo qui anche perché non credo giusto dimenticare il “privato” di Althusser e ricordare solo il “pubblico”. Mi era capitato proprio in blog dopo un bel post di Sarina Aletta su Carmelo bene di scrivere questo commento: «un grande attore e provoc-attore Carmelo Bene: l’ho ammirato molte volte in teatro e concordo con Sarina. Ma purtroppo anche un uomo che alzava le mani sulle donne e penso che sia giusto ricordare anche questo».
Un pensatore importante Althusser (ha ragione Mau) però, quando si parla di lui, credo che la morte di Hélène Rytmann non debba essere dimenticata.
Grazie anzitutto dell’indicazione del refuso, che ho provveduto a correggere (ne ho trovato anche un altro). Ma soprattutto grazie delle precisazioni sulla tragica vicenda di cui è stato protagonista Althusser. Era dovuta, ma avrebbe allungato troppo l’articolo e ho preferito rimandare a altre occasione. Uno può voler eludere quanto gli pare, ma avvenimenti come quelli relativi alla morte di Hélène è giocoforza affrontare, prima o poi ti si precipiteranno addosso.
Poiché però siamo in tema, concedimi una ulteriore precisazione. La rudezza con cui esponi il fatto potrebbe far pensare a una aggressione di Althusser, a uno dei soliti atti di violenza di cui il mondo maschile si pregia di gratificare il mondo femminile (in questo siamo fin troppo generosi). La ricostruzione dei fatti di cui sono a conoscenza descrive una scena diversa.
Premessa a questa ricostruzione, che cercherò di esporre più sinteticamente mi riuscirà, era l’instabile condizione psichica di Althusser. Althusser andava spesso incontro a gravi depresioni, in alcuni occasioni l’instabilità aveva reso necessario il ricovero (è possibile che l’interesse che nutriva per la psicanalisi – Lacan – fosse frutto di questo ripetuto contatto con la medicina mentale). Sulla base di questa premessa ognuno potrà farsi un’idea di quel possa essere effettivamente successo; e una idea anche del “perché del non lugo a procedere”.
Inoltre, dalle testimonianze che mi è capitato di leggere sul suo rapporto con la moglie, mi sono formato la convinzione, che anche in esso ci fosse qualcosa di non sano. Scriveva qualcuno, non ricordo chi, che non osava criticare Hélèn in presenza di Louis, perché sapeva che questo avrebbe comportato la fine del rapporto con il filosofo “per sempre”.
I fatti, come confessati dall’uxoricida (utilizzo volutamente la crudezza di questo termine: non sono alla ricerca di attenuanti): Louis sta massaggiando la moglie, che gli si affida del tutto rilassata. Il massaggio procede. Finché Louis prende coscienza della strana passività della donna; e prende coscienza di avere le mani strette intorno alla gola. Capisce quel che è avvenuto e chiede aiuto. Nessun aiuto è ormai più possibile.
Oltre al mistero di questa morte (ma mistero solo se si crede alla ricostruzione di Althusser, altrimenti si tratta di un assassinio e basta) sembra essercene un secondo: Hélèn non si sarebbe minimamente difesa dall’aggressione. Non ci sono altri segni di violenza oltre quelli sul collo; segni di violenza che una colluttazione o gli spasmi degli ultimi istanti avrebbero invece dovuto provocare.
Quello che però non è misterioroso è la responsabilità morale piena di Althusser. Penalmente si potrebbe anche concepire “il non luogo a procedere”. Moralmente non vi è dubbio che quella morte agli abbia determinato. C’è solo da chiedersi se quella morte lui l’abbia voluta e, orribile a dirsi, coscientemente cercata. Io me lo sono chiesto più volte, dandomi sempre una risposta negativa.
La stessa risposta che offro in questa circostanza.
Complimenti vivissimi per l’onestà intellettuale che traspare dall’articolo, e grazie per questo contributo.
Gino (uno più ignorante di te, senza alcun dubbio)
Se sei interessato anche un poco alle questioni teoriche, ti suggerisco di affrontare la fatica di leggere il testo di Althusser (150 pagine circa). Per linguaggio e stile, si tratta di una autore molto particolare, accessibile (con poca fatica) a chiunque abbia una formazione culturale media; è inoltre autore piacevole da leggere. Il merito principale però è la relativa facilità con cui dall’alto delle sue teorizzazioni si può passare allo specifico della presa di posizione politica. Althusser è prima militante che filosofo; anche se militante lo è prevalentemente per le battaglie che ingaggia sul piano teorico.
Mauro
Grazie, Mauro. Ho sempre pensato che la prima qualità di un compagno intellettuale che scrive fosse la chiarezza, lo penso più che mai. … E sappiamo bene della pletora di teorici di sinistra che quando scrivevano di economia politica o altro ostentavano un linguaggio così forzatamente specialistico da sbugiardare il loro effettivo distacco elitario dalle masse di sfruttati che dicevano di voler difendere …
Ciao