Amazzonia e Taranto: «Legami di ferro»
recensione di Laura Tussi (*) al libro di Beatrice Ruscio
Beatrice Ruscio
«Legami di ferro»: dalla miniera alla fabbrica, dal cuore dell’Amazzonia brasiliana al quartiere Tamburi di Taranto.
introduzione e presentazione di Alessandro Marescotti
Edizioni Narcissus 2015, in collaborazione con PeaceLink
Il seminario internazionale a cui ha partecipato l’autrice del libro «Legami di ferro», Beatrice Ruscio, in rappresentanza dell’Associazione ecopacifista PeaceLink, è stata un’importante occasione per far emergere la questione di Taranto dal contesto locale, per unire questa lotta a un movimento internazionale di mobilitazione e resistenza contro gli immani e “inesorabili” progetti delle imprese e delle multinazionali che vogliono ottenere il massimo profitto a costo di devastazioni ambientali, pregiudicando così la vita e la salute di intere popolazioni. Il denominatore comune che unisce le città di Taranto e di Piquià de Baixo si chiama minerale di ferro: la stessa polvere proveniente dal Brasile ed estratta nelle miniere della multinazionale Vale è poi esportata in tutto il mondo.
Il libro racconta una bella solidarietà fra l’Italia e il Brasile. È la storia di Taranto e di Piquià de Baixo in Amazzonia, inesorabilmente collegate dal drammatico filo conduttore di due disastri ambientali, provocati dalla polvere che è alla base del processo siderurgico, ossia il minerale di ferro: inquinamento ambientale e diritto alla salute uniscono Piquià de Baixo e il quartiere Tamburi di Taranto, Ilva e Vale, in una stretta relazione, in giochi di forza e di potere dall’alto e di movimenti sociali in lotta dal basso. Il minerale di ferro, che viene estratto dalle miniere del Carajàs, nella foresta amazzonica brasiliana, arriva anche all’Ilva di Taranto. Il ciclo siderurgico provoca inquinamento e ingiustizia a livello globale. Per questo motivo, una visione globale deve accomunare le lotte locali, per affrontare un razzismo ambientale che lede i diritti umani di molti abitanti del pianeta: dei popoli discriminati e martoriati dei tanti “sud” del mondo.
In realtà, il mondo non ha bisogno di tutto l’acciaio che viene prodotto. Ma il sistema economico produce in funzione del profitto e dello sfruttamento massimo della capacità produttiva, non in funzione dei bisogni reali e effettivi. Sostenere questo modello siderurgico predatorio significa alimentare la produzione delle cosiddette grandi opere, inutili e dannose, con il consumismo dell’industria bellica e automobilistica.
La multinazionale Vale dichiarava che lo sviluppo dell’industria sarebbe stata un’occasione di arricchimento umano e sociale per quella regione, con il rispetto dell’ambiente e delle persone. Al contrario è sempre prevalsa la logica del guadagno, dello sfruttamento e del massimo profitto dell’industria. Sostanzialmente solo pochi si sono arricchiti, a discapito della natura, depredata e vilipesa, dei lavoratori che lamentano condizioni di estremo sfruttamento e dell’intera collettività, che in realtà non ha mai “visto” le promesse di benessere e progresso tanto declamate e millantate.
«Il viaggio di PeaceLink in Brasile ha consentito di tessere i fili di un’alleanza globale che va oltre la questione ecologica: è un’alleanza per la difesa dei diritti umani e per una nuova economia di giustizia» afferma Alessandro Marescotti, presidente di PeaceLink, nell’introduzione al libro. Nel testo, l’approccio alla questione ambientale e ecologica diventa un’occasione di conoscenza davvero innovativa, unendosi alla grande tematica della giustizia sociale, in una panoramica globale che permette di interpretare l’ecologia e l’economia in una visione solidale, per cui tramite l’incontro fra persone, accomunate dallo stesso dramma, si concepiscono le ragioni autentiche dello stare insieme, in una «ecologia di persone», per una giusta lotta comune a favore del diritto alla vita e alla salute: per i diritti umani.
La lotta per spezzare la violenza e la protervia del ciclo siderurgico mondiale ha conosciuto diversi epicentri del conflitto ambientale, disseminati in tutto il mondo, dall’India al Brasile. Da una parte all’altra del globo intere popolazioni subiscono tremende ingiustizie. L’autrice paragona il viaggio in Brasile a un salto in una realtà parallela a quella di Taranto, con tante differenze culturali, economiche, ambientali, ma così incredibilmente simile e unita da legami di solidarietà forti, indistruttibili, di gente forte, unita da «legami di ferro», indistruttibili.
(*) recensione pubblicata su «A rivista anarchica» numero 402 del novembre 2015.